Poker d'assi a Dakar, parte 1: Helder Rodrigues

Poker d'assi a Dakar, parte 1: Helder Rodrigues
Inizia questa settimana una serie di quattro interviste ai protagonisti della Dakar 2013. Rodrigues, Despres, Coma e Barreda si raccontano
28 novembre 2012

50 giorni scarsi al via, lordi o netti è la stessa cosa, perché da qui al 5 gennaio 2013 la Dakar si porta via Natale, Capodanno, tutti i week end, le notti e le ore presunte, programmate o augurate libere. Tutto è in dirittura d’arrivo, ma come in un gran premio della montagna ogni pedalata pesa come un macigno. Al salone di Milano ci sono tutti, e le moto da Rally colorano un angolo importante degli stand la cui Casa è coinvolta nella “missione” della gara più dura dell’anno. Complice l’inverno vuoto di appuntamenti motoristici di rilievo, la Dakar assurge ad evento del momento. Un lungo momento che non arriva mai, ma che quando arriva vola sulle ali dell’eccitazione collettiva

 

Milano è una buona occasione per fare il punto, incrociando le impressioni dei protagonisti e gli ultimi aggiustamenti in una visione un po’ più chiara di qualcosa che è prevedibile, e pure con una certa tara di approssimazione, solo sulla carta. In una scala di interesse strettamente legata al palmares, la parte emersa dell’iceberg Dakar a Milano è rappresentata dalla presenza dei protagonisti dei Rally-Raid degli ultimi anni. Cyril Despres e Marc Coma, 4 a 3 nelle ultime sette edizioni, li incontri da KTM. Helder Rodrigues, terzo negli ultimi due anni e Campione del Mondo lo scorso anno, debutta con Honda che a sua volta richiama l’attenzione dovuta al ritorno di una grande dopo un’intera era della storia della maratona prima africana ed ora sudamericana.

 

Rodrigues, Coma, Despres. Andiamo a sentirli, uno per settimana, nell’ordine inverso di valore del curriculum dakariano. Ma il commento finale lo chiederemo a Joan Barreda, il vento nuovo dalla Spagna che reclama legittimamente il ruolo di quarto asso di un poker formidabile.

 

Passiamo dunque la parola a Helder Rodrigues.

 

Helder. Qualcosa è cambiato…
«Molto è cambiato. Ci sono molte cose nuove, non solo per me. C’è Honda. C’è un team ufficiale che torna dopo tanti anni. E ci sono io, per la prima volta in un team ufficiale.»

 

Quando è cominciata questa storia?
«La storia meravigliosa è iniziata a Dubai. “Loro” mi hanno chiamato mentre stavo correndo il Rally, e mi hanno chiesto se volevo… non ho dovuto chiedere cosa, anche se stentavo a crederci. Abbiamo parlato e siamo arrivati in un momento ad un gran… momento. Non so dire a che punto era il progetto, ma di sicuro erano già avanti, e quando ho provato la nuova moto avevo già un gran “prodotto” da aiutare a sviluppare.»

 

Poi è arrivato il giorno della prima gara, in Marocco. Moto, struttura, tutto pronto da collaudare sul campo…
«Per me è stato un giorno bellissimo. La gara è cominciata in un modo meraviglioso, con la vittoria nella prima tappa, quella del debutto ufficiale dopo tanti anni di gavetta. Una vittoria nella prima tappa, la prima volta da pilota ufficiale. Bello per le emozioni, e bello per l’immagine di una grande Casa che torna e riparte da dove aveva interrotto il proprio, fantastico cammino.»

 

I festeggiamenti per la vittoria di tappa di Rodrigues
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Poi è arrivato il giorno della delusione.
«Non si può parlare di delusione. Eravamo andati a correre in Marocco per ritrovare una posizione. Ed è stato importante e bello sapere che c’eravamo, che eravamo già lì con gli altri, competitivi come ci eravamo prefissati di essere. Il problema che abbiamo avuto non grave, è un’altra cosa. È un evento della gara, di quelli che possono arrivare in ogni gara e che ci potevamo aspettare la prima volta che Honda tornava dopo tanti anni. L’importante, però, era sapere di essere arrivati al livello più alto. Aver vinto la gara sarebbe stato ancora più bello, ma non c’è niente che non sia stato positivo, compreso il mettere alla prova una moto completamente nuova ed una struttura interamente da collaudare.»

