Intervista. Franco Picco: “Ecco il video del mio incidente alla Dakar!”

Intervista. Franco Picco: “Ecco il video del mio incidente alla Dakar!”
Il campione veneto ci mostra in esclusiva i video che documentano la sua caduta durante la terza tappa. Franco però non cede e, con due ossa rotte, termina la Dakar al terzo posto nella Marathon
3 febbraio 2012
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Franco Picco in gara
Franco Picco in gara

Raccontaci questa edizione, da molti descritta come durissima.
«Abbiamo attraversato tre nazioni e ogni paese ha voluto dimostrare di essere all’altezza con tappe durissime, non abbiamo mai avuto momenti in cui tirare un po’ il fiato in gara. È stata molto faticosa».

Che tipo di assistenza hai avuto in gara?
«Nella Marathon parti con la moto di serie, che viene punzonata. Il punto di domanda grosso è il motore: ogni giorno ho cambiato olio motore e filtro dell’aria, che nel mio kit è ben riparato. Quindi direi che è andato tutto bene e la WR-F 450 si è confermata una gran moto».

Il budget per la Dakar è impegnativo. Come hai coperto tutte le spese?
«E’ sempre questione di sponsor. La Dakar fa notizia e tra amici e conoscenti riesci a raccogliere i soldi per correre. La moto poi ti resta e la usi per altre gare. In totale 30.000 euro ci vogliono tra iscrizione e spese vive».
 

La Dakar è diventata un enduro estremo di 14 giorni! Una volta si partiva piano e poi a metà corsa arrivavano le difficoltà. Quest’anno la gara è stata dura dal primo all’ultimo giorno

Ti piace correre in Sud America? Cosa ti manca della vecchia Dakar?
«Le gare africane le ho fatte 20 anni fa e le ho seguite anche in auto. C’era molto più deserto, i posti erano da navigazione aperta. Oggi la gara è completamente diversa, nelle prime edizioni i percorsi erano monotoni e poco selettivi. Oggi si conoscono meglio i tracciati, è diventato un enduro estremo di 14 giorni! Una volta si partiva piano e poi a metà corsa arrivavano le difficoltà. Quest’anno la gara è stata dura dal primo all’ultimo giorno, con enduro anche estremo, e meno navigazione. In certe zone guardavi poco il road book e ti affidavi alle tracce in terra. Una volta c’era più navigazione, oggi più difficoltà tecnica».

Cambieresti il nome alla Dakar?
«No, oggi è mitica e va bene così. Le gare estreme durano mezza giornata (Erzberg, Hell’s gate eccetera), la Dakar sono 14 giorni di fatica e navigazione. Oggi in Sud America c’è tanto seguito, i Paesi pagano pur di avere la gara e quindi ci sono dei vantaggi a correre in questi Paesi, dove il pubblico è davvero numeroso».

Che effetto ti fa vedere i camper e tante comodità per gli ufficiali ai bivacchi?
«E’ vero, sono cambiate tante cose. Io sono ancora in tenda, per questioni di budget. Io corro anche per portare i miei clienti e per sperimentare il kit da rally che produco. Quindi cerco il lato economico migliore: il minimo indispensabile per avere assistenza. Non propongo il camper, le cifre andrebbero alle stelle. Ogni cosa in questa gara costa e tanto. Persino mandare un fax».

Il parere di un esperto come te su Coma e Despres: come riescono a fare il vuoto dietro di loro? Nessuno pare in grado di competere con questi campioni.
«Capirlo è difficile! Hanno un ritmo alto, alimentato dalla loro rivalità. Sono i più bravi a leggere e andare forte. Anche quando non vincono sono sempre tra i primi e vincono pure partendo per primi, senza seguire le tracce. È una dote incredibile, colpo d’occhio sulla strumentazione e via a gas aperto. Oggi sono 4 a 3 per Despres, forse Coma l’ha persa per avere cambiato un motore in più».

Non credi che sarebbe bello vedere in corsa moto di serie? Come i G/S, le XT e le Africa Twin di una volta. Moto meno esasperate e più robuste. Cosa ne pensi? Non crescerebbe ancora l'interesse delle Case e degli appassionati?
«Non sarebbero adatte per i terreni che ci fanno fare. Pensa che oggi i percorsi sarebbero inadatti anche alle agili 690. Il 450 è perfetto, leggero, agile da girare. C’è stato il 50% di ritiri quest’anno, e sono ancora pochi. Moto più pesanti non andrebbero da nessuna parte».

I tuoi coscritti passano alle auto e tu “giochi” ancora con le moto?
«Ho trovato le auto più affaticanti, dico sul serio. In moto sopperisci col fisico allenato, in auto no. Certe discese in moto le faccio con una certa paura, in auto o camion sarebbe ancora peggio, non le farei proprio».

Raccontaci un episodio.
«Partiamo dal presupposto che in gara io cerco di dare una mano agli altri, sperando che al momento del bisogno mi torni indietro. Ho aiutato Ciotti in un paio di occasioni. La sua moto perdeva qualche colpo di motore, gli ho fatto cenno di spegnere le luci e dopo lui mi ha ripassato a cannone. La batteria si stava scaricando e togliendo i fanali, la moto è ripartita subito. Sono i segreti del mestiere di uno come me, che ha fatto tante Dakar. Un altro episodio riguarda la mia caduta, su un sasso non visto. Mi sono rotto una costola sugli strumenti e il piede sulle pietre. Ma la moto non si è fatta nulla e sono potuto ripartire. Devo ringraziare anche la Gaerne, dato che lo stivale ha protetto davvero bene il piede!».

Conta di più la testa o il fisico?
«La testa è importante, oggi comincia a mancarmi un po’ il fisico. Bisogna tener duro e andare avanti. Mi sono riempito di antidolorifici per proseguire dopo l’incidente. È importante anche mangiare bene e tanto!».

Segui una dieta particolare?
«Tanta pastasciutta e poi moltissime barrette energetiche. Avevo fatto una bella scorta in Italia prima di partire, e mi sono servite tutte! Bere e mangiare in gara è importante».

Franco, di cosa ti occupi ora?
«Di viaggi e moto. Preparo le moto per affrontare i rally. E organizzo viaggi nel deserto. Do una mano ai miei clienti. Se uno vuole andare sul sicuro, gli offro tutto il mio supporto nei rally. A 45 anni avevo mollato, ma oggi a 56 anni i rally mi tengono vivo e sono felice di correre ancora».

L’anno prossimo tornerai a correre?
«Durante la gara dicevo basta, basta, basta. Ma la prossima sarà la mia 20esima Dakar, come faccio a dir di no? Devo trovare i classici aiutini e poi vedrò di esserci».

Grazie!
«Grazie a voi, alla prossima!».  
 

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