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Un altro record abbattuto per Valentino Rossi: 6.000 punti – 6.007 per la precisione – raccolti in una carriera lunga ormai ventidue anni, in una fase sportiva in cui continua incredibilmente a correre con la voglia e la determinazione di un ragazzino, in una MotoGP dominata da piloti molto più giovani di lui, come se l’età non fosse che uno stato mentale. Teoria che, del resto, negli ultimi anni diversi atleti hanno sicuramente dimostrato in più di uno sport…
Intendiamoci: questo non è sicuramente il record che più interessa a The Doctor, che da anni non fa (troppo) mistero di inseguire il decimo titolo iridato, quell’ottavo in classe regina che lo metterebbe alla pari di Sua Maestà Giacomo Agostini, e quelle otto vittorie che gli servono per raggiungere – anche in questo caso – Ago al vertice dei record del Motomondiale. Ma rimane un record che racconta come pochi altri il valore della sua carriera, con alti e bassi, ma sempre ai massimi livelli. Una carriera che parla di una longevità assolutamente unica in questo sport, e che lo rende ancora una volta unico fra i fenomeni della MotoGP.
Abbiamo pensato di ripercorrerla sinteticamente, rivivendo le stagioni che lo hanno portato a superare i traguardi “tondi”, le singole migliaia che hanno composto questo record, per ricordare ventidue anni e farci tornare a sentirci… come eravamo.
Il primo traguardo, quello dei 1.000 punti, Valentino lo taglia al suo primo anno nella 500. Dopo i due titoli in 125 e 250, Rossi debutta sulla sella più ambita della classe regina: quella della Honda NSR 500 lasciata libera da Michael Doohan, assistita dai tecnici coordinati da Jeremy Burgess. Una posizione di lusso, perché al di fuori della squadra ufficiale (che quell’anno schiera Crivillé e Okada) ma in un team satellite, sponsorizzato da Nastro Azzurro, che gode praticamente di tutti i privilegi degli ufficiali, ma senza la pressione della permanenza nel team interno.
Vale cresce rapidamente, ma confermando la tendenza degli anni precedenti – quando nella prima stagione prende le misure alla moto alternando vittorie a cadute rovinose, per poi vincere il titolo l’anno successivo – conquista due vittorie (Donington e Rio), sette podi ma anche tre cadute, con quella di Valencia, a tre gare dal termine, che sancisce il suo addio alle chance di aggiudicarsi il titolo iridato.
Ma è la stagione in cui Rossi dimostra di essere già completo, e pronto per vincere anche in 500. E dall’anno successivo gli avversari lo avrebbero imparato a loro spese, tanto che Kenny Roberts Senior, da sempre noto per la sua franchezza tipicamente Yankee, commentò la vittoria del figlio dicendo “Sono felice che Junior abbia vinto il titolo quest’anno, perché dall’anno prossimo non ne avrebbe avuto la minima possibilità”. Il resto, come si suol dire, è storia…
Il 2003 è il primo anno di MotoGP per tutti. Sparita la convivenza con le 500, e allargatasi la disponibilità delle 990 a quattro tempi, sembra che il campionato sia più aperto, ma così non è. Mai giù dal podio, Rossi incamera nove vittorie, cinque secondi posti e due terzi. Il binomio Rossi-Honda sembra imbattibile, ma già dall’estate non inscindibile, perché iniziano a circolare voci di un clamoroso passaggio alla Yamaha.
Rossi, infastidito da chi sostiene che la sua superiorità derivi in gran parte dal mezzo meccanico, complice la politica Honda che tende a valorizzare i team privati e le loro imprese, decide infatti di accettare la sfida Yamaha: riportare alla vittoria la Casa di Iwata, che proprio nel 2003 vive la sua stagione peggiore. Mai vincente, con all’attivo solo un fortunoso podio ad opera – tra l’altro – del team satellite, e non di quello interno.
