Intervista. Manuel Lucchese: “La Dakar e le mie notti solo nel deserto”

Intervista. Manuel Lucchese: “La Dakar e le mie notti solo nel deserto”
Dopo Despres, Picco e Botturi vi raccontiamo la Dakar del privatissimo Lucchese, in gara coi suoi 100 supporter sulla giacca. Manuel ci racconta le notti nel deserto e la tenacia che l’ha tenuto in gara oltre ogni sofferenza
10 febbraio 2012

Tutta farina del suo sacco

Manuel Lucchese ha deciso solo nel mese di maggio del 2011 di correre la Dakar. Non aveva ancora raccolto il budget necessario all’iscrizione e alle spese vive della corsa sudamericana (che, tra una cosa e l’altra brucia 30.000 euro a pilota, moto esclusa). Il giovane pilota italiano, uno dei migliori rappresentanti nel panorama del Motorally nazionale,  non si è perso d’animo, e ha raccolto i soldi necessari grazie a una mirata attività su Internet (Facebook e il suo blog in primis) e all’aiuto di alcune aziende che hanno creduto in lui. Husaberg per prima, che gli ha fornito la moto e i ricambi. Ma non l’assistenza, a cui ha dovuto provvedere da solo e con tanto ingegno. Sentiamo dalle sue parole com’è andata la gara, che purtroppo non lo ha visto raggiungere il traguardo di Lima a causa di alcune noie meccaniche che hanno pesantemente condizionato la sua prestazione.


L'intervista a Lucchese

Manuel, sei arrivato in Argentina da solo. Chi ti ha fornito la prima assistenza?
«Sono arrivato a Buenos Aires il 26 dicembre di sera e fortunatamente ho trovato degli amici australiani che sono venuti a prendermi e con i quali sono rimasto una notte e un intero giorno a Buenos Aires. A fine giornata con i ragazzi del Team Husaberg Australia abbiamo caricato le valige sui loro pick-up e siamo partiti per Mar del Plata, che distava 450 km. Iniziano subito le prime sfighe, uno dei mezzi di assistenza degli australiani rompe i cuscinetti delle ruote anteriori per via del troppo peso e siamo costretti ad andare in cerca di un carroattrezzi. Alla fine arriveremo alle 3 e mezza di notte e dormiremo in macchina».

La moto era già pronta?
«No, il giorno dopo ho subito iniziato a lavorare sulla moto perché avevo ancora moltissimo da sistemare, i giorni sono letteralmente volati e per un soffio sono riuscito ad avere tutto pronto per la cerimonia iniziale il 31 dicembre».
 

Procedo così tra cadute, tentativi e aggiramenti fino a mezzanotte e mezza quando mi perdo completamente, non ho la più pallida idea di dove sono

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Riesco a contattare mio padre e lo costringo a trovare un mezzo per venire da me, alla fine prende un taxi che mi costerà quasi 1.000 euro perché era a oltre 300 km di distanza


Hai dovuto smontare la moto in piena prova speciale?
«Assieme ai ragazzi cileni tiro giù tutto e smonto l’iniezione, provo a pulirla ma la moto non riparte. A quel punto chiedo se hanno un compressore. Aspetto diverse ore sotto il sole del deserto fino a quando non arrivano con un compressore e sempre con il loro aiuto riesco a sistemare tutto. Sono le 18 e devo ancora finire la prova speciale 1! Sono passati tutti, moto, auto e camion, il percorso è veramente devastato e sono costretto a viaggiare in fuori pista perché le buche scavate dai camion rendono il tracciato impraticabile. Arrivo all’inizio della prova speciale 2 (200km di solo dune) alle 19, il sole fortunatamente ancora c’è ma inizia per me una corsa contro il tempo, mi metto a manetta cercando di percorrere più km possibili».

La speciale si rivela più difficile del previsto?
«Lo scenario è apocalittico, sorpasso auto piantate, camion cappottati e altra gente in difficoltà. Verso le 21 il sole scompare dietro le dune e mi trovo in una situazione nella quale non mi ero mai trovato, ho un attacco di panico, il primo in vita mia. Sono da solo con il buio che cala e il mio piccolo faro di serie che fa pochissima luce, le dune immense mi mettono a dura prova perché con la sabbia smossa dai camion è quasi impossibile attraversarle, ci provo in tutti i modi a manetta senza vedere nulla e cado diverse volte. Procedo così tra cadute, tentativi e aggiramenti fino a mezzanotte e mezza quando mi perdo completamente, non ho la più pallida idea di dove sono».

