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I nostri inviati alla Dakar 2017, Piero Batini e Franco Acerbis, hanno intervistato la pattuglia italiana. E così, tra un Agazzi che rischia di essere il migliore dei nostri dopo una precedente avventura non troppo rosea, un Toia che si dimostra preparatissimo sotto il piano fisico, e un immortale Franco Picco, dimostramo che - dal punto di vista dello spirito e della preparazione - abbiamo poco da invidiare agli altri.
Agazzi si rivela contento, forte della classifica che gli sorride. «Dal peggiore degli italiani nell'ultima edizione, a questa, dove sono risultato il meglio classificato. Il segreto per finire la Dakar è divertirsi, prenderla come un divertimento, non incattivirsi con chi ti sorpassa: dopo qualche km risali, perché magari chi ha una preparazione atletica inferiore viene fuori. Mi sono allenato in palestra, facendo nuoto e bicicletta. È stata un'edizione difficile, vedersi le tappe annullate quasi all'ultimo... Ma i percorsi erano stupendi!»
Si dimostra sempre simpatico e in vena di scherzare il gallaratese Diocleziano Toia. «Peccato che per colpa del meteo sia stata tagliata parecchio questa edizione. Ogni anno arriva gente sempre più forte, se voglio rifarla l'anno prossimo dovrò allenarmi di più. Ammiro Picco, visto che non ha venticinque anni e riesce ancora a fare determinate cose...»
E proprio Franco Picco ci racconta le emozioni che ha vissuto in questa sua venticinquesima Dakar. «Quando si arriva in fondo, si dice che è facile. Stavolta ho la schiena distrutta. Troviamo temperature che variano molto, ma la cosa più difficile è il fesh fesh. Quando vai più piano per prendere fiato arrivano le macchine e i camion. Venticinque Dakar sono un bel traguardo, vediamo cosa propongono per il futuro. L'importante è sempre l'andare in moto: sto meglio lì che quando vado a dormire! Questa è stata la Dakar più dura delle edizioni sudamericane. Nel corso degli anni si è evoluta parecchio: chi vuole farla da amatore senza nessuna preparazione è meglio stia a casa. È sempre più professionale, arrivano professionisti seri tra i team e i piloti. Marc Coma sa scegliere vari tipi di difficoltà. Lo spirito di Sabine, che strizzava l'occhio agli amatori, si è perso, perché non sono più i tempi. La gara è difficile, e ci sono le squadre ufficiali che partecipano. Le macchine che ti superano non ti vedono. In Africa le moto erano più veloci delle auto, adesso non se ne parla: sono dei mostri! Impressionanti anche i camion. Sulle moto la tecnologia è sempre la stessa. Anzi, ci hanno anche dimezzato la cilindrata... Sicuramente è la gara più dura: quando si arriva in fondo, sei sempre contento.»