 

Quando Honda torna non ci si può aspettare che lo faccia per essere uno dei tanti. Sceglie un Campione del Mondo e vuole vincere. In quanto tempo, secondo i programmi?
«Non ci vuole molto ad immaginare che Honda voglia vincere già quest’anno. I progetti di Honda sono sempre molto ambiziosi, e i miei non sono da meno. Potevamo vincere la prima gara, e partiamo per vincere la Dakar alla prima. Chiaro: ci sono molti altri che vogliono la stessa cosa, piloti e marche forti di un’esperienza più recente. Ma non vogliamo certo inchinarci ad una ipotesi “ragionevole” e nascondere le nostre ambizioni.»

 

Cambia anche un’altra cosa: fino ad ora hai fatto tutto da solo. Pilota, organizzatore, team manager. Adesso fai parte di una grande squadra. Avverti il cambiamento?
«Certo. Prima lavoravo molto con la moto, ma dovevo dedicare molto tempo e molte energie alle diverse fasi organizzative, sempre molto complesse. Cercare la moto e prepararla, gli sponsor, organizzare il mio team e la logistica. Adesso sono un pilota ufficiale e posso dedicare tutto il mio tempo e la testa ad allenarmi ed a progredire sul piano del pilotaggio e della tenuta fisica. Ma soprattutto posso concentrarmi al massimo sulla moto, senza distrazioni. Posso fare la cosa che so fare meglio, il pilota. Questa è la grandissima differenza, chiaramente avvertibile.»

 

Com’è lavorare con i giapponesi?
«È perfetto. I giapponesi lavorano con molta dedizione e molto rispetto per il lavoro degli altri. Non si può paragonare giapponesi e latini. Io sono latino, ma con i giapponesi mi trovo decisamente bene.»

 

Non ci vuole molto ad immaginare che Honda voglia vincere già quest’anno. I progetti di Honda sono sempre molto ambiziosi, e i miei non sono da meno

Giapponesi, ma anche sudamericani coinvolti.
«Sì, il progetto è partito dal Sudamerica. La Dakar si corre là e per Honda il mercato sudamericano è molto importante. In Europa i Rally sono superati dal Cross e dalla Moto GP, in Sud America la Dakar è l’evento più importante e gode della massima attenzione. In un contesto del genere investire nei Rally in funzione del mercato è vitale.»

 

La moto, bellissima, sembra una standard migliorata. È, invece, una HRC “purosangue”?
«La nuova moto è davvero… nuova e state tranquilli: è una HRC. Deriva dalla CRF, e si attiene alle regole imposte dalla Dakar per quanto riguarda le parti che devono essere conservate. Ma è chiaro che la Honda da Rally è una Honda speciale, e tutte le sue parti sono state opportunamente riviste e realizzate in funzione delle necessità della corsa.»

 

Per la Dakar ci vuole una moto veloce e stabile, ma ultimamente anche guidabile. E poi il motore 450 non è tendenzialmente l’ideale per ricavare prestazioni ed affidabilità e nello stesso tempo longevità. Come avete lavorato sulla moto?
«La Honda standard è una moto di per sé molto maneggevole e sicura nella guida. Abbiamo cercato per prima cosa la stabilità, lavorando sulle sospensioni e sulle geometrie, e poi di nuovo la maneggevolezza. Abbiamo trovato in fretta il giusto compromesso. Per quanto riguarda il motore non so molto. So che chiedo un motore forte e affidabile, che si comporti in un certo modo. E dal Giappone arriva quel motore.»

 

Un Team “globale”, giusto?
«Sì. Il progetto è nato in Sud America, il Team fa base in Olanda, lo sviluppo della moto viene fatto in Giappone, ed io mi preparo e mi alleno principalmente a casa mia, in Portogallo, quando non dobbiamo andare a fare dei test altrove.»

 

Quanti chilometri ha fatto la moto per arrivare ad essere pronta per la Dakar?
«Siamo cinque piloti, e ciascuno di noi ha avuto una moto per prepararsi e per portare avanti lo sviluppo. Ognuno di noi ha fatto otto-diecimila chilometri, tutti con la stessa moto.»

 

Sei felice?
«Sì. Sono molto felice.»
 

Piero Batini

 

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