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Dopo il primo podio conquistato a Zeltweg, ecco la prima vittoria ottenuta a Brno, dopo una sfida all’ultimo metro con Jorge Martinez. Così, il 18 agosto 1996 inizia la leggenda di Valentino Rossi, che con l’Aprilia 125 sale per la prima volta sul gradino più alto del podio. Personalmente, ho ricordi un po’ confusi di quell’episodio che, in qualche modo, ha cambiato il motociclismo moderno: non ho alcuna memoria della gara, mentre ho bene in mente i festeggiamenti successivi, l’incredulità di Valentino, la festa della squadra, la sensazione generale che sarebbe stato il primo di una serie di successi. Ma nessuno, allora, poteva immaginare che oggi Rossi sarebbe stato ancora in pista, con un palmares di 114 successi (per ora) e 9 titoli iridati (per ora). Insomma, che sarebbe diventato il pilota più titolato dopo Giacomo Agostini, con una carriera a dir poco straordinaria. Per rivivere quel momento, il protagonista di questa puntata di “Storie di MotoGP” è Mauro Noccioli, dal 1995 al 1997 direttore tecnico di Valentino Rossi, con il quale ha disputato l’Europeo, ha vinto il primo GP e il primo titolo nel 1997.
Mauro, che ricordo hai di quel 18 agosto di 20 anni fa?
«Quel giorno si realizzò il sogno di due anni di lavoro: credo che il sapore sia ancora oggi indescrivibile sia per Valentino sia per la squadra».
Come avevate costruito quella vittoria?
«Ci arrivammo dopo un lavoro iniziato nel campionato europeo: già all’inizio della stagione, del 1996 avevo capito che c’era la possibilità di vincere due o tre gare, nonostante Valentino fosse al debutto nel mondiale».
Com’era allora Valentino?
«Non erano tutte rose e fiori… Era estroverso e indisciplinato, come tutti i ragazzi di quell’età. Ma attorno aveva un bel gruppo: Mario Martini (il telemetrista), Marco Pagani, il “Tocco”. Io ebbi la fortuna di trovarmi in quella squadra al momento giusto, pensando solamente a farlo stare bene. Valentino era molto legato a tutti i ragazzi, dormivano insieme nelle gare europee, ne combinavano di tutti i colori, era una sfida continua su tutto. Io facevo un po’ la figura del padre severo, ma in squadra c’erano le persone giuste per fargli fare le cose che volevamo».
Insomma, non era così facile da gestire.
«Tutt’altro. Ma i campioni sono così, devo avere carattere. E lui, già nel 1996, ce l’aveva eccome. Il suo istinto era un po’ quello di essere un po’ contro tutto e tutti, bisogna trovare dei compromessi».
Ti ricordi qualche festeggiamento particolare dopo quella vittoria?
«Ho perfettamente in mente l’immagine di Valentino che taglia il traguardo e a momenti si schianta contro il muretto dei box. Allora, non ci fu nessuna scenetta di festeggiamento, quelle arrivarono nel 1997, ma quando tornò dopo il podio volarono secchiate d’acqua per tutta la squadra».
Quello fu il GP della svolta?
«No, già a Jerez, alla quarta gara, avevamo capito che Valentino aveva grandi qualità: uscì primo dall’ultima curva, ma a causa della scia venne battuto sul traguardo da tre piloti, chiudendo al quarto posto. Quello fu un GP decisivo, capimmo che ce l’avremmo potuto fare a vincere e ci saremmo anche potuto riuscire prima, ma Rossi combinava sempre qualcosa in gara. Tutto gli veniva naturale, con la moto faceva quello che voleva, solo che a volte esagerava».
Te lo saresti aspettato di vederlo ancora in pista a questi livelli dopo 20 anni?
«Sinceramente no. Ricordo che allora Valentino non si allenava, non andava mai in palestra. Solo durante la stagione lo convincemmo ad andare da un preparatore di Pesaro. La sua carriera è unica, nemmeno Agostini ha fatto tanto, non ce n’è un altro al suo livello. E adesso, addirittura, sta dando il meglio».
Come è riuscito a rimanere a questo livello?
«E’ un ragazzo intelligente: si è adeguato a tutti gli stili di guida. Anche quando è tornato in Yamaha, dopo i due anni in Ducati, ha capito che per tornare a essere competitivo doveva cambiare. Ci riesce osservando tutto quello che c’è attorno a lui».
Era così anche allora?
«Sì. Mi ricordo che nell’Europeo aveva un’agenda sulla quale segnava meticolosamente tutte le sue impressioni, segnava tutti gli aspetti tecnici, le scelte che venivano fatte: passava ore a scrivere tutto e poi a rileggere gli appunti. E’ un po’ anche il segreto di Marquez: lui studia tutto e tuti, a cominciare proprio da Rossi».