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Valentino Rossi, come dice il suo nome, sarebbe dovuto nascere il 14 febbraio 1979. Fin da allora, però – scherza sua madre Stefania – era un ritardatario, e ci mise altri due giorni prima di venire al mondo, il 16 febbraio appunto. L’infanzia la trascorre sui campi di gara con il padre Graziano, impegnato con buoni risultati nel Motomondiale nelle classi 250 e 500, finché quest'ultimo non resta coinvolto in un terribile incidente a Imola nel 1982.
Valentino inizia la sua carriera velocistica con i go-kart, per poi passare rapidamente alle più economiche minimoto – i soldi in casa sono pochi – con cui si fa notare per la velocità, ma anche perché corre con un peluche di una tartaruga ninja appiccicato sul casco replica Schwantz.
Nel 1993 è il momento di correre sul serio. In famiglia dopo l’incidente del padre preferirebbero che lo facesse con le quattro ruote, ma la situazione economica non è cambiata e “Il Grazia” ha ancora tanti amici nel mondo delle moto. E’ così che Valentino debutta in pista in sella a un’Aprilia, anche se inizia a correre con la Cagiva Mito del team Lusuardi.
Vince la 125 SP l’anno successivo sulla moto ufficiale in mezzo a qualche polemica per un contatto con Cruciani, mentre nel frattempo fa esperienza anche in sella alle GP. Nel ’95 Graziano vorrebbe portarlo al mondiale, ma i due test con le Honda non vanno granché bene e Valentino, sull’Aprilia gestita da Mauro Noccioli, ripiega sull’Europeo e continua nel campionato nazionale. E’ la sua fortuna, perché domina l’italiano e chiude terzo l’Europeo, conquistandosi di diritto la partecipazione nel Mondiale.
La prima stagione di Rossi nel mondiale è quella del 1996. In sella a un’Aprilia privata si mette in luce per la completa assenza di timori reverenziali: sfrontatezza e velocità gli fruttano una sempre maggior attenzione da parte di Aprilia, mentre in pista diversi senatori della categoria – uno per tutti Jorge Martinez – iniziano a mostrare insofferenza. A Brno conquista la prima vittoria mondiale, prestazione che gli varrà la moto ufficiale per il 1997.
L’anno successivo Rossi domina in lungo e in largo il Mondiale: vince 11 gare e nelle restanti quattro sale sul podio altre due volte. La sua velocità gli frutta un parallelo con Max Biaggi da parte di un intervistatore a cui lui risponde con l’ormai nota prontezza di spirito girando il parallelo: da quell’episodio – leggenda vuole – nasce l’eterna rivalità fra i due.
Passa da numero 1 alla 250, ma la fretta gli è cattiva consigliera: va forte, però sbaglia troppo. Dopo essersi steso all’esordio, in Giappone, in Malesia alla seconda gara si qualifica secondo e vuole già giocarsela con un vecchio volpone come Harada. Finisce a ruzzolare per le vie di fuga, ma il potenziale c’è: Rossi inanella una lunga serie di podi, poi ad Assen vince.
Un altro paio di cadute e poi, a Imola, Valentino inizia a vincere e non si ferma più. L’anno successivo molti scommettono su di lui fin dall’inizio ma qualche errore e un po’ di sfortuna allungano il campionato. Alla fine vince comunque lui, sconfiggendo sulla Honda del Team Gresini uno dei migliori Capirossi di sempre.
In Aprilia si trova benissimo e a Noale lo adorano, ma come il presidente Beggio stesso ammette, non hanno una 500 competitiva. Nel frattempo la carriera di Michael Doohan si è bruscamente arrestata contro un cartellone pubblicitario a Jerez de la Frontera, e Valentino Rossi eredita la sua squadra – capitanata da Jeremy Burgess – ed entrando a far parte di un team satellite dotato però di moto ufficiale.
Il copione si ripete: il primo anno, in una stagione contraddistinta da tante gare interrotte per pioggia, Valentino cade tanto ma prende rapidamente le misure alla 500. Vince la prima gara a Donington, sul bagnato, e si ripete a Rio.
Nel 2001 entra nel team ufficiale, e al termine di una stagione di scontri epici con Max Biaggi riporta in Italia il titolo iridato della massima categoria dopo ben 18 anni d’assenza.
