Nico Cereghini: “Per vincere la Dakar”

Nico Cereghini: “Per vincere la Dakar”
Non bastano la moto, il team e piloti di talento. Se KTM non perde un colpo dal lontano 2001 con Fabrizio Meoni, probabilmente non è per caso. Alla Dakar serve qualcosa in più
23 gennaio 2018

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Ciao a tutti! Anche quest’anno alla Dakar vince KTM ed è nientemeno che la diciassettesima volta consecutiva. Una serie che fa impressione, inaugurata nel 2001 - è il momento giusto per ricordarlo - dal nostro grandissimo Fabrizio Meoni, scomparso l’11 gennaio 2005 e che tanto ci manca. Questa volta è Matthias Walkner che trionfa, per la prima volta nella quarantesima edizione del rally; e il giovane austriaco capitalizza una gara molto particolare. Una gara, raccontata in modo originale e documentata dal nostro Piero Batini, che sembra sia stata decisa dagli errori più che dalle imprese. Ma forse, a ben guardare, è sempre stato così.


Perché è una corsa molto particolare, la Dakar. Contano anche qui gli ingredienti tipici delle gare motoristiche: talento, tecnica, organizzazione, passione e poi la fortuna. Se non sei bravo, se non sei tecnicamente ben equipaggiato, inserito in una squadra eccellente, e anche fortunato almeno un po’, ciao...Ma c’è qualcosa che qui è determinante più che altrove: l’approccio. Lo notavo quando seguivo direttamente la gara, da Parigi al lac rose di Dakar: sbagliare il ritmo, sbagliare la navigazione, sbagliare il momento giusto per l’attacco, sbagliare la traccia, era anche vent’anni fa la cosa più facile del rally e insieme la più frequente. La selezione, allora come oggi, si faceva sugli errori individuali. E lo si capisce bene: in una gara così lunga e complessa ciò che prevale è la lucidità, il controllo, l’equilibrio del pilota. Ma il punto è che c’erano squadre che favorivano questa condizione, mentre altre - naturalmente senza rendersene conto - di fatto la ostacolavano.


Parlandone genericamente, i maestri erano i francesi. Sapevano prepararsi molto bene, meglio di tutti per esperienza e mentalità, e poi se la giocavano con il sorriso sulle labbra e quell’aria ironica che ci dava tanto fastidio. Noi, così così. In Cagiva sì, c’era un bel clima, Roberto Azzalin ci sapeva fare, si lavorava fortissimo ma con allegria, meccanici e piloti erano legati, i risultati arrivarono con i tempi giusti. In altri team era tutto più difficile. Sembrava che dovessero vincere per forza. Obiettivi e budget erano probabilmente analoghi -roba grossa - ma in certe squadre si respirava l’aria pesante di chi deve portare a casa tutti i giorni il risultato. Quando il pilota vinceva la speciale, festa grande, se appena beccava dieci minuti di ritardo musi lunghi. “Stasera vieni a mangiare due spaghetti da noi?” Era meglio guardare prima la classifica, o rischiavi di cenare nel gelo, in uno di quei cupi silenzi carichi di tensione che trasmettono disagio e infelicità. Come poteva vincere la Dakar un pilota tenuto così tanto sulla corda?


Ecco cosa intendo. Per vincere la Dakar ci vuole passione, talento, tecnica, organizzazione e…fondo schiena. Ma soprattutto ci vuole serenità. C’è chi, come KTM, evidentemente ha imparato da anni la lezione. E altri invece che, per mentalità o per carattere o chissà cosa, ci provano, ma non ci arrivano.

Per vincere la Dakar
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