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San Salvador de Jujui – Calama. Oltre il Passo de Jama, raggiunto dopo una lunga ascensione lungo la via dei Salar andini tra Argentina e Bolivia, c’è il Cile.
Si parte prestissimo, ancora alle 04:30, da San Salvador de Jujui, con il lungo trasferimento di 550 km per essere per tempo alla frontiera, passare per quel luogo magico che si chiama San Pedro de Atacama, e per scendere, e risalire, fino alla partenza della corta Speciale, solo 207 chilometri, tracciata ad Ovest del Salar di Atacama. Siamo alle porte del Deserto più arido de Mondo: il meraviglioso, incomparabile Atacama. L’arrivo è a Calama, 2.200 m s.l.m., città nota per la maestosa miniera di rame a cielo aperto di Chuquicamata. Alla fatica ed alla mancanza di sonno si sommano gli effetti dell’altitudine.
Se le posizioni di testa al termine della terza tappa hanno delineato che il confronto tra Despres e Coma assume giorno dopo giorno i contorni della sfida epica, c’è da dire che, dieci minuti sotto, c’è un bel gruppo di “aspiranti” con una certa legittimità. La giornata storta di Lopez non fa testo, il cileno se la prenderebbe comunque calma per liberare tutta la sua energia nel suo deserto. Olivier Pain è senz’altro il giovane ben più che promettente del momento, fa piacere trovare in lizza due brasiliani simpatici come l’asso Zé Helio ed il “vecchio” Jean De Azevedo, è bello rivedere in forma Jordi Viladoms e constatare che Helder Rodrigues è sempre più affidabile. David Casteu non è una sorpresa né una incognita: è una certezza, ed a lui va il merito di tanto coinvolgimento di Sherco. Oltre alla Marca francese, rispondono positivamente all’appello anche BMW e Yamaha, anche se quelle due KTM, la davanti…
I migliori degli italiani, nella prima tappa difficile, sono stati Ivan Boano, che ha preso “di punta” questa Dakar ed eccede “regolarmente” in velocità, tanto che ieri è partito cento posizioni (e cinquecento euro) più in basso, e Filippo Ciotti, “ufficiale“ Rieju dopo la defezione forzata di Fesani. Al traguardo arrivano alla spicciolata: Antonio Cabini, Claudio Pederzoli, il mitico Franco Picco, Zuffetti e Carmignani. Tiene duro Fabrizio Mugnaioli, pur con qualche problema alla moto, e lo sostiene Silvia Giannetti. Poco prima di loro è arrivato Alex Zanotti, che ha aggiunto nuovi guai a quelli sopportati nei primi due giorni del Rally arrivando al bivacco al traino del danese Munk. E finalmente Stefani, Cusumano, Beltrami, l’italo-belga Cucurachi, con non so più quante Dakar sulle spalle. Quindi è la volta di Camelia Liparoti. Ma per qualcuno la giornata si è allungata ancora.
La terza tappa della Dakar, dunque, la prima veramente impegnativa e lunga, ha rivelato il vero volto della Dakar. Lasciata alle spalle ogni forma di indulgenza, la corsa stende le sue carte. I partecipanti sono costretti a fronteggiare la “verità”, e loro stessi con sincerità. Non c’è più spazio per l’ozio al bivacco, o per le interminabili telefonate a casa. La situazione precipita, le giornate d’improvviso si scorciano, ed ogni cosa da fare esige fretta e puntualità, ne va di quelle poche ore di tregua nel sacco a pelo. Per alcuni la notte tra la terza e la quarta tappa è troppo corta, o si allunga all’infinito, e all’entusiasmo che ha spinto alla grande maratona si sostituisce l’angoscia del buio, del freddo, di una pista che non finisce mai o che non si muove ormai di un metro, il pilota che cerca disperatamente di ritrovare la strada o di riparare come può la propria moto. I primi sono al bivacco da ore, il briefing ha già delineato le difficoltà della tappa successiva, certi meccanici stanno per stendere il telo sulla moto revisionata, e tutti hanno lo stomaco pieno, anche troppo per la foga più che per la fame. Per quelli rimasti in pista la foresta è una trappola. Poco o tanto che manchi all’arrivo, se non ci si muove si tende all’infinito. Si avvicina la luce di un faro. Se è un problema di benzina, di una camera d’aria o di una… lampadina, magari con quella luce arriva la “salvezza”. Ma se la moto è rotta non c’è niente da fare. O quasi, non si sa mai. E allora le ore del buio sono ingoiate dalla ricerca di un guasto banale. Se così è, le ore della notte tornano ad essere quelle della speranza. Di riuscire ad arrivare prima che l’ultima moto parta dal bivacco. Se non è così non resta che affrontare, stendersi sotto la coperta termica, ingoiare il rospo e gli ultimi bocconi della razione di emergenza ed aspettare il camion scopa. Ma intanto è già ora di bilancio. Definitivamente in rosso. La Dakar non aspetta. E non perdona.
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Piero Batini
Foto: DPPI, Red Bull