Ha vinto tanto, tantissimo. Una delle sue frasi più celebri era: «I bravi ragazzi non vincono mai».
Tanto aggressivo sulla pista quanto timido fuori dai circuiti. Ma nonostante un'indole introversa agli avversari non le ha mai mandate a dire, anzi.
Ora, come è consuetudine fare quando i fatti sono diventati ricordi, ha chiesto pubblicamente scusa ai suoi avversari.
Sul socialnetwork Twitter ha scritto: «Voglio solo chiedere scusa per le cose che ho detto quando correvo. Principalmente ad Aaron Slight, Scott Russel, Colin Edwards e...».
Fuori dai 140 caratteri consentiti ha poi anche aggiunto: «... mi dispiace»
Nella lista ha però "dimenticato" Pierfrancesco Chili con il quale ebbe un vivace diverbio ad Assen.
Chi era
(di Nico Cereghini)
Fogarty, un mito. Uno che guidava le Ducati come se volesse spezzarle in due. Uno che ha vinto tanto, più di tutti. Sulla moto un leone, timido e solitario a piedi. La sua frase più celebre: “I bravi ragazzi non vincono mai”.
Carl George, classe 1965, a tredici anni è già sulle piste da cross con papà George. Poi si decide per l’asfalto con una 250 Yamaha, lì arrivano le prime vittorie in gare nazionali. Foggy però ben presto capisce di amare le grosse quattro tempi, e dopo i titoli nazionali arrivano i due mondiali della formula TT F1, il Tourist Trophy, il titolo mondiale Endurance del ’92. Lui in realtà era stato tentato anche dai GP, dalla 500 a due tempi, e lo troviamo nelle classifiche del ’90 con una Honda; ma quando si concentra sulla SBK arriva finalmente la prima vittoria, a Donington Park, stagione 1992.
Io lo ricordo bene, proprio a Donington l’anno dopo: con la Cagiva partecipava per premio alla gara delle 500 ed era già sul podio dietro a Cadalora e Rainey quando finì la benzina a pochi metri dal traguardo. Fece il quarto, incazzatissimo. Quella volta l’ho intervistato per la TV, lui tiene le distanze e non si lascia mai andare.
Nel ’93 è secondo nel mondiale SBK dietro a Scott Russel, però è già uno che vince tanto: undici manches sono sue. Poi finalmente nel ’94 è campione mondiale con la Ducati 916, e bissa trionfamente il titolo l’anno successivo. A quel punto King Carl è il più amato della Superbike, i suoi occhi hanno colpito la fantasia di tutti gli appassionati. E come guida lui la moto non la guida nessuno: spiritato, violento, piega e raddrizza la sua Ducati come fosse un cavallo da rodeo. Nel ’96 però è soltanto quarto: ha avuto la cattiva idea di passare alla Honda, convinto di poter vincere con qualsiasi moto; ma quando torna alla Ducati è subito secondo dietro a Kocinski. Ed è uno smacco: l’americano guida proprio la Honda che Carl ha lasciato…
Ma nessuno può dubitare che l’inglese sia tosto e lui certamente non molla: è campione per la terza volta nel 1998 con il team privato di Tardozzi, e ancora nel ‘99 con la 996 ufficiale. Quattro titoli SBK in sei stagioni. Nessuno ha vinto tanto quanto lui nella SBK: 59 vittorie parziali su 220 partenze, con 109 podi, 48 giri veloci e 21 pole position. Oltre 3.000 i punti collezionati.
Dopo il terribile incidente del 23 aprile 2000, nella seconda manche di Phillip Island, King Carl prova in tutti i modi a rientrare, ma la spalla sinistra non va a posto perfettamente e il 21 settembre annuncia ufficialmente: mi ritiro. Per quattro anni resterà nell’ambiente che ama, come team manager del Foggy Racing, con le Petronas. Ma niente da segnalare.
I suoi occhi e la sua guida di forza restano nel cuore degli appassionati e soprattutto in quelli dei ducatisti: altri piloti hanno vinto con le rosse, Troy Bayliss è stato un degnissimo successore con i suoi tre titoli mondiali, ma Fogarty è a quattro, e resta il primo che ha acceso la fantasia e l’appetito della Ducati.