Nico Cereghini: “La moto e il volo si assomigliano tanto”

Nico Cereghini: “La moto e il volo si assomigliano tanto”
Incontro con l’ex-dakariano Roberto Boano e qualche riflessione sui rally e sulla moto in generale. La Dakar è estrema, il rischio è molto alto, ma il sogno è sempre lo stesso di tutti noi: correre liberi nello spazio
21 gennaio 2020

Ciao a tutti! A Verona, nel corso di MBE, si parlava naturalmente delle due gare appena concluse in Africa: la vittoria della Honda dopo tanti anni di impegno sulla fortissima KTM, il lutto per Paulo Goncalves e la preoccupazione per l’olandese Edwin Staver, la soddisfazione per il bis di Alessandro Botturi e la bella gara di Paolo Lucci. Pochi appassionati capiscono bene la contemporaneità di Dakar ed Africa Eco Race, qualcuno confonde le cose e sposta Ricky Brabec da Riad al lago Rosa, alla periferia della capitale senegalese. Ma pazienza.

Tra i tanti incontrati a Verona, un appassionato su tutti: Roberto Boano, che è uno della mia epoca, uno di quei piloti che correva la Dakar africana degli anni Ottanta e Novanta. Roberto è alle soglie dei settant’anni, ma non conosco nessun altro che, più o meno alla mia età, mantenga quello sguardo da ragazzino. L’ex-pilota piemontese è un entusiasta, uno di quelli che infonde ottimismo. Eppure, a suo tempo, abbiamo rischiato seriamente di perderlo.

E’ una storia che forse già conoscete: caduto rovinosamente con la sua Africa Twin nel corso di una lunga speciale, quella volta Roberto è rimontato in sella in fretta e furia e, pur non sentendosi troppo bene, subito è ripartito, perché l’importante era non arrendersi e arrivare a Dakar. Ma è ripartito in senso contrario alla gara. Un evento che in Africa si è verificato altre volte, in realtà, e che ha avuto un epilogo felice quando un altro concorrente, incrociandolo e capendo il suo dramma, ha avuto la prontezza di inseguirlo, fermarlo, farlo riposare aiutandolo a riprendersi.
 

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Mi raccontava, Boano, che crede di comprendere ciò che è successo al povero Gonçalves perché anche lui è incappato in un incidente con la stessa dinamica: pista piatta e veloce, gas spalancato, tanta velocità e di colpo la pietra nascosta e la ruota anteriore che ci picchia contro. Evitare la caduta è impossibile. Roberto ha avuto fortuna, in qualche modo ne è uscito, ma ricorda ogni attimo e il sogno di volare. Dice proprio così: “Ho sognato di volare, non avevo le braccia, avevo le ali, un lungo e bellissimo volo. Dell’atterraggio invece non ricordo niente. Per fortuna”.

Il mio amico tra l’altro di volo se ne intende davvero, col deltaplano, con e senza motore, ha volato una vita intera, si è fatto anche una 12 ore no-stop da Cuneo alla Puglia. Chissà chi glielo ha fatto fare. La guida della moto è un po’ come volare, dice Roberto, e condivido: lui è stato campione anche del cross, i salti sono stati il suo pane, ma quando parliamo di analogia tra la moto e il volo intendiamo altro. Entrambi amiamo la moto, soprattutto per quella straordinaria sensazione di assenza di peso. Liberi di muoverci nello spazio. Però non ci dimentichiamo mai che la moto è affascinante ma anche pericolosa, e molti, purtroppo, come Gonçalves, hanno smesso per sempre di volare.

 

Nico - Boano