Nico Cereghini: “Yamaha, Rossi: e adesso?”

Nico Cereghini: “Yamaha, Rossi: e adesso?”
Il disastro è ormai conclamato: ad Aragon la M1 è naufragata. Persa del tutto la bussola, ora si tratta di uscire da una crisi tecnica senza precedenti. Il problema è a Iwata, ma riformare un reparto corse è cosa lunga…
25 settembre 2018

Ciao a tutti! Vedere Valentino così indietro sulla griglia di Aragon, dopo aver stentato in ogni turno di prove e fallito clamorosamente la Q1, ha fatto soffrire tutti quelli che amano davvero il motociclismo: un grande campione non merita questo genere di umiliazioni. Mai così in basso, con la Yamaha: i cinque podi della stagione 2018 sono più che altro il frutto degli errori della concorrenza, e di fatto Rossi non vince una gara dal 25 giugno 2017, Gran Premio d’Olanda ad Assen. Quindici mesi e ventidue gare disputate senza nemmeno un successo; soltanto il biennio con la Ducati è stato più amaro per Rossi. In gara, domenica, Valentino ha dato tutto come al solito, e in questa capacità di trovare la motivazione sempre e comunque lui resta unico; ma ormai appare chiaro che la Yamaha è precipitata in una crisi tecnica senza precedenti, una difficoltà già evidente nel 2017 e peggiorata quest’anno. Perché succede tutto questo?


Sul banco degli accusati c’è la squadra che lavora sul progetto MotoGP a Iwata, in Giappone: il project leader Tsuya lo ha ammesso ad agosto, in Austria, chiedendo pubblicamente scusa dopo le pessime qualifiche dei due piloti ufficiali: le carenze in accelerazione, il motore dall’erogazione troppo appuntita, il ritardo nello sviluppo dell’elettronica sono i punti emersi. Ma forse c’è di più, probabilmente anche il telaio non è impeccabile se la concorrenza è riuscita ad adeguarsi molto prima e molto meglio ai pneumatici Michelin. Insomma, è ormai chiaro che la dirigenza tecnica non è stata all’altezza, la MotoGP è arrivata a un livello elevatissimo e in Yamaha non hanno trovato né il metodo né la velocità adeguata per la soluzione dei problemi e per lo sviluppo. Un enorme peccato, considerando che i suoi piloti sono entrambi tra i top rider, e che le figure di riferimento nel Team –dal numero uno Lin Jarvis al direttore sportivo Maio Meregalli, dal capotecnico Silvano Galbusera fino al coach Luca Cadalora- sono in assoluto, parere personale, le più qualificate nel paddock per i diversi ruoli.


Tutto questo è molto difficile da accettare, per il Dottore e anche per noi appassionati. Abbiamo visto tanti fortissimi piloti chiudere malamente una bella carriera, tirando in lungo anno dopo anno senza riuscire a smettere, spesso senza più trovare una moto competitiva, chiaramente minati dal tempo e in difficoltà a tenere a bada i nuovi arrivati. Soffrivamo per loro. Con Valentino invece sembra tutto il contrario, la classe resta cristallina e la velocità molto vicina al top. Un prodigio sportivo se pensiamo che lui si allinea dal 2000 nella massima cilindrata (è alla sua diciannovesima stagione), e che fin dal ’96 è un protagonista. Anche domenica scorsa è stato il miglior pilota Yamaha, e questo alimenta l’orgoglio ma anche il rammarico.


Ora Valentino ha ancora due anni davanti a se, 2019 e 2020 con Yamaha. Cosa succederà? L’unica speranza è che in Giappone già stia lavorando in gran segreto un nuovo Masao Furusawa , un manager dalle idee chiare capace di replicare quello che Yamaha realizzò nel 2004 quando arrivò Rossi dalla Honda: allora Furusawa riformò il reparto corse dall’A alla Z, cambiò gli uomini e i metodi di lavoro ribaltando Iwata. Un po’ quello che ha fatto anche Gigi Dall’Igna quando approdò in Ducati nell’ottobre 2013: introducendo un nuovo metodo di lavoro, inserendo forze e figure nuove, migliorando il collegamento tra casa e pista. Ma occorrono anche risorse finanziarie adeguate, e poi i tempi di queste rivoluzioni tecniche sono lunghi: la prima vittoria del nuovo corso Ducati è arrivata soltanto nel 2016, la vera competitività nel 2017. Devo dirlo: io purtroppo sono pessimista, e voi?

Valentino e Yamaha
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