Il tuo episodio ricorda molto da vicino le tragiche vicende dei piloti che si perdevano durante le tappe della Dakar africana, rischiando anche la vita.
«Sì, sono completamente solo e non vedo nessuna luce. Però il Sud America per fortuna non è disabitato come l’Africa e riesco ad arrivare su una strada asfaltata dove attendo che passi qualcuno. I locali che trovo mi spiegano che per giungere al bivacco mi basta proseguire sulla strada ma spiego loro che devo prendere tutti i waypoint e mi sconsigliano di continuare perché le ultime dune sono davvero immense, ma mi indicano la strada per tornare al CP3. Mi avvio e torno indietro al CP3 dove mi fermo a dormire fino alle 6 di mattina. Quando mi sveglio con la luce, ritrovo la moto che ha mille parti penzolanti a causa delle innumerevoli cadute notturne quindi la sistemo e riparto. Dopo poco mi perdo nuovamente, è una situazione pazzesca. Non so che fare, quando un elicottero mi nota e atterra vicino alla mia postazione fornendomi l’acqua e indicandomi la giusta direzione. Si alzano in volo, guardo bene la direzione e mi metto a guidare fino al bivacco. Fortunatamente è il giorno di riposo quindi sono ancora in gara!».

A questo punto del tuo racconto, il più sembra fatto. Hai superato il giro di boa della Dakar e affronti la nona tappa.
«Parto la mattina super carico, ma dopo il rifornimento mi accorgo che la moto cala di giri. Inizio a provare una grande ansia, a un certo punto la moto muore. Provo a riaccenderla ma niente, provo a spinta e niente, capisco subito che è l’iniettore che si è otturato per via della benzina probabilmente sporca. A questo punto tiro fuori la corda dal marsupio e cerco di fermare alcuni concorrenti per farmi trainare, il primo a offrirsi di aiutarmi è lo spagnolo Paco Martinez in sella alla Kawasaki. Attacchiamo la corda alla sua moto e mi traina per 20 km, detta così sembra un gioco da ragazzi, ma vi assicuro che essere trainati per 20 km in mezzo al fesh fesh è davvero un’impresa ardua per entrambi. Arrivo al CP e il gentilissimo Paco stacca la corda e riparte».

Ti ha fornito davvero un grande aiuto, trainandoti per metà speciale.
«Nella Dakar la solidarietà tra piloti è fondamentale, a volte gli altri sono la tua salvezza, ci si aiuta a vicenda perché in una gara cosi lunga il problema che capita a me oggi potrebbe capitare a te tra qualche giorno».

Però c’è ancora da risolvere il problema alla tua moto. Tuo padre fa 300 km col taxi per aiutarti!
«Passo diverse ore a smontare i serbatoi e l’iniezione, provo a pulire l’iniettore ma questa volta non c’è proprio verso. Fermo chiunque su questa strada, cerco aiuto in tutti i modi ma alla fine l’unica soluzione è chiamare al bivacco e trovare qualcuno che mi porti l’iniettore nuovo. Riesco a contattare mio padre e lo costringo a trovare un mezzo per venire da me, alla fine prende un taxi che mi costerà quasi 1.000 euro perché era ad oltre 300 km di distanza. Nell’attesa passa il camion “scopa” che mi invita a caricare la moto, io mi rifiuto e firmo un foglio con scarico di responsabilità, quindi da lì in poi se la moto fosse rimasta sul percorso l’organizzazione non l’avrebbe più recuperata. Dopo moltissime ore sotto il sole, cambiamo questo benedetto iniettore, rimontiamo i serbatoi e finiamo il tutto alle 21. Ormai con il buio riparto stanco per percorrere il rimanente 50% della prima prova speciale».

L’ennesima speciale che ti tocca fare nel cuore della notte.
«E’ durissima navigare di notte, capire quali sono i bivi, e con le voragini scavate dai camion faccio davvero tanta fatica, inoltre il mio faro illumina pochissimo. Arrivo a 4 km dalla fine della prova speciale e mi trovo un’enorme fiume da attraversare. Entro a manetta in questo fiume ma per via del passaggio di tutte le auto l’acqua è altissima e la corrente davvero forte, dopo pochi metri cado e finisco completamente sott’acqua con la moto. La corrente trascina la moto per alcuni metri, mi rendo subito conto che questa volta è successo un gran casino. Sono disperato, non so cosa fare e come uscirne, ma sopraggiungono due macchine che erano ancora in speciale, una è quella dell’italiano Edo Mossi e l’altra è quella dei medici. Scendono tutti dalle loro auto e vengono nell’acqua gelida per aiutarmi. Insieme spingiamo la moto dall’altra parte del fiume dove proviamo a rovesciarla per far uscire tutta l’acqua entrata ma la moto non riparte, la batteria sembra morta. Edo prova a smontare la moto e mi illustra come procedere, poi gli dico di ripartire perché. Con l’aiuto dei medici attacchiamo una corda alla loro jeep e mi tirano su dalla salita di sabbia, facciamo una fatica disumana anche perche la corda si strappa e rompe un paio di volte. Arriviamo a fine prova speciale nel cuore della notte, proviamo in tutti i modi a svuotare e asciugare la moto. Sono ormai le 3 passate e i medici mi dicono di parcheggiare la moto e salire in macchina con loro per rientrare al bivacco. Piango come un bambino per molti minuti».

