Poker d'assi a Dakar, parte 3: Cyril Despres

Poker d'assi a Dakar, parte 3: Cyril Despres
Continuiamo nella nostra serie di interviste ai protagonisti della prossima Dakar. Dopo Rodrigues e Coma è il turno di Despres raccontarci della sua preparazione e delle aspettative per la gara ormai in partenza
11 dicembre 2012

Tocca a Cyril Despres sottoporsi alla terza delle nostre interviste che, con la prossima settimana, andranno a comporre un poker di protagonisti annunciati della Dakar 2013. Dopo Helder Rodrigues e Marc Coma tocca al francese fare una veloce chiacchierata per raccontarci come si allena e cosa si aspetta dalla prossima edizione della Dakar.

 

Dì la verità, dopo la quarta vittoria hai anche pensato a smettere di correre in moto e cambiare mestiere?

«No, questo mai. Ci sono momenti in cui ti puoi permettere di godere dei frutti del tuo lavoro, e questo talvolta ti allontana un po’ dall’impegno finalizzato alla prossima corsa. E' quello che ho fatto, per dedicare più tempo alla mia famiglia, ma non ho mai pensato di smettere di andare in moto. Mai in circostanze come quella della quarta vittoria e mai con una scadenza così immediata. Sarà l’evoluzione della mia carriera ad indicarmi quando sarà il momento di smettere.»

 

Cosa vuol dire essere distante dalla corsa?

«Vuol dire vedere le corse da un altro punto di vista. Quello dell’esperienza, per esempio. Andare a correre in circostanze meno “tirate” e scoprire posti nuovi, conoscere gennte nuova e prendere le corse da un’angolazione più rilassata. Quest’anno, per esempio, sono andato a correre in Canada e in Polonia. Altre volte sono stato in Australia o in Sud America. Mi sono divertito a correre in auto sul ghiaccio e sulla neve con una Corvette: hanno detto subito che stavo per passare alle auto, ma erano solo fantasie. Per me è stata solo curiosità e divertimento.»

 

Despres sul podio della Dakar 2012
Despres sul podio della Dakar 2012
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Dicono che da un paio d’anni, correndo meno durante l’anno, ti alleni meno.

«Vorrebbe dire che sono un superuomo, visto che continuo a vincere. Non sono un superuomo e comunque non è vero. Diciamo piuttosto che si tende a non riconoscere un dato che peraltro non è sempre evidente. La verità è che faccio meno corse importanti, o solo quelle che mi piacciono come il Sardegna Rally Race, ma anche che mi alleno e mi preparo in modo diverso. Faccio molta altra attività fisica e di preparazione anche senza stare in sella per molte ore tutti i giorni. Vado in bicicletta, a camminare sulle montagne e nei boschi attorno a casa mia, ad Andorra. Vado molto in palestra e seguo dei programmi molto rigorosi. Insomma, ho un programma di preparazione che ho messo a punto e che si è rivelato efficace per farmi arrivare al momento della partenza della Dakar in perfetta forma. Un po’ quello che fanno gli atleti olimpionici, che diluiscono gare e preparazione su arco che dura addirittura quattro anni.»

 

Intravedi mai quel momento, quello di smettere?

«No, in particolare non in questo momento. Succede che man mano che mi avvicino alla Dakar la voglia di correre cresce man mano che mi sento più vicino alla perfetta condizione di forma. È una sorta di eccitazione, che equivale alle emozioni delle prime corse, quando non vedevi l’ora di partire. Adesso è un po’ diverso, ma è un fatto che a meno di due mesi dal via mi sento già carico, e provo le stesse sensazioni di impazienza e di energia da sprigionare.»

 

Pensi mai che tutto è cominciato per caso?

«Ci penso spesso. Facevo il meccanico. Il mio datore di lavoro è un grande appassionato e correva nei Rally. E' stato lui, Patrick Kevorkjan, quello che ha scoperto e lanciato gente come Lalay, Sainct, Morales, Stephane Peterhansel. Correva ed arrivava ventesimo, trentesimo; un giorno si è fatto male, alla vigilia di un Tunisia, e mi ha proposto di prendere il suo posto. Sono arrivato meglio di lui ed è cominciata un’altra vita, esaltante, bellissima. Da lì ho voluto correre la mia prima Dakar, ma naturalmente mancavano i soldi. Un piccolo grande sponsor mi ha regalato mille bottiglie di vino e con Michel Gau, un amico e pilota che poi è stato anche il mio portatore d’acqua, abbiamo deciso di finire tutti i nostri risparmi per preparare delle confezioni di tre bottiglie personalizzate Dakar, che abbiamo venduto quasi porta a porta. Così mi sono pagato la prima Dakar.»

 

La verità è che faccio meno corse importanti, scegliendo quelle che mi piacciono come il Sardegna Rally Race, ma anche che mi alleno in modo diverso

Marc, Helder, i tuoi avversari. Come ti prepari per combatterli?

«Dimentichi due avversari. O un alleato ed un avversario. Non amo troppo misurarmi sulle possibilità che mi derivano dagli altri. Il mio principale avversario sono io stesso, e lo stimolo che avverto è quello di portarmi nelle condizioni di non fare errori, o di farne meno degli altri. L’altro avversario della prossima Dakar? Joan Barreda, ovvio.»

 

Un test della motivazione per la prossima Dakar. Se ti offrissero due contratti, uno a “fisso” ed uno basato sul solo premio della vittoria, quale sceglieresti oggi?

«Nessun dubbio, quello con un premio per il vincitore. Quando firmiamo?»

 

Piero Batini

Foto: Maragni/KTM Images

 

 

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