Per Rossi è un anno incredibile, con imprese come quella di Phillip Island: In Australia Valentino viene penalizzato di 10 secondi per un sorpasso in regime di bandiere gialle, ma non si dà per vinto, e inizia a macinare giri veloci, arrivando a staccare Capirossi di 15”2 e conquistando una vittoria che era apparentemente impossibile. Tanto che quasi nessuno crede che Rossi possa veramente abbandonare la Honda: e l’annuncio – al termine della gara di Valencia – lascia di stucco Carlo Fiorani e fa imbestialire Suguru Kanazawa, che si sbilancerà in un’improbabile profezia (“vinceremo con un anonimo pilota giapponese”) dimostratasi poi clamorosamente sbagliata, perché per vedere un’altra vittoria Honda bisognerà poi attendere il 2006. Nel frattempo, Valentino porterà alla vittoria la Yamaha per due stagioni consecutive, entrando definitivamente nella leggenda.
Alla vigilia del 2006, nessuno avrebbe scommesso un soldo contro Valentino Rossi e la Yamaha YZR-M1. Troppo netta la loro superiorità nei due anni precedenti, ma soprattutto nessuna avvisaglia all’orizzonte che la situazione potesse cambiare.
E invece, la prima sconfitta di Rossi è dietro l’angolo. L’anno inizia male: un contatto con Elias lo manda a gambe all’aria e la gara finisce con un anonimo quattordicesimo posto. E la vittoria in Qatar non basta a risollevare la situazione, perché in Turchia, Cina e Francia, Vale segna altri tre zeri per problemi meccanici e di gomme. La stagione continua fra pochi alti e molti bassi, con vittorie intercalate a gare tormentate da problemi, mentre Nicky Hayden, fino ad allora considerato un onesto lavoratore del manubrio ma niente di più, con una regolarità impressionante accumula punti pesanti. Fino al finale thrilling di Valencia.
All’Estoril, nella gara precedente, succede di tutto. Rossi sabato boccia la gomma speciale Michelin destinata ai piloti ufficiali, preferendo quella standard. E quella gomma, come da procedura della Casa francese, viene messa a disposizione di Toni Elias, che fa la gara della vita e all’ultima curva beffa Rossi e Roberts, andando a vincere e rubando cinque preziosissimi punti a Valentino. Si, perché nel frattempo il debuttante Pedrosa, vittima di un eccesso di entusiasmo, stende il compagno di squadra Hayden alla Parabolica interna: un incidente che finisce con Hayden in lacrime per la sua leadership mondiale svanita in un soffio, ma al quale Nicky reagisce presentandosi a Valencia con una concentrazione e una determinazione incredibili.
Anche a Valencia tutti i pronostici saltano: Rossi, solitamente poco incisivo in prova, conquista la pole e la domenica sembra destinato a conquistare il suo ottavo titolo iridato. Ma alla partenza sbaglia, la moto si impenna e si trova a dover recuperare, commettendo un errore impensabile e scivolando via. Il recupero non lo porta da nessuna parte, perché da un lato sulla RC211V numero 69 c’è forse il miglior Hayden di sempre, che si mette calmo solo dopo la segnalazione della scivolata di Rossi (lasciando la vittoria a un Bayliss in gita premio, che così entra nella leggenda), ma anche perché la sua azione risulta meno incisiva del solito. Qualcuno parla di una gomma fallata, altri di una crisi di “braccino” di un Valentino mai trovatosi a giocarsi un Mondiale all’ultima gara: fatto sta che Rossi non va oltre il tredicesimo posto, ed elegge Valencia – che non gli è mai piaciuta – come la pista che odia di più al mondo…
Il 2009, fra le stagioni vincenti, è forse quella più sofferta per Valentino. Tornato alla vittoria nel 2008 dopo due anni di bocconi amari, Rossi è in una situazione molto difficile. Masao Furusawa, il tecnico-manager artefice del suo arrivo in Yamaha, quello che lo ha accompagnato per tutta la sua avventura e probabilmente il suo principale sostenitore (assieme a Davide Brivio) all’interno della Casa di Iwata, è sulla via della pensione. E Lin Jarvis, manager assennato e lungimirante, non fa mistero di puntare sul giovane e arrembante Jorge Lorenzo per il futuro. Dopotutto, Rossi ha compiuto trent’anni ed è considerato all’apice della sua carriera, cui non può seguire che un inesorabile calo.