Il 2002 vede l’arrivo delle MotoGP a quattro tempi. Valentino è in sella alla Honda RC211V, mezzo una spanna sopra alle rivali, e il campionato si chiude con largo anticipo. Rossi vince undici gare e sale sul podio nelle altre cinque.
Il 2003 sembra partire in maniera molto diversa: la tragica morte di Daijiro Kato fa salire sulla Honda ufficiale Sete Gibernau, che diventa inaspettatamente velocissimo, e lo stesso Max Biaggi è in sella ad una RCV privata. Se possibile, invece, si tratta del campionato che inizia la consacrazione di Rossi, con nove vittorie e gare come quella di Phillip Island nella quale Valentino vince la gara nonostante la penalizzazione per sorpasso sotto regime di bandiera gialla.
La cosa non basta a convincerlo a restare in Honda: nel corso dell’anno il cinque volte iridato matura un crescente disamoramento nei confronti di HRC, responsabile di considerarlo, secondo lui, un normale impiegato.
Con una lunga trattativa sotterranea Rossi passa alla Yamaha: tradimento che si consuma a Valencia con l’annuncio ufficiale nella conferenza stampa del dopogara in mezzo alle facce fra l’incredulo e il furibondo dello stato maggiore Honda.
La M1 era stata a dire poco deludente nei suoi primi anni di vita. Nel 2001 aveva collezionato due fortunose vittorie con Biaggi, nel 2002 nemmeno una e nel 2003 nessuna Yamaha ufficiale era mai salita sul podio. Ma ad Iwata la cosa non era andata giù, e i vertici della Casa dei tre diapason avevano iniziato a prendere provvedimenti. L’ingaggio di Rossi era stato il secondo, dopo la nomina di Masao Furusawa a capo del progetto MotoGP.
L’ingegnere rivoltò la M1 come un calzino, facendosi più di un nemico in Yamaha quando gettò a mare soluzioni consolidate come le cinque valvole per cilindro o introdusse l’albero motore con fasatura crossplane. Ma i risultati si videro subito: la Yamaha guadagnò una competitività inaspettata e con Rossi alla guida i risultati arrivarono fin dal primo contatto.
Nel 2004 la M1 e Rossi vincono al debutto, a Welkom, sconfiggendo lo storico rivale Max Biaggi. Nove vittorie, di cui alcune a dir poco storiche, gli fruttano un Mondiale conquistato con una gara d’anticipo, a Phillip Island, quando piega definitivamente un Sete Gibernau diventato nemico da semplice rivale dopo lo sgarbo di Losail.
Lo scontro fra i due continua alla prima gara del 2005, dove Rossi pur di non cedergli la vittoria entra con grinta inusitata al rampino di Jerez, ma dopo la prima gara Valentino sembra non avere più rivali: il settimo titolo iridato arriva sulla scia di ben 11 vittorie.
Non va così bene nel 2006: la stagione inizia male quando a Jerez Toni Elias stende Rossi centrandolo al primo giro. Non basta, perché la Yamaha diventa di colpo fragile, e le Michelin, incalzate da Bridgestone sempre più competitive, cedono diverse volte. A metà stagione il Mondiale sembra compromesso, ma Valentino e la M1 si esibiscono in un’improbabile rimonta, coronata con il sorpasso dell’Estoril quando Pedrosa tenta un sorpasso suicida su Hayden facendolo cadere.
Ma a Valencia lo attende la beffa finale: l’unico errore della stagione, una partenza a rallentatore dalla pole position e la scivolata nelle prime battute di gara, lo costringono ad abdicare ad un determinatissimo Nicky Hayden.
L’anno successivo arriva il primo cambio di regolamento dell’era MotoGP, con il passaggio alle 800 cc. Honda si fa trovare clamorosamente impreparata, Yamaha quasi: la M1 si rivela fragile peggio dell’anno precedente, ma soprattutto poco competitiva, e Rossi finisce sconfitto da Casey Stoner e dalla Ducati.
La risposta non tarda: Valentino chiede ed ottiene le Bridgestone, e il 2008 inizia con un tiepido ottimismo. Le vittorie però non arrivano subito mentre il suo compagno di squadra Jorge Lorenzo (con le Michelin) vince alla terza gara; mentre molti stanno già suonando il De Profundis per The Doctor, lui e la squadra stanno lavorando per adattare la ciclistica della Yamaha a pneumatici nati per la stranissima distribuzione dei pesi della Desmosedici.