Ma riesci a far ripartire la moto a spinta e riprendi la corsa!
«Inizio a spingere la moto sull’asfalto e piano piano prende vita. Guido per 60 km sull’asfalto in trasferimento per arrivare alla seconda prova speciale. Alle 4 di notte arrivo alla partenza della seconda prova speciale che ovviamente è impestata di dune (la famosa tappa di Iquiqe con la duna gigante finale). Alcuni argentini, quando mi vedono arrivare, mi urlano che sono un grande, corrono da me e vedono subito che sono infreddolito perché tremo, allora si spogliano per darmi le loro felpe e mi preparano una cioccolata calda. Una scena incredibile. Riparto tra le loro urla con la macchina dei medici alle mie spalle a farmi luce, andiamo avanti fino alle 5 quando inizio ad avere le allucinazioni, inizio a vedere cose inesistenti come persone, ostacoli e decidiamo di fermarci un attimo. All’alba riparto e arrivo finalmente al bivacco, ma manca pochissimo alla partenza della tappa successiva! Non ho nemmeno il tempo di togliere il casco, prendo il roadbook e riparto. Sono stravolto, ma riparto lo stesso».

Un calvario infinito, che dimostra la durezza di questa gara. Poi il motore ti molla del tutto.
«Al km 117 della speciale di colpo la moto si inchioda e la ruota posteriore si blocca, capisco immediatamente che ho grippato. Quasi sicuramente la tanta acqua entrata nella notte ha fatto sì che il motore cedesse. Con il telefono satellitare mi metto a chiamare tutti quelli che conosco al bivacco implorandoli di raggiungermi in mezzo al deserto con un motore, ovviamente tutti mi dicono di no perché comunque verrei squalificato. Rimango tutto il giorno nel deserto da solo, mi addormento accanto alla mia moto. L’organizzazione mi contatta diverse volte e io premo il bottone verde per dire che è tutto ok fino a quando cala la notte e arriva il camion balè che mi costringe a caricare la moto e a ritirarmi».

Hai seguito però tutta la gara, non sei subito rientrato in Italia?
«Seguo le ultime tappe da spettatore e grazie a Mauro Sant viaggio con lui sul furgone. Il tempo al bivacco non mi passa mai così sto spesso allo stand Red Bull con le ragazze che ci hanno accompagnato per tutte le tappe del rally».
 

Manuel con Alexia
Manuel con Alexia

Allora non è finita così male, non sarai il primo pilota che ha trovato la fidanzata alla Dakar?
«Voi non ci crederete, ma tra tutte le cose che mi sono successe sono anche riuscito a subire il colpo di fulmine con una delle ragazze Red Bull di nome Alexia. La Dakar è qualcosa di veramente unico ed incredibile, non avrei mai pensato di riuscire a provare cosi tante emozioni belle e brutte tutte insieme, concentrate in sole due settimane. La Dakar non è una gara, è una vera e propria esperienza di vita nella quale inevitabilmente si presentano molteplici sfide. 14 giorni in moto, ogni giorno per 600-700 km, sono distanze che neanche comodi in macchina con l’aria condizionata sono razionali. Io ce l’ho messa davvero tutta».

Hai solo 23 anni e tutto il tempo per rifarti. Ora hai un bagaglio di esperienza di cui fare tesoro.
«Essere riuscito ad arrivare fino a qui da solo a 23 anni per me è già un successo, penso proprio che in questo 2012 farò di tutto per trovare l’opportunità di tornare nel 2013. Quello che ho capito è che la Dakar è una sfida estrema nella quale ogni piccolo dettaglio viene amplificato con il passare delle tappe e che quindi una pianificazione minuziosa è fondamentale per poter vincere la sfida con se stessi e con il deserto. Spero che comunque la mia storia possa essere uno stimolo per tutti coloro che sognano di correre questo favoloso evento».

Molti appassionati ti hanno seguito. Visto l’esordio positivo, credo che non mancheranno di sostenerti anche l’anno prossimo.
«Ci tengo molto a ringraziare tutti coloro che hanno creduto in me e nel mio sogno, se sono riuscito a realizzarlo è grazie alle quasi 100 persone che hanno effettuato una donazione mettendo il proprio nome sulla mia giacca da gara (vedi la fotogallery) e agli sponsor che hanno deciso di supportarmi. Il mio abbigliamento da gara sarà regalato alle persone che mi hanno supportato. Ho ricevuto delle donazioni per la prossima edizione, questa cosa mi riempie davvero il cuore e farò del mio meglio per esserci di nuovo l’anno prossimo. Grazie infinite ragazzi, è stato un onore avervi con me sulla mia giacca!».