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CHESTE – Sono tanti i ricordi legati al GP della Comunità Valenciana, che da qualche anno chiude la stagione del motomondiale. In ordine cronologico: la prima (delle due ottenute in carriera), incredibile vittoria di GianLuigi Scalvini in 125 nel 1999 («ho iniziato assieme a Biaggi, incredibile vedere dove è arrivato lui e dove sono io: lui ha già conquistato 4 titoli e corre alla grande in 500, io ho appena vinto un GP» mi aveva raccontato con grande modestia in aeroporto. Per poi aggiungere. «Io, però, vado d’accordo con tutti…»); il primo trionfo di Sete Gibernau in MotoGP (nel 2001), sotto un’acqua torrenziale: se non ricordo male, Sete festeggiò piantando la bandiera americana, sua seconda patria, forse la prima per formazione motociclistica; la conquista del titolo mondiale 250 di Hiroshi Aoyama nel 2009, particolarmente significativo perché l’ultimo dell’era 2T della categoria di mezzo, al termine di una gara incredibile, con errori e fuori pista di tutti i protagonisti, Aoyama compreso; nel 2011, il ritiro di Loris Capirossi tra le lacrime, soprattutto in ricordo di Marco Simoncelli (a proposito: oggi la Dorna ritirerà il numero 65 dalla MotoGP, proprio in onore di Capirossi); l’incredibile sfida del 2013 in Moto3 tra Maverick Vinales, Luis Salom e Alex Rins, con i tre che erano arrivati all’ultimo appuntamento separati da soli 5 punti in classifica generale, con Vinales primo al traguardo e quindi campione del mondo. Tutti ricordi belli e intensi, ma la gara di Valencia per me più incredibile, per diversi motivi, fu quella del 2006, tralasciando (appositamente) quanto accaduto l’anno scorso.
Dopo una lunga rincorsa, Valentino Rossi era arrivato a Valencia con 8 punti di vantaggio su Nicky Hayden e per conquistare il titolo gli sarebbe stato sufficiente arrivare davanti al rivale, immediatamente alle spalle, ma anche terzo in caso di successo di Hayden. Sembrava, sinceramente, una formalità: non c’era nessuno disposto a scommettere un solo centesimo sulla sconfitta di Rossi. Anche per quello che era successo durante le prove. FP1: Rossi 1°, Hayden 3° (Bayliss 8°); FP2: Hayden 4°, Rossi 7° (Bayliss 10°); FP3: Rossi 1°, Hayden 2° (Bayliss 6°); QP: Rossi 1° (Bayliss 2° a 0”208), Hayden 5° a 0”376. Insomma, quello di Valentino era un vero e proprio dominio, con un apparente controllo totale della situazione, perché oltre a essere nettamente più veloce sul singolo giro, lo era anche nel passo e nella costanza. Domenica mattina, però, nel warm up il primo campanello d’allarme per i campione di Tavullia: Hayden ottiene il secondo tempo, Rossi solo l’11esimo a 0”712 (Bayliss era addirittura 16esimo). Allora non era come oggi, che il warm up è spesso poco significativo, perché con le gomme di adesso bastano pochi gradi di variazioni sull’asfalto per cambiare completamente il comportamento di una moto: ecco che quell’11esimo posto fa emergere qualche dubbio, ma preoccupazione ancora no. In gara, però, succede quello che non ti aspetti: pur partendo dalla pole position, Rossi è solo settimo al primo giro, con Hayden quarto (con Valentino ancora campione del mondo). Cosa sta succedendo? Valentino non va, non è solo una brutta partenza, non recupera posizioni, mentre Nicky al terzo giro è secondo, virtualmente iridato. Rossi è sempre inchiodato al settimo posto, improvvisamente incapace di sfruttare il potenziale della sua Yamaha, mai aggressivo in frenata, incapace di effettuare sorpassi, fino alla caduta del quinto giro. Si rialza, chiude 13esimo, ma il titolo va ad Hayden che si accontenta del terzo posto. Per me, quel GP rimane uno dei più incomprensibili ai quali ho assistito: c’è sempre una spiegazione a tutto, ma in questo caso non la riesco a trovare. Velatamente, qualcuno del gruppo di Rossi diede la colpa alle gomme (Michelin…), teoria alla quale non ho mai creduto.
Così come è altrettanto inspiegabile – dal mio punto di vista – il meraviglioso trionfo di Troy Bayliss, capace di conquistare il suo primo e unico GP (in questa categoria, naturalmente) da “turista”: corse a Valencia come sostituto di Gibernau e come premio per aver appena conquistato il titolo con la Ducati in SBK. Troy non conosceva le gomme Bridgestone, non guidava una MotoGP da fine 2005, una Ducati Desmosedici dal 2004, in tante gare disputate in MotoGP non aveva mai neppure sfiorato il successo, pur conquistando dei podi: ma quella volta fu capace di trionfare, rimanendo in testa dal primo all’ultimo giro. Qualcuno sa spiegare perché?