Rossi ricomincia a vincere in Cina, prende il comando del mondiale erintuzza la rimonta di Stoner con la storica gara di Laguna Seca. Da quel momento il mondiale svolta: l'australiano sbaglia per altre due volte consecutive, Rossi continua a vincere con la grinta dei giorni migliori e l’ottavo titolo iridato arriva quasi con facilità.
Il 2009 cambia di nuovo le carte in tavola: il monogomma Bridgestone dovrebbe livellare i valori in campo. In realtà la situazione avvantaggia chi con Bridgestone ci ha già lavorato, per cui la lotta per il titolo si rivela in realtà uno scontro fra Rossi e il sempre più ingombrante compagno di squadra, Jorge Lorenzo.
L’astuzia di Rossi vince ancora, anche in questo caso con gare entrate nella leggenda come quelle diBarcellona, con il suo sorpasso all’ultima curva, o di San Marino quando Valentino, a Misano, reagisce all’errore di Indianapolis dominando ogni singola sessione in cui scende in pista. Arriva il nono titolo, ma Rossi sembra sempre più in affanno nel difendersi da Lorenzo.
Il 2010 sembra avviata ad essere la stagione più difficile di sempre per Valentino, ma le speranze di vedere uno scontro da leggenda si smorzano quasi immediatamente: l’infortunio alla spallanell’allenamento con la moto da cross e la successiva caduta al Mugello, in cui Rossi si frattura la gamba ed è costretto a saltare tre gare – Valentino non aveva mai perso un GP dal debutto al Mondiale – chiudono il discorso iridato. Anche la vittoria di Sepang, arrivata proprio nel giorno in cui Lorenzo festeggia il suo primo titolo iridato nella classe regina, non sembra cambiare la situazione.
La Yamaha è ormai la squadra di Jorge Lorenzo, che rappresenta il futuro della Casa di Iwata, e il pensionamento di Masao Furusawa è l’elemento che spinge Rossi ad andarsene.
A Valentino resta aperta la sola porta Ducati, e pur con mille incertezze Rossi approda a Borgo Panigale portandosi dietro la squadra. Il primo test con la Desmosedici è un disastro, ma Rossi soffre ancora alla spalla – che non si è ancora operato proprio per poter provare la Ducati a Valencia, grazie ala liberatoria concessa da Yamaha – e i problemi vengono mascherati.
Ma il nove volte iridato non raggiungerà mai il giusto feeling con la Desmosedici, e i risultati non arrivano né subito né mai. Una leggera crescita iniziale illude i fan, ma la Desmosedici è arrivata alla fine della sua evoluzione e lo sviluppo – necessario per adattarsi ad un monogomma che non accetta più soluzioni differenti da quella imposta dal gommista – non arriva mai a colmare il divario da Honda e Yamaha.
Ducati e Rossi si allontanano sempre di più, con rimpianti reciproci per non essere riusciti a concretizzare quello che per molti era un sogno: la vittoria di un binomio italiano. Dopo un anno e mezzo di insuccessi la pressione – esterna ed interna – si fa insostenibile, e nemmeno l’arrivo di Audi convince Rossi a restare: il tempo stringe, e Valentino vuole vincere ancora. Il che significa tornare dove sa di poterlo fare. In Yamaha.
Il resto è storia recente: Valentino torna nella squadra che lo ha consacrato campione più di ogni altra, ma nell’inedito ruolo di seconda guida. La stagione inizia con lo splendido, grintosissimo secondo posto di Losail ma le cose si fanno presto più difficili del previsto: la M1 non è più quella che Rossi aveva lasciato due anni fa, la guida di Valentino non sembra adattarsi alla moto, cambiata per venire incontro allo stile di Lorenzo, e solo ad Assen – con Lorenzo e Pedrosa virtualmente fuori gara – Vale torna sul gradino più alto del podio.
La stagione prosegue con qualche malumore che culmina conl’inaspettato divorzio, dopo quattordici anni di avventure, fra Rossi e Burgess. Arriva Silvano Galbusera, che Rossi aveva conosciuto ai tempi del recupero dall’infortunio, e la M1 cambia un po’ avvicinandosi alle esigenze di Valentino. Sarà sufficiente per tornare competitivi? I test di Sepang sembrano dare responso positivo, ma solo la prima gara, il 23 marzo in Qatar, ci dirà veramente se Rossi è rinato. A 35 anni – a proposito: auguri, campione! – potrebbe farci parlare nuovamente di leggenda.