Nico Cereghini racconta la storia di Carlos Checa e il suo trionfo in SBK

La prima volta che vidi Carlito Checa era il ’93, GP d’Europa a Barcellona, e lui era una wild card. Adesso compie 39 anni ed è campione del mondo Superbike | N. Cereghini
17 ottobre 2011

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La prima volta che vidi Carlito Checa era il ’93, GP d’Europa a Barcellona a luglio, e lui era una wild card (da tre anni correva nella sua Catalogna), e fece il settimo nella 125 vinta in volata da Ueda. I primi quattro in 22 centesimi di secondo! Bravo, subito passò in 250 con la Honda, due volte quarto, ma insomma pareva un bravo ragazzo ma un pilota normale. In quel momento c’era uno spagnolo che andava forte, in 500, ed era Alberto Puig. Quando a Le Mans, nel ’95, Puig si distrusse la gamba che ancora oggi lo fa soffrire, Carlos lo sostituì sulla NSR 500.

Che pilota è stato, Carlos, in 500 e in MotoGP? Veloce e tenace, ma incostante. Due vittorie e un totale di 24 podi in tredici stagioni non rappresentano certo un record. Prima sulla Honda di Pons, poi, dopo l’incidente di Donington ’98 che quasi lo portò alla morte dopo l’asportazione della milza e un grumo di sangue nel cervello, sulle Yamaha che gli scappavano via tropo spesso davanti. Fece belle imprese, ma tante cadute, si trovò meglio sulle MotoGP, le prime 1000 a quattro tempi, e fu con Valentino nel 2004; però Rossi vinse il titolo e lui fu settimo.

Ramon Forcada, il responsabile tecnico Yamaha oggi con Lorenzo, mi dice che Carlito è stato, con Barros, il miglior ragazzo che abbia guidato nei box. Il suo unico limite di allora –mi ha detto- è che voleva fare l’ingegnere, voleva sapere tutto sul funzionamento della moto, perdeva troppo tempo dietro ai tecnici invece di concentrarsi sulla guida, adesso è fortissimo perché più libero di testa.

 

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Con Genesio Bevilacqua di Althea è stato un incontro magico, alla fine del 2008, quando “El Toro” voleva ormai mollare. E con la 1198 la sua guida è diventata arte

Il 2005 con la Ducati e Capirossi, il 2006 con Yamaha Dunlop Tech Tre, il 2007 ancora sulla Honda, con Cecchinello; ma la nuova 800 non era granchè. Lì la svolta: nell’estate fu chiamato dalla Honda a correre la 8 ore di Suzuka con la CBR 1000 RR, in coppia con Okada. Fu secondo e si innamorò delle SBK. Con le derivate di serie il catalano ha vinto, con Magny Cours, 19 volte: 2 con la Honda nel 2008, tre con la Ducati l’anno dopo, 11 in questa stagione. Con Genesio Bevilacqua di Althea è stato un incontro magico, alla fine del 2008, quando “El Toro” voleva ormai mollare. E con la 1198 la sua guida è diventata arte. Dal 1990 la Ducati ha vinto tredici titoli piloti e 16 costruttori, ma il 2011 è stato il primo dopo “il ritiro ufficiale”. La moto era quella giusta, Borgo Panigale ha lavorato ed evoluto il materiale che ha conquistato 14 vittorie, 20 podi e sei pole.

Carlos, che conosce le mia passioni, una volta mi ha proposto di andare con lui in montagna: sui Pirenei ha una casa. Ho detto: bello, cosa facciamo? Arrampichiamo, mi ha risposto e ha tirato fuori una serie di foto da brividi. Ciao, io sono un montanaro più modesto, e poi lui mica si accontenta: fa equitazione, paracadutismo, bicicletta, nuoto e anche corsa. Dice che la forma fisica è importante, per fare due manches di seguito in SBK, ma la forma mentale lo è anche di più: dopo aver sfiorato la morte tredici anni fa è andato dallo psicologo e si sente più forte.

Dice anche che il sette è il suo numero fortunato, come per Barry Sheene, ed è convinto di essere un predestinato. Il giorno della sua nascita, vicino a Barcellona, il padre correva all’ospedale per vederlo ed ebbe un incidente, con la moto; eppure non la prese male e gli regalò il primo motorino quando Carlito aveva solo dodici anni. Non poteva mica guidarlo, il bolide restava nel box chiuso con la catena, ma il ragazzino trovò il modo di aprirla e chiuderla senza farsi mai scoprire.

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