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Non c’è pace per i regolamenti della MotoGP. Non bastasse il tumulto tecnico dovuto ai tentativi da parte di Dorna di rinfoltire una griglia ai minimi storici, lo scorso weekend è toccato alla normativa sportiva, con la messa al patibolo della Rookie Rule. La lama della ghigliottina non è ancora ufficialmente caduta, essendo la proposta ancora al vaglio della Grand Prix Commission, ma l’abolizione della norma incriminata è praticamente certa. Con qualche inevitabile mugugno di chi ha dovuto sottostarle, facendo gavetta per una stagione in un team privato – stiamo parlando di Ben Spies, che attraverso Twitter ha insinuato come basti un passaporto della nazionalità giusta per aprire vie preferenziali.
Una volta chiarito che le corse le pagano case e sponsor, obiettivo dei quali è la promozione dei propri prodotti sui mercati per loro rilevanti, e che quindi nazionalità e popolarità del pilota contano – per chi deve mettergli una sella sotto al sedere – almeno dagli anni 70, vediamo esattamente i termini della questione. A fine 2008, a crisi economica mondiale appena esplosa in tutta la sua virulenza, Dorna ha escogitato la Rookie Rule per aiutare i team privati, vietando ad un esordiente della categoria MotoGP di avere accesso ai team ufficiali (attenzione, ad un team, non ad una moto ufficiale) a partire dalla stagione 2010. Il razionale sottostante era di dare modo alle squadre private di ingaggiare piloti giovani ma molto quotati, sia sportivamente che promozionalmente, e di avere così una maggior leva nella negoziazione con gli sponsor. Avere nel proprio team un Cal Crutchlow, veloce ed importantissimo promozionalmente sui mercati anglosassoni, è sicuramente qualcosa che convince Monster a sborsare più soldi che non un Aleix Espargaro.
Spies, Crutchlow e Simoncelli, dicevamo – tre piloti approdati in MotoGP, ma con una sostanziale differenza. Marco entrò in una squadra privata, il Team Gresini, ma con una RC212V denominata “Factory-spec”, ovvero, parlando come si mangia, molto simile se non uguale a quella ufficiale con cui correvano Pedrosa, Dovizioso e successivamente Stoner. E con diversi tecnici della casa madre ad integrare quelli della squadra faentina. Insomma, un’operazione che aggirava bellamente la norma, mettendo Simoncelli nelle condizioni di pilota ufficiale sia pure, formalmente, in forze ad una squadra privata. Esattamente come, prima di lui, piloti come Lawson, Rossi, Kato o Gibernau.
Il problema è che piloti del genere arrivano a quel punto già dotati di influentissimi sponsor personali, per non parlare di un apparato umano di contorno (o corte dei miracoli, chiamatela come volete…) degno di una rockstar. Marquez, per dirne una, si porta dietro preparatore atletico, manager (Emilio Alzamora), responsabile comunicazione (Hector Martin, ex Jorge Lorenzo) ma soprattutto uno sponsor ingombrante come Repsol, che non ha la minima intenzione di lasciarsi scappare la gallina dalle uova d’oro – giusto per darvi un ulteriore elemento di giudizio, gli ultimi sondaggi danno Marc Marquez in netto vantaggio, a livello di popolarità in terra spagnola, su Dani Pedrosa.
Al netto di dietrologie e complottismi, dunque, è il caso di accettare la realtà. La Rookie Rule viene abolita perché non piace, e non serve, più a nessuno. Ci dispiace per Spies, che l’ha dovuta subire (ma Ben è sicuro che Yamaha a fine 2009 avrebbe lasciato a casa Rossi o Lorenzo per fargli posto? Noi ci permettiamo di avere qualche dubbio…) ma i fatti sono questi. Sarebbe come se un pilota di ieri si lamentasse perché le statistiche attuali che contano i punti conquistati per stagione si basano su punteggi diversi. E’ vero, ma… ognuno corre nella sua epoca, con regole e avversari diversi. Meglio farsene una ragione…