Rossi deve difendere il territorio attingendo ad esperienza e astuzia, per battere un avversario che quanto a manico ne ha perlomeno quanto lui, e dispone del suo stesso materiale. Strategie come la “finta soft” del Sachsenring, le punzecchiature in pista di Brno, ma anche i due sorpassi impossibili del Catalunya, servono a minare la sicurezza di Lorenzo, che a fine stagione viene sconfitto, si, ma lasciando a tutti la netta impressione che la sua vittoria sia solo una questione di tempo…
Se i traguardi precedenti erano stati tagliati a intervalli di tre anni, ce ne sono voluti cinque per arrivare ai 5.000 punti. Un anno passato quasi tutto in panchina – il 2010 – e le due rovinose stagioni in Ducati hanno appannato immagine e polso destro di Valentino, che nel 2013 torna all’ovile Yamaha, ma deve letteralmente reimparare a guidare. Al termine di quella prima stagione di rientro sulla M1, Rossi colleziona una fortunosa vittoria – ad Assen, quando Márquez e Lorenzo corrono infortunati – e poco di più, tanto che il 2014 è visto da molti come l’anno della verità.
Stavolta Rossi non delude, nonostante un Márquez strepitoso e ormai già consacrato come mostro sacro: due vittorie (una nella “sua” Misano e l’altra a Phillip Island, pista dove The Doctor ha corso alcune delle sue gare migliori) e tanti podi. E la convivenza con Lorenzo, a ruoli forse invertiti – Jorge è sicuramente più veloce di lui, ma spesso meno lucido – inizia a farsi scomoda, perché dopo la distensione dell’anno precedente, ora Rossi è tornato ad essere fastidioso. Una situazione che getta le basi per il 2015, con le polemiche che hanno riportato Valentino ad essere il numero uno per il team di Iwata.
Anche stavolta passano quattro anni avari di vittorie, ma Rossi è ancora lì, sempre lì davanti, a giocarsela con piloti che hanno dieci anni meno di lui – quando va bene – e i suoi coetanei sono tutti a godersi la meritata pensione. Vale ha infatti assistito al ritiro di quasi tutti i suoi avversari del periodo vincente: con il dichiarato ritiro di Pedrosa, oggi resta solo Jorge Lorenzo fra quelli davanti ai quali ha vinto un titolo.
Ma la voglia, la grinta, la concentrazione sul lavoro sono quelle dei giorni migliori. Anche l’arrivo di Maverick Viñales, che nel 2017 ha sostituito Jorge Lorenzo, non lo ha scalfito più di tanto, perché Rossi si allena più di tutti gli altri, e forse – poco mattiniero com’è – non sarà il primo ad arrivare ai box, ma di sicuro è sempre l’ultimo a lasciarli.
Chi gli è vicino parla di un pilota determinatissimo, quasi ossessionato dalla vittoria, che non pensa ad altro se non a limare decimi qua e là studiando gli avversari e la moto. Un pilota che, nonostante i quarant’anni in arrivo, non pensa minimamente a mollare – sicuramente per le prossime due stagioni, poi… si vedrà. Ma se fra qualche anno ci ritrovassimo qui a dover parlare del primo pilota a raggiungere quota 7.000 punti, non saremmo troppo stupiti. Ammirati, sì. Questo sì.
Anno |
Punti |
Totale |
Traguardo |
1996 |
111 |
||
1997 |
321 |
432 |
|
1998 |
201 |
633 |
|
1999 |
309 |
942 |
|
2000 |
209 |
1.151 |
1.000 |
2001 |
325 |
1.476 |
|
2002 |
355 |
1.831 |
|
2003 |
357 |
2.188 |
2.000 |
2004 |
304 |
2.492 |
|
2005 |
367 |
2.859 |
|
2006 |
247 |
3.106 |
3.000 |
2007 |
241 |
3.347 |
|
2008 |
373 |
3.720 |
|
2009 |
306 |
4.026 |
4.000 |
2010 |
233 |
4.259 |
|
2011 |
139 |
4.398 |
|
2012 |
163 |
4.561 |
|
2013 |
237 |
4.798 |
|
2014 |
295 |
5.093 |
5000 |
2015 |
325 |
5.418 |
|
2016 |
249 |
5.667 |
|
2017 |
208 |
5.875 |
|
2018 |
132 |
6.007 |
Dopo il GP di Brno |