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Un po’ come accade per le auto, anche per i motociclisti aspiranti al Titolo della Dakar 2013 il discorso è ad un tempo aperto e… chiuso. Alejandro Patronelli non è della partita e lascia il testimone al fratello Marcos, già al successo nel 2010, mentre Cyril Despres può vedere nel forfait di Marc Coma lo spalancarsi di un vero e proprio portale. Una regola aurea che interviene su base statistica è quella che consente ai vincitori di accumulare tanta e tale esperienza da poter gestire per lungo tempo un buon margine di supremazia. Solo negli anni recenti si è affermata la formula del duello, la sfida che si ripete, magari con alterne fortune, tra due concorrenti. È il caso, che ha tenuto banco nelle ultime sette edizioni, di Cyril Despres e Marc Coma. Ma, già lo abbiamo detto e ripetuto, il duello “tradizionale” delle moto quest’anno non ci sarà!
Se la Dakar delle auto poggia dunque su una prospettiva consolidata e “appiattita” dai nuovi regolamenti, che favoriranno senz’altro lo spettacolo, tra le moto non è azzardato dire che è in atto una vera e propria rivoluzione, capace di concludersi con l’apertura a scenari totalmente nuovi. Detto che non ci sarà Marc Coma, sembra facile affermare, come hanno proposto gli Organizzatori, che la Dakar 2013 sarà il “Boulevard Cyril Despres”, un’autostrada verso la quinta vittoria dell’asso tanto per cambiare francese, dopo quelle del 2005, 2007 e 2010. Ma forse non è propriamente così, o meglio perché sia così deve accadere comunque qualcosa di nuovo. Vediamo perché.
Premesso che non vogliamo togliere nulla a Cyril Despres, che abbiamo già riconosciuto nella forma psico-fisica attuale del francese tutti i segni di una rinnovata “grinta” che non lascia spazio a nessuno, e premesso che il titolo che si adatta meglio alla statura agonistica del trentanovenne ex meccanico di Nemours è quello di Fuoriclasse, è innegabile che, per la prima volta, Despres si trova in una situazione che presenta una novità sostanziale, quella di non avere più nel mirino l’avversario di riferimento, o l’avversario e quindi… il riferimento. Despres e Coma hanno sempre corso in funzione del rivale, cioè dell’altro, sincronizzando strategie e andature al punto da correre a vista o a distanza comunque ravvicinatissima. Si sono divisi i compiti e le decisioni, e anche qualche errore (pochissimi, in verità) e qualche giornata sfortunata (per fortuna, poche anch’esse). I casi nei quali uno o l’altro è andato in “fuga” si contano sulle dita di una mano, e altrimenti ogni fuga dell’uno è stata favorita dal difetto dell’altro.
Despres si è preparato per un anno intero per vincere la Dakar, ovvero per battere Coma, e all’improvviso Coma non c’è e non c’è quindi l’avversario da battere
Despres si è preparato per un anno intero per vincere la Dakar, ovvero per battere Coma, e all’improvviso Coma non c’è e non c’è quindi l’avversario da battere, non quell’avversario da battere in quel modo provato e ripensato a lungo. Paradossalmente: che faticaccia correre da soli e contro se stesso! È una condizione psicologicamente nuova che potrebbe avere il suo peso, e Despres ha sempre sofferto un poco i thriller psicologici. Il favorito numero uno resta comunque lui, e sul pronostico deve pesare anche la spinta dell’esperienza di KTM, che vince dal 2001 ininterrottamente e che è la Marca numero 1 in questo Mondo che ha contribuito non poco a rilanciare, ma vediamo cosa potrebbe succedere, in alternativa ad un nuovo strapotere Despre/KTM.
Per “fortuna” gli elementi per togliere a Despres il gusto della passeggiata solitaria sono più di uno, enormemente interessanti. Quasi tutti li abbiamo già indicati o suggeriti, ma vale la pena di organizzarli.
Per vincere una Dakar bisogna aver fatto la gavetta. È un’altra regola aurea del Rally di Thierry Sabine maturata nel corso degli anni. Despres ha fatto la sua prima Dakar nel 2000, ma ha dovuto attendere il 2005 per cogliere il primo successo, Marc Coma ha debuttato nel 2002 e vinto la prima volta nel 2006, e persino il fenomeno Stephane Peterhansel ha esordito nel 1988 ma ha dovuto attendere fino al 1991 per entrare nella leggenda. Nessuno degli avversari di Despres di quest’anno ha mai vinto la Dakar. Alessandro Botturi è alla seconda esperienza, Joan Barreda alla terza, Stefan Svitko alla quarta, Joan Pedrero alla quinta, Francisco Lopez, Ruben Faria e Gerard Farres alla sesta, Helder Rodriguez, Olivier Pain e Jordi Viladoms alla settima, David Casteu alla nona e Pal Anders Ullevalseter addirittura alla decima. Stiamo parlando di quei Piloti che, sulla carta, hanno in qualche modo le carte giuste per raccogliere la sfida ed insidiare Cyril Despres. Alcuni di questi, come Viladoms, Pedrero, Faria e Farres non hanno potuto esprimersi “liberamente” perché frenati dal ruolo di portatore d’acqua di altre “star”. Altri, come Barreda e Botturi, hanno invece potuto partire subito con un assetto tecnico privilegiato, e dimostrare rapidamente il loro valore bruciando i tempi.
Poi, Francisco “Chaleco” Lopez. Perché il cileno è fortissimo, ha già un significativo terzo posto nel suo palmares, ha la fame di chi ha dovuto mandare giù qualche boccone amaro e, soprattutto, è andato ad allenarsi in Argentina e Perù, ha fatto chilometri per due Dakar, conosce il deserto del Suo Paese come le sue tasche e l’arrivo della Dakar è nella sua Capitale. È come giocare in casa.
A furor di popolo, Joan Barreda. Il valenciano è l’astro nascente e la migliore promessa degli ultimi anni. Ha vinto in Egitto, ha strabiliato per prestazioni e forza tecnica, ed è sospinto dalla fantastica evoluzione di un Team, l’Husqvarna SpeedBrain, al quale Volfgang “Smoke” Fisher ha dato il carattere e la maturità per lanciare la Marca oltre l’asticella, per quanto in alto sia stata posta. Più di tutto, però, mi impressiona la svolta psicologica di Barreda. Il giovanotto era noto per strafare. Velocissimo ed imprendibile, i suoi nickname sono roba come Bang Bang o Dinamite, ma anche fragile nella navigazione e capace di rovinare tutto con una caduta o una digressione stratosferica fuori pista, l’inesperto Joan partiva sempre per vincere, o la va o la spacca. Oggi Barreda, consapevole dei propri mezzi, parte seriamente per ottenere il massimo, ma non più con un obiettivo astratto. La sua corsa vuole essere quella della rivelazione, al momento opportuno e solo se e quando questo arriverà.
Il podio della fantasia e dei pronostici si va popolando, e poiché non vediamo nessun motivo per risparmiarci un po’ di sano tifo, chiamiamo anche Alessandro Botturi a sgomitare per un posto di rilievo. Il bresciano (di Lumezzane, per una corretta e riconoscente esattezza) è, come detto, alla seconda esperienza. Tirato dentro e lanciato dal Bordone-Ferrari Racing Team, il “Bottu” ha finito la sua prima Dakar all’ottavo posto assoluto, primo italiano e miglior “rookie” dell’anno.
Botturi ha poi seguito le sorti del Team nella sua inesorabile fase calante, ma con grande spirito di professionalità e coerenza non ha “mollato” fino all’ultimo. L’attesa è stata difficile e, mentre il tempo passava, i suoi ex colleghi si centrifugavano verso altre sistemazioni, e le possibilità di confermarsi con la Squadra milanese si andavano riducendo al rischio di non poter essere della partita, l’umanità del lumezzanese è stata premiata.
Piero Batini