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La Dakar è il punto di partenza di una storia che dura da oltre trent’anni, il riferimento di un Mondo da corsa che ha unito da subito il fascino della grande avventura con quello fragoroso e adrenalinico dei motori da corsa.
Nel corso degli anni la maratona di Thierry Sabine ha subito un’evoluzione costante, segnata dagli eventi che l’hanno caratterizzata e dalle innovazioni tecnologiche che ne hanno mutato la fisionomia ma non l’ossatura di evento sportivo e umano senza pari. È cambiata la scena, sono cambiati i mezzi, sempre più adatti a disputare questa corsa soltanto, sono cambiati gli strumenti di navigazione e di conseguenza le regole per “navigare”. Sono cambiati, anche se fondamentalmente non troppo, i “Dakariani”, gente speciale con una sete insaziabile di avventura.
Più volte la Dakar è sembrata poter scomparire dalla geografia dello Sport, ed ogni volta ha saputo rinnovarsi mantenendo, anzi accrescendo, il mito creato dai capitoli della sua storia. Da punto di partenza la Dakar è diventata anche punto di arrivo, il sogno per una pletora di appassionati o il traguardo stagionale della carriera agonistica. Sono migliaia gli appassionati e gli sportivi che hanno corso stagioni diverse in diversi Sport con l’obiettivo di correre un giorno “La Dakar”. Non solo piloti, ma anche atleti delle più diverse estrazioni agonistiche. Alla Dakar sono arrivati velisti, rugbisti, sciatori, per esempio, e alcuni di loro sono riusciti a primeggiare ancora, non “riciclandosi” ma partendo da capo e trovando una nuova dimensione agonistica realizzata nel successo. E non solo sportivi, ma anche star dello spettacolo, industriali e commercianti con il “pallino” di quell’avventura, professori, insospettabili impiegati o funzionari dalla precedente vita alquanto sedentaria e “regolare”.
Più volte la Dakar è sembrata poter scomparire dalla geografia dello Sport, ed ogni volta ha saputo rinnovarsi mantenendo, anzi accrescendo, il mito creato dai capitoli della sua storia
E una volta dentro è finita: “Dakariani” lo si è per sempre, e ogni stagione che passa è il calendario “dakariano” di una nuova avventura, il sequel di quella precedente ed il preludio “inevitabile” di quella successiva. Per i piloti, come per gli olimpionici in un ciclo quadriennale, il ritmo della stagione diventa funzione di quell’appuntamento di inizio anno. C’è una sola Dakar, una soltanto, una volta all’anno, e la stagione agonistica diventa il brogliaccio di preparazione alla Dakar che, appena finita, arriverà tra un anno quasi esatto.
Il cammino della Dakar inizia dunque con… la Dakar, e ovviamente il miglior inizio di stagione è quello che può registrare una vittoria alla maratona. Quest’anno è “toccato” a Cyril Despres, Alejandro Patronelli, Stephane Peterhansel e Gerard De Rooy. Due francesi, un argentino ed un olandese, siamo in “media”, con la storia francese del Rally… francese che, pur internazionalizzato ed allargatosi ad un consenso verosimilmente planetario è e resta una creatura francese, come del resto l’intera disciplina.
Cyril Despres ha vinto a Lima la sua quarta Dakar, battendo l’avversario storico Marc Coma al termine di un Rally rocambolesco e ricco di vibranti colpi di scena. Chi non ricorda il “tuffo” del francese nel fango, o l’errore di navigazione dello spagnolo, o il finale che sembrava riaccendersi con il recupero di Coma, poi vanificato da un problema al cambio? La vittoria di Despres era in perfetta “tabella di marcia”, un anno aveva vinto, dal 2005, il francese, un anno lo spagnolo, e l’epilogo aveva una sua logica nella prospettiva della Dakar di quest’anno, per quella stessa tabella che avrebbe assegnato i favori del totalizzatore di nuovo a Marc Coma.
Non sarà così, poiché già sapete che quest’anno l’asso di Avià non sarà al via, aprendo l’edizione di quest’anno a scenari nuovi e poco o punto esplorati fino ad ora. Alejandro Patronelli è, per “statuto” di famiglia, il mattatore della gara dei quad da quando la Dakar è sbarcata nel continente sudamericano. Nel 2010 aveva vinto il fratello Marcos, e Alejandro era già lo scorso anno Campione in carica. E se la gara dei camion che ha incoronato un olandese dopo tre anni di dominio russo è stata vinta da Gerard De Rooy, rampollo di una delle dinastie storiche della Dakar, la corsa della auto, che ha finalmente coronato l’impegno ultradecennale del Team X-Raid di Sven Quandt regalando la prima vittoria alla Mini All4 Racing, riporta il nome del mito assoluto della Dakar, Stephane Peterhansel, sui binari di una lunga, e ormai insuperabile, tradizione di vittorie individuali alla Dakar.
Peterhansel, fuoriclasse motociclistico con varie “esperienze” vittoriose nell’Enduro, una volta convertito alla Dakar ha vinto sei volte con la moto, immutabilmente una Yamaha, e prima del successo Mini aveva vinto tre volte con la Mitsubishi. Dopo la decima vittoria alla Dakar Peterhansel ha rallentato un poco l’attività, concedendosi ad alcuni autentici show (come quello alla Baja spagnola) e ad un Rally in moto, in Sardegna. Il Campionato del Mondo è stato quindi vinto dal Pilota degli Emirati Khalifa Al Mutaiwei in coppia con il navigatore tedesco Andreas Schulz. Ancora una Mini All4 Racing del Team di Trebur, che dunque parte con il ruolo di doppio favorito nella gara delle auto, non solo per il fatto di poter avere tra le sue file il Pilota che rappresenta l’essenza della supremazia alla Dakar, ma anche per la notevole esperienza maturata e la forza “reale” schierata in campo.
L’evoluzione della stagione appena conclusa porta a dipingere la Dakar prossima delle moto come un grandioso affresco della specialità. Piloti e Marche avanzano nuove pretese per quello scettro che è il più importante da trent’anni e passa. Non è difficile evidenziare alcuni momenti chiave della stagione, e legarli a questa prospettiva. A gennaio, dunque, Cyril Despres vince la Dakar, e vedremo come la quarta vittoria abbia inciso positivamente sul “morale” del fuoriclasse ex meccanico. Le prime due tappe del Mondiale, l’ormai “classical sand type” Abu Dhabi Desert Challenge e l’anonimo e ameno Qatar Sealine portano sul tavolo da gioco le migliori carte di Marc Coma, che vince entrambi i Rally. A fine giugno Jordi Viladoms vince il Sardegna Rally Race, è la sua prima vittoria in una prova di Mondiale e, mentre si va tristemente opacizzando la stella del Bordone-Ferrari Racing Team che aveva brillato alla Dakar con quattro piloti al traguardo e il lancio di Alessandro Botturi, allo spagnolo ex portatore d’acqua di Coma è concesso di aspirare ad un posto tra i grandi.
Intanto, sempre in Sardegna, a Marc Coma è sufficiente il terzo posto per chiudere la “pratica” del quinto Titolo Mondiale e si fa largo, esplodendo fragorosamente per la prima volta, la “voce” del grande ritorno ufficiale di Honda. Il Pharaons Rally, il più bel Rally Africano ma disertato dalla maggioranza dei “big”, porta sotto le luci dei riflettori Joan Barreda e la Husqvarna, che vincono entrambi per la prima volta, e la forte squadra creata dal geniale e “cocciuto” Wolfgang Fisher. La scena si ricompone in Marocco, dove si corre una prova non titolata ma “simpatica” ai concorrenti, che la vedono come l’ultima occasione per testare il “materiale” per la Dakar.
Come vedremo non è propriamente così, e Marc Coma ne è il triste testimone, ma è vero che Honda rompe gli indugi e schiera una nuova moto, sviluppata a cura dell’HRC, e cinque Piloti, capitanati dall’ex Campione del Mondo Helder Rodriguez. Despres torna e vince. Il capitolo che scorre i punti cospicui della stagione appena terminata, e sin qui “tremendamente” costruttivo, si chiude a dicembre con due brutte sorprese. L’annuncio del forfait di Marc Coma e gli incidenti californiani, in allenamento, che escludono il brasiliano Felipe Zanol e l’inglese Sam Sunderland.
Piero Batini