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Ciao a tutti! E così Alessandro Botturi ce l’ha fatta, e Nicola Dutto invece no. Sono molto felice per il primo, che si è aggiudicato l’undicesima edizione dell’Africa Eco Race con la Yamaha, vittorioso sulle sponde del famoso Lago Rosa, appena fuori Dakar.
Il bresciano si è giocato il successo con il norvegese Ullevålseter (KTM), due volte vincitore del rally che sulla carta è più semplice della corsa originaria, ma che resta una gara di seimila chilometri, molto dura in termini di guida e di navigazione. Lo dimostra il distacco subìto dal terzo classificato, il bravo Simone Agazzi, a due ore e 28 minuti. Bravo “Bottu”! Lui è un vero appassionato e con un cuore generoso.
E Dutto? In quanto a passione e cuore Nicola non è certamente secondo a nessuno, però non è bastato: la sua prima Dakar, la prima in assoluto anche per un pilota paraplegico, è finita amaramente dopo la quarta tappa per una assurda decisione della direzione di gara. Nicola ha spiegato al nostro inviato Batini come sono andate le cose, l’intervista è sul sito: alla Dakar, in caso di necessità, è possibile uscire dalla speciale con una forte penalizzazione, perdendo ogni ambizione di classifica ma restando in gara con l’obiettivo di concludere il rally. Invece il nostro pilota, che ha seguito alla lettera le indicazioni dei commissari (e nessuno lo ha smentito), al bivacco è stato estromesso per un evidente errore di procedura. Il gigantesco sforzo di Nicola, mesi di duro lavoro fisico e il grosso investimento finanziario condiviso con i suoi sponsor, è finito calpestato dal pressapochismo dei francesi. E il rammarico è grande, perché tutti gli appassionati seguivano con entusiasmo la gara di Nicola Dutto e dei suoi tre “angeli custodi motorizzati”; però, dico la verità, la vicenda mi ha sorpreso fino a un certo punto.
La direzione di gara alla Dakar è stata così fin dagli albori: approssimativa e tirannica. Thierry Sabine, il fondatore del Rally alla fine degli anni Settanta, sull’autorità assoluta giocava parecchio: era carismatico e tenace, bisogna riconoscerlo, e fu capace di mettere insieme una bella impresa; ma un po’ per necessità e un po’ per gusto personale aveva impostato le regole su un unico principio: qualsiasi cosa sia scritta sul regolamento, alla fine decido io. Probabilmente era giusto così, perché portare un migliaio di persone nel Sahara è una responsabilità enorme, e non puoi perdere tempo in discussioni. Certe volte bisogna prendere una decisione in pochi secondi, e una persona sola fa più in fretta, però si arrivava a situazioni assurde: piloti come il figlio della Thatcher “dimenticati” nel deserto per far parlare i giornali europei, controlli di passaggio spostati a bella posta per penalizzare questo o quello, equipaggi estromessi e poi riammessi senza spiegazioni, favoritismi palesi alle Case e ai piloti di Francia. Tutto “ad capocchiam”, e ogni protesta otteneva sempre la stessa risposta: “C’est le Dakar”. Questo è il rally della Dakar, prendere o lasciare.
Una volta noi giornalisti italiani aerotrasportati rischiammo la vita per un guasto sul velivolo: un agitatissimo meccanico smontava tutti i pannelli sul pavimento, poi disse che l’impianto idraulico era andato, carrello e flap “forse” avrebbero funzionato con il sistema meccanico, ma con tutte quelle tempeste di sabbia non si poteva sapere. Girammo sul deserto per svuotare il carburante, poi le catene rumorosamente si mossero e tutto andò bene, ma il pilota svedese della Baltic – non posso dimenticarlo - si sedette all’ombra sotto un’ala, bianco come un lenzuolo, e disse “mai rischiato così tanto!”. Ebbene, Saragoni ed io andammo in direzione gara a chiedere come minimo di cambiare aereo, e loro ci risero sul muso. “C’est le Dakar!”. Come dire, sei proprio un fesso se ancora non lo sai, qui va così.
Quell’atteggiamento sembra rimasto identico, antipatica eredità del Rally africano originale. Dispiace per Nicola Dutto, trattato come fosse uno scorretto qualsiasi e costretto a tornare a casa. Ma ve lo dicevo la scorsa settimana che questa è sempre stata una gara discutibile: purtroppo resta tale.
Foto: Facebook di Nicola Dutto