Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su [email protected]
La funzione smorzante è fondamentale, come quella elastica, ma occorre che agisca in maniera diversa nei due sensi e che sia regolabile.
Le molle della sospensione provvedono alla funzione molleggiante, deformandosi elasticamente; in questo modo assorbono energia comprimendosi e la restituiscono successivamente estendendosi. La cosa però non finisce qui, perché se non intervengono forze esterne a frenare questo movimento, esso continua come una serie di oscillazioni che si susseguono con ampiezza via via decrescente.
È possibile fare un’analogia con un asse da trampolino, il quale continua a oscillare anche dopo che è repentinamente cessata la forza che ne ha determinato la deformazione elastica, ovvero dopo che il tuffatore lo ha abbandonato in maniera improvvisa. Anche una molla elicoidale, come quelle impiegate nelle sospensioni, si comporta in questo modo. Sotto l’azione di una forza perturbante (ad esempio, causata da una asperità che la ruota incontra nel suo percorso) si comprime, per estendersi quindi non appena essa cessa di agire, ovvero subito dopo che l’ostacolo è stato superato. La restituzione di energia avviene con grande rapidità e dà origine a oscillazioni, deleterie per la tenuta di strada, e quindi per la guidabilità della moto, e per il confort di marcia.
Per evitare che questo possa accadere è necessario impiegare un dispositivo in grado di frenare tale movimento, ovvero di esercitare una vigorosa azione smorzante. In altre parole, occorre abbinare alla molla un ammortizzatore, il cui intervento deve avvenire con modalità appropriate.
Come noto la funzione delle sospensioni è quella di mantenere le ruote sempre a contatto col suolo, in modo da poter trasmettere le forze longitudinali e trasversali, di stabilizzare i movimenti della parte sospesa del veicolo (cioè quella che poggia su di esse) e di assicurare una adeguata confortevolezza.
Gli elementi elastici, ossia le molle, determinano l’entità dell’affondamento dovuto alle forze che agiscono verticalmente, tanto durante la marcia quanto a moto ferma. Sono loro dunque che, anche in condizioni statiche, sostengono il carico. Gli ammortizzatori invece lavorano solo in condizioni dinamiche, ossia in presenza di movimento, e hanno la funzione di generare una forza che si oppone al moto della sospensione, rallentandolo come opportuno. Al loro interno l’energia meccanica viene convertita in calore. La loro azione impedisce alle molle di comprimersi e di estendersi troppo velocemente; la funzione smorzante viene infatti esercitata nei due sensi (come vedremo, è opportuno che questo avvenga con intensità notevolmente diverse).
Da molti anni a questa parte gli ammortizzatori impiegati in campo motociclistico sono idraulici; il loro funzionamento, cioè, si basa sul fatto che un liquido costretto a passare attraverso un foro di modesto diametro oppone una resistenza, che aumenta se si cerca di farlo passare più velocemente. Come ovvio, anche al diminuire del diametro dei fori cresce la resistenza opposta dall’olio, cioè aumenta la frenatura idraulica.
Schematicamente la struttura di un ammortizzatore prevede un corpo cilindrico contenente olio, all’interno del quale è alloggiato un pistone munito di uno o più fori calibrati, fissato alla estremità di uno stelo, ovvero un’asta di acciaio. Uno di questi due elementi (il corpo dell’ammortizzatore o il gruppo stelo-pistone) è vincolato al telaio della moto mentre l’altro è vincolato al forcellone o è collegato ad esso tramite un leveraggio. Dunque, ci sono una parte fissa e una parte mobile; durante l’escursione molleggiante il pistone si sposta, ma nel far questo è frenato dalla azione del liquido, che viene forzato attraverso i passaggi calibrati.
Le limitazioni di un dispositivo così realizzato, ossia di un ammortizzatore “elementare”, sono fondamentalmente due. Tanto per cominciare, mano a mano che la sospensione viene compressa lo stelo entra in misura maggiore nel corpo cilindrico, facendone diminuire il volume utile interno; di conseguenza dentro l’ammortizzatore non può esserci solo olio (i liquidi sono praticamente incomprimibili) ma deve esserci anche aria, o comunque gas, che può essere agevolmente compresso e quindi diminuire di volume. C’è allora il problema di come evitare che il gas possa mescolarsi con l’olio e formare delle bolle (se questo si verifica, il funzionamento dell’ammortizzatore peggiora enormemente, diventando erratico e imprevedibile).
Le condizioni di lavoro sono assai gravose, con un continuo e rapido susseguirsi di movimenti del pistone e pertanto è pressoché impossibile evitare la formazione di bolle e di schiuma, se nel vano di lavoro il gas è a contatto col liquido. Negli ammortizzatori moderni, come vedremo, questo problema è largamente superato.
Se lo stelo fosse passante, come accade di norma negli ammortizzatori di sterzo, lo spostamento del pistone non darebbe luogo a variazioni del volume interno. Nel caso delle sospensioni però sorgerebbero dei problemi di ingombro. Inoltre raddoppierebbe il numero degli elementi di tenuta, in quanto sarebbe necessario un paraolio a ogni estremità del corpo cilindrico. Ammortizzatori di questo tipo sono stati provati sporadicamente, anche di recente, ma non si sono diffusi.
Un’altra limitazione dell’ammortizzatore elementare è costituita dal fatto che dotando il pistone di uno o più fori si hanno degli orifizi fissi che, se sono in grado di fornire una frenatura adeguata alle basse velocità di movimento, non lo sono alle alte, in corrispondenza delle quali lo smorzamento diviene eccessivo; nei casi limite si potrebbe addirittura arrivare al bloccaggio della sospensione. A questo si è posto rimedio realizzando orifizi a sezione variabile, controllati da valvole che si aprono in maggiore o minore misura in funzione della velocità di spostamento del pistone. Come ovvio, se si adottano valvole unidirezionali e passaggi di differenti dimensioni è possibile ottenere frenature idrauliche diverse in estensione e in compressione.
La resistenza che il pistone oppone al moto è determinata, oltre che dalle dimensioni dei fori di passaggio, dalla viscosità dell’olio e dalla velocità del movimento. Gli ammortizzatori idraulici sono dunque dei dispositivi “speed sensitive”.
Nello sviluppo e nella messa a punto degli ammortizzatori l’obiettivo è quello di ottenere una elevata sensibilità in presenza di piccoli spostamenti e/o di modeste velocità di movimento del pistone, abbinata a un vigoroso smorzamento alle alte velocità.
La frenatura in compressione controlla la rapidità con la quale ha luogo l’affondamento della sospensione (ovvero la prontezza con la quale essa reagisce a una forza perturbante che tende a farla comprimere) mentre quello in estensione regola la velocità con la quale la sospensione stessa torna alla posizione originale.
In linea di massima, se la frenatura è eccessiva, in compressione le irregolarità del fondo stradale si sentono di più mentre in estensione si ha un ritorno troppo lento. Se invece la frenatura è insufficiente, in compressione si ha un affondamento troppo rapido e in estensione si può addirittura avere una sorta di rimbalzo, con perdita di contatto tra pneumatico e suolo.