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SACHSEN – Poche parole, come è nel suo stile, per annunciare il ritiro che negli ultimi giorni era diventato sempre più sicuro. «Ci sto pensando da parecchio e già a Barcellona avevo deciso. Poi, però, sono nate delle opportunità e ho preso un po’ di tempo, ne ho parlato con i miei familiari, con chi mi sta vicino, ci ho pensato. Poi, però, ho confermato la mia scelta, una decisione molto difficile, perché le corse sono la mia vita. Sono stato fortunato: ho ottenuto molto più di quanto avrei mai pensato di conquistare quando da bambino sognavo di diventare pilota di moto» racconta Dani Pedrosa, con l’emozione dipinta sul volto e qualche lacrima trattenuta a stento. La sala stampa è gremita all’inverosimile, come è giusto che sia per rendere omaggio a un pilota che ha l’invidiabile primato – tra gli altri ottenuti – di aver conquistato almeno una vittoria a stagione in MotoGP: tanto per dire, non c’è riuscito nemmeno Valentino Rossi. Come è nel suo stile, Pedrosa non si dilunga in dettagli, non spiega più di tanto perché non sia andata in porto la trattativa con la Yamaha («nella mia vita ho sempre corso in una squadra ufficiale, per come vivo io le corse non sarebbe stato giusto approdare in una squadra satellite adesso»), non si lascia andare in ricordi di momenti importanti («Fortunatamente ce ne sono stati tanti, ma forse il più significativo è quando a Jarama, nel 1999, ho partecipato alla selezione per arrivare al mondiale: da lì in poi è stato tutto incredibile»).
UN PILOTA FORTISSIMO, MA TROPPO PICCOLO
A Dani è mancato solo il titolo della MotoGP, sfiorato in un paio di occasioni, anche se, per la verità, non ci è mai arrivato così vicino. «In MotoGP mi è mancato soprattutto il fisico per contrastare le cadute» è la sua stringata analisi, ma assolutamente corretta. Ogni volta che finisce per terra, Pedrosa si fa male come nessun altro. Eppure lui è riuscito sempre a tornare in sella e anche la sua guida ha risentito un bel po’ di un fisico particolarmente minuto e sicuramente non adatto alle “pesantissime” MotoGP, che nel corso degli anni sono addirittura aumentate di peso per motivi regolamentari. Un problema per Dani, tanto che dentro al box, soprattutto nei primi anni di MotoGP, si è intervenuto decine di volte sulla disposizione di alcuni “accessori” importanti, per dare a Pedrosa un po’ di sostegno, in particolare in frenata. Ecco perché, nei primi anni in MotoGP, lo spagnolo della Honda faticava a essere aggressivo in staccata: con le sue braccia e gambe piuttosto corte, con il suo busto minuto non riusciva a contrastare la forza e il peso della sua RC213V. Piano piano, però, è riuscito a migliorare anche sotto questo aspetto e negli ultimi anni è stato capace di essere aggressivo anche in frenata. In un’altra epoca, Pedrosa sarebbe diventato una leggenda della 250, vincendo titoli mondiali a ripetizione, ma nell’era della MotoGP è stato un ottimo pilota, ma non un campionissimo. Perlomeno per quanto riguarda i risultati, sempre buonissimi, ma mai eccellenti, sempre al di sopra della media, ma mai a livello di Rossi, Stoner, Lorenzo, Marquez e di tutti gli altri fenomeni che ha avuto al suo fianco nel box o in pista.
UNA LEGGENDA DELLA MOTOGP
A Valencia, la Dorna lo inserirà nelle “leggende della MotoGP”, un riconoscimento che Pedrosa merita assolutamente. Lo merita per come guida – vederlo in pista è davvero bello -, per la sua capacità di essere vincente nonostante misure da fantino e non da “MotoGPista”, per la sua onesta e correttezza (non è mai stato coinvolto in polemiche ed è rispettato da tutti i piloti), per il suo modo di concepire le corse. Adesso c’è da finire questo campionato, fino adesso il più difficile da quando è in MotoGP: merita di conquistare almeno una vittoria, come ha sempre fatto in tutta la sua carriera. E’ la sua ultima sfida: in bocca al lupo, “robottino”.