Nico Cereghini: “Cosa succede a uno come Sykes, che cade nel giro di ricognizione?”

Nico Cereghini: “Cosa succede a uno come Sykes, che cade nel giro di ricognizione?”
Era reduce da un terzo posto, era lì per vincere, scattava dalla pole. Un attimo di disattenzione e addio sogni di gloria. Alle volte basta poco per segnarti, e non sai fino a che punto | N. Cereghini
11 giugno 2013

 
Ciao a tutti! E tutti a chiedersi cosa sia successo a Sykes nel giro di ricognizione di gara 2 a Portimao: fermo a bordo pista, la moto spenta e il cupolino rotto. Certo, era caduto, ma come? Immagini zero. La curiosità è stata poi accantonata per via delle nuove preoccupazioni: ce la farà Tom a riavviare la moto? Riusciranno i meccanici a ricostruire la verdona in tempo? E poi la Kawasaki sarà abbastanza in ordine? Beh, oggi sappiamo com’è andata, Tom è stato eroico e sfortunato: altra sosta poi dentro, ha dato l’anima, ha stabilito il giro record, ma recuperare sette giri era troppo e punti non ne ha presi.

Nessuno sa cosa sia successo nel giro di ricognizione all’ormai quasi mitico pilota inglese. Ma io lo so. O per lo meno so immaginare molto realisticamente che cosa ha provato: come tutti i piloti e gli ex-piloti ho un archivio di delusioni tanto grande da poterci rovistare dentro e trovare l’episodio che mi serve. Non sono mai caduto nel giro di ricognizione, come pure è successo anche ai più grandi, anche a Stoner; però sono caduto alla prima curva quando ero in testa (che è una vergogna terribile), sono caduto all’ultima curva quando finalmente ero riuscito a passare Agostini (che ancora mi spernacchia pubblicamente), e soprattutto –ecco l’episodio giusto- non sono riuscito nemmeno a partire in una gara che poteva essere ottima.

Era l’ultima prova del campionato italiano 1976, classe 500, al Mugello. Scattavo dalla prima fila, ero tranquillamente da terzo o quarto posto, su quella pista avevo già fatto due gare internazionali e due podi. In particolare alla fine del ’75 ero stato terzo in 500 dietro ad Ago (Yamaha campione del mondo) e a Phil Read (MV Agusta), anche se mi manca la fotografia perché quei due fenomeni si odiavano così tanto che disertarono la premiazione… E comunque mi bastava un solo punto per chiudere il campionato al terzo posto dietro ad Ago e Lucchinelli. Ma la Suzuki RG 500 quattro cilindri pesava 138 chili più 36 litri di carburante, si partiva a spinta, il rettilineo toscano è in leggera salita. E avevo l’influenza con 39 di febbre.

A quasi quarant’anni di distanza quella delusione me la porto ancora dentro. Il gruppo già usciva dalla Bucine per chiudere il primo giro, a quel punto dovetti accostare sulla destra e arrendermi. Mi venne a prendere un meccanico, ma ci sarebbe voluto il dottor Costa perché quasi non respiravo più.

Non riuscire a partire è come una perdita. Tom Sykes ha potuto in parte consolarsi perché subito dopo ha girato forte, ha vendicato la sorte. Io no. Vi parrà difficile da credere, eppure ancora oggi il mio sogno ricorrente è quello: sono lì per correre, ci sono tutti i migliori e la vittoria è possibile (il sogno è sogno), però non riesco nemmeno a prendere la partenza perché mi manca il casco, o la benzina, o non trovo i meccanici oppure la licenza o ancora non ho il numero sulla carenatura. E sapete una cosa? Ne ho parlato con Giacomo Agostini dieci giorni fa al Mugello, c’era anche Luca Cadalora che ha detto “cosa? Cosa?”. Tutti e due sono rimasti interdetti: sognano la stessa situazione da sempre e scoprono soltanto adesso di non essere i soli. Basta una partenza mancata e sei segnato per sempre, ecco la verità.

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