Nico Cereghini: "Non ci si abitua alla morte"

Nico Cereghini: "Non ci si abitua alla morte"
Ogni passione ti regala momenti inebrianti, di assoluta felicità, e poi ti toglie tutto all’improvviso e ti lascia senza fiato. La nostra non fa eccezione | N. Cereghini
25 ottobre 2011

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Ciao a tutti! Ci stringiamo tutti insieme per sopportare il dolore e l’angoscia della perdita di Marco Simoncelli, i vostri messaggi arrivano numerosi come i rivoli di una cascata di acqua fresca che consola chi ha sete di compagnia, chi non vuole soffrire da solo perché semplicemente non ce la fa. Ed è bello che sia così, l’affetto e la passione che Supersic ha suscitato in tutti noi è un vero prodigio, che ci unisce.

 

Ho passato tante giornate nella più nera disperazione e nel dubbio. Ne vale la pena?

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 Una cosa mi ha colpito, tra le tante. Nelle 24 ore successive al dramma di Sepang ho ricevuto decine di sms di cordoglio, di partecipazione al dolore della perdita, come se io fossi un parente stretto di Marco, uno dei suoi; quando invece ero soltanto un suo buon conoscente e poco di più. E allora mi sono domandato: chissà se la stessa cosa succede ai giornalisti degli altri sport. E dopo averci pensato su ho concluso che probabilmente no, negli altri sport questo non accade. Forse mi illudo, ma il nostro sport ha davvero un carattere speciale, e penso di poter dire che ci sia alla base un fenomeno particolare: il motociclista sa di condividere con i suoi idoli le forti emozioni che la moto gli passa. Tutti noi sappiamo che tra la moto che usiamo sulla strada e quella dei piloti in pista c’è una bella differenza di prestazioni e di guida, però i gesti che facciamo sono quelli e crediamo di provare più o meno la stessa inebriante sensazione di leggerezza, di assenza di peso, quasi di volare. E in fondo al cuore molti di noi sono abbastanza sicuri che su quella moto, naturalmente dopo il necessario tirocinio, riusciremmo a cavarcela. E soprattutto sappiamo che Simoncelli e Dovizioso, Rossi e Capirossi, alla guida della nostra moto farebbero dei numeri pazzeschi. Noi e loro siamo molto simili, parliamo lo stesso linguaggio. E tutti amiamo la moto.

Però la passione è una brutta bestia. Ogni passione ti regala momenti inebrianti, di assoluta felicità, e poi ti toglie tutto all’improvviso e ti lascia senza fiato. La nostra non fa eccezione. Abbiamo pianto molti altri piloti, negli anni; io ho cominciato con il piangere Angelo Bergamonti nel ‘71, poi Pasolini, Saarinen, Chionio, Colombini, Galtrucco…  e la serie è quasi infinita, ho passato tante giornate nella più nera disperazione e nel dubbio. Ne vale la pena? Pur sapendo che il rischio fa parte del nostro sport, di fronte alla morte ogni volta restiamo senza parole, attoniti. Non ci si abitua alla morte. Oggi per fortuna si corre in maggiore sicurezza, gli incidenti funesti sono meno frequenti; ma per quanti sforzi si facciano la morte no, non la possiamo sconfiggere.

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