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Sapevo che Hubert era ricoverato in ospedale da novembre e le sue condizioni erano peggiorate. Il Covid-19 ce lo ha portato via un mese dopo la scomparsa della moglie, Caroline, vittima di un incidente stradale. Chissà se lo sapeva, se glielo avevano detto, chissà se si è lasciato morire.
Con Hubert se ne va un amico, e poi il personaggio che per me era il numero uno assoluto della Parigi-Dakar. Perché ha vinto due volte tra le moto con la BMW, perché ha sfiorato il successo con la Cagiva, perché è stato il primo pilota di moto capace di vincere anche al volante di un’auto. Ma soprattutto perché il suo viso, il suo sorriso, la sua stessa storia incarnano perfettamente lo spirito migliore del rally.
Due immagini ci porteremo tutti e per sempre nella memoria. Quel volo con la Cagiva su una duna troppo alta e quel finale della penultima tappa 1987, le caviglie fratturate e l’addio al successo ormai certo con la bicilindrica italiana. Il volo era stato filmato da un comune amico e collega, operatore e giornalista, che ci ha lasciato a soli 45 anni nel 2001: Pepi Cereda, lo stesso che riuscì a riprendere il fantastico rodeo di Mamola a Misano nell’85. Pepi quel giorno si aspettava che Hubert rallentasse, solo dopo si rese conto della trappola, allora mollò la telecamera e corse sulla pista per far rallentare i piloti in arrivo.
Hubert nei primi anni Novanta veniva spesso a Milano nelle redazioni Mediaset. Per La Cinq si preparò insieme e si registrò a lungo la versione francese del nostro programma settimanale, Grand Prix. Chi poteva essere il conduttore, se non lui? Passammo molto tempo insieme, in quell’epoca, con Pepi e con il produttore Marco Oliveri, e quando Auriol si buttò sul progetto 24 Ore di Le Mans lo seguimmo in diretta.
E’ stato un grande professionista, Hubert, ma soprattutto un grande pilota di moto. Potente, vincente, elegante anche quando litigava con la mousse che si sbriciolava o con la benzina sporca. Ciao Hubert! Ti penseremo in sella alla Cagiva mentre salti tra le nuvole.