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Non capita tutti i giorni che un’azienda apra le sue porte alla stampa. Capita ancora più di rado che questa sorta di “porte aperte” sia anche l’occasione per spogliare un modello di serie per spiegare meglio la tecnologia che vi sta dietro. Certo, direte voi, perché la cosa avviene normalmente durante le presentazioni di questi modelli.
Vero, ma quando si parla di moto elettriche, sulle quali la cultura – anche per quanto riguarda noi della stampa – è ancora tutta da creare, capirete che la curiosità si fa elevata. E l’occasione davvero ghiotta, perché quando, come in questo caso, sotto le carenature si trovano componenti tecniche molto diverse da quelle a cui siamo abituati, le domande sorgono spontanee.
Ma partiamo dall’inizio. Ovvero da un bel giro della fabbrica gentilmente offertoci da Franco Cevolini, presidente di Energica Motor Company. Che ci porta negli uffici, ma soprattutto sulle linee di produzione dove nascono Ego, Eva ed EsseEsse9, per poi tornare nella sala – che fa anche da piccolo showroom, e quasi da museo, con tutte le moto di serie e da corsa di Energica – per raccontarci come è nata la Casa modenese.
Energica nasce da CRP, una realtà con quasi cinquant’anni di storia nel racing e nel relativo indotto delle due e quattro ruote. Un piccolo colosso – passateci l’ossimoro – che è nato e cresciuto facendo Formula 1, Rally, MotoGP, NASCAR e ALMS. E poi, arrivata all’eccellenza, ha diversificato la propria attività, aggiungendo alle lavorazioni meccaniche di precisione la prototipazione rapida e il reverse engineering, scelta che ha permesso di differenziare l’attività aggiungendo i settori militare, aerospaziale, nautico e meno prosaicamente del design.
Ma tornando alla parte che più ci interessa, ovvero quella legata alle due ruote, CRP inizia con i due tempi nel CIV, lavorando sulle RS a due tempi da far correre nell’Italiano 125 e nel trofeo Honda, che la squadra vince nel 2006. Nel 2009 fa anche una wild card nel Mondiale, con quel Davide Stirpe che poi, nel 2017, diventerà campione italiano SuperSport sulla MV Agusta F3 del team Extreme.
L’esperienza prosegue con la Moto2 assieme al team ADV-WTR e Valentin Debise nel 2010. Poi arriva la TTXGP, dove CRP partecipa con la sua eCRP 1.4 (che a suo tempo abbiamo provato anche noi) vincendo due titoli italiani e arrivando seconda nell’Europeo. Poi, a sorpresa, nel contesto di una giornata tutta dedicata alla propulsione a zero emissioni, nel giugno 2013 all’autodromo di Modena debutta il prototipo della prima superbike elettrica. Si chiama eCRP Energica, poi eCRP cambierà nome diventando lei stessa Energica, e la moto prenderà il nome di Ego. E il resto, come si suol dire, è storia recente. Arriva appunto la supersportiva Ego, da cui viene… prelevata una costola per far nascere, nel 2016, la naked sportiva Eva. Dalla quale, a sua volta, a fine 2017 nasce la EsseEsse9.
Tutto questo in uno stabilimento nuovo, moderno, in cui Energica si è trasferita nel 2016. La zona produzione si estende su circa 3.000mq, con una linea di produzione in cui avviene l’assemblaggio dei tre modelli attualmente in produzione. Modelli che vengono realizzati – orgogliosamente – con un buon 85% di componentistica italiana, con specifica preferenza per la zona di Modena.
Una preferenza campanilistica ma con fondate motivazioni tecniche, perché naturalmente quella Motor Valley che si sviluppa attorno alla Via Emilia non è fatta di sole Case costruttrici, ma anche del relativo indotto. Leggenda vuole, a questo proposito, che un giovane Horacio Pagani abbia chiesto ad Alejandro De Tomaso consiglio sul dove aprire la sua Factory, e che l’imprenditore argentino abbia risposto che per fare auto e moto sportive c’erano solo due posti al mondo: la zona di Woking, in Gran Bretagna, e la provincia di Modena.
Tornando a noi, attualmente la linea ha una capacità di 500 moto l’anno, ma la struttura ha potenzialità per farne 5.000, anche se – come è abbastanza naturale – Energica preferisce non dichiarare ufficialmente i numeri di produzione, che si dividono fra moto di serie e unità Tailor Made, ovvero personalizzate su richiesta del cliente, come testimonia una bella Ego personalizzata per Nico Rosberg che attende di essere consegnata...
All’interno della sala che ospita la linea c’è anche la struttura per il lavoro sulla Supply Unit, il pacco batteria ad alto voltaggio che pur utilizzando celle acquistate da un produttore orientale, è “confezionato” in sede ed è coperto da brevetto, che si affianca agli altri due relativi alla VCU (la centralina di controllo di tutto il veicolo) e l’eABS, che agisce con funzione antibloccaggio sulla funzione rigenerativa della frenata.
Insomma, un’azienda giovane e dinamica ma con l’esperienza dei quasi 50 anni della CRP, che ha avuto la fortuna di lavorare con Case, Team e Squadre Corsa in tutto il mondo, potendo capitalizzare sull’esperienza altrui quando ha deciso di passare dall’indotto al ruolo di Costruttore vero e proprio. Un esempio fra tutti: nell’ufficio tecnico, al piano superiore, gli ingegneri sono seduti a fianco di una Ego, che fa bella mostra di sé al centro della stanza, come capita negli uffici della Red Bull F1. Funzione motivazionale? Si, ma non solo. Volete mettere poter toccare con mano, misurare, provare direttamente sul prodotto finito se una soluzione funziona, invece di simulare al CAD con tutte le incertezze che la cosa si porta dietro quando si deve poi produrre per davvero il pezzo?
Al ritorno nello showroom prende la parola Livia Cevolini, CEO di Energica, che integra la storia con i passi più importanti che hanno permesso a CRP di far nascere – appunto – Energica. Il punto di svolta è stato sicuramente l’esordio nel settore della stampa additiva, ormai 20 anni fa, arrivando a creare prototipi con la tecnologia Windform, talmente avanzata da poter essere impiegata non solo per la prototipazione rapida, ma anche per creare pezzi strutturali per l’impiego in F1, impresa prima di allora ritenuta assolutamente impossibile.
Il resto però è storia davvero recente, con la scelta di orientarsi verso prodotti sportivi d’alta gamma, seguendo l’ispirazione di un marchio come Tesla e allontanandosi radicalmente da un percepito del mezzo elettrico come un qualcosa di ecologico ed economico, spostandosi invece verso la sfera dell’emozionale e prestazionale.
Un percorso certo in salita, soprattutto in un mondo profondamente conservatore come quello della moto, ma affrontato con la razionale follia di un team giovane e motivato – l’età media dei dipendenti di Energica è di 25 anni – e capace di raccogliere sfide come quella della MotoE, che farebbero tremare i polsi a qualunque costruttore. