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Edi Orioli, il Biaggi della Parigi-Dakar. Manetta, stile e intelligenza. Però più attento e diplomatico di Max. Edi l'ho conosciuto nell'86, quando aveva solo 24 anni e chiuse la Dakar sesto assoluto: fu il miglior debuttante, con la Honda monocilindrica. Lo intervistai al lago Rosa e lo inquadrai: tosto e flemmatico. Non aveva mai visto l'Africa, il friulano Edi, ma era una gran manetta dell'enduro: due titoli nazionali e il secondo mondiale, appena vinto, con la squadra italiana. Nel Sahel si rivelò anche un grande navigatore, una testa fina capace di studiare con distacco le situazioni più difficili. L'anno dopo era già secondo assoluto e alla terza partecipazione trionfava con la bicilindrica. Sempre su Honda, e dopo un bel duello con Neveu.
Lui era il tipo che lasciava sbagliare gli avversari, li seminava di forza quando si avvicinava una navigazione più difficile, cancellava le sue tracce e si nascondeva come gli indiani se occorreva. Volpe del deserto. Una volta, tappone di 700km, è in testa e si accorge di essere sulla rotta sbagliata: occorre tornare indietro una trentina di km. Vede che a distanza due rivali lo inseguono e subito gli viene l'idea. Al primo roccione si nasconde, aspetta il passaggio dei due, e quando li vede sparire torna tutto solo verso la pista giusta. E vincerà la tappa con 20 minuti di vantaggio. Per fare queste cose devi essere freddo e molto sicuro di te.
Lo volle la Cagiva, ma la prima volta fu traumatica: la bicilindrica motorizzata Ducati era pesante e sbilanciata. A metà gara lo intervistai tipo psicanalista, lui steso su una branda arrugginita sulla sabbia. Lo torchiai un po' troppo, eravamo amici, lui si lasciò andare e sputtanò la moto in tivù: dall'Italia Claudio Castiglioni lo voleva licenziare in tronco, il team manager Azzalin lo difese, e meno male. L'anno dopo, 1990, fu un trionfo. Lui tra i motociclisti temeva soltanto Peterhansel.
Palmares ricco, quello di Edi: '94 ancora la vittoria su Cagiva, '96 primo con Yamaha, più avanti pilota BMW e anche KTM, ma senza gloria: si sentì preso in giro da entrambi i costruttori. E ancora una vittoria al Rally dei Faraoni con la Nissan, molte Dakar e altri rally in auto fino al 2007, ma anche 5 successi alla dodici ore di Lignano, e infine i rally solitari nei deserti: nel 2000 la traversata del Tènèrè con la Transalp, nel 2001 l'Atacama nel nord del Cile. Poi la Mongolia, e infine la Transiberiana: da Bologna a Vladivostok con la ST4 Ducati, 14.000 km in tre settimane nel giugno del 2002. Per mettersi alla prova e tracciare una rotta.
Quando dici Orioli, da noi, dici Parigi-Dakar. Perché nessun pilota italiano ha vinto così tanto nel rally più famoso e duro del mondo. Quattro volte con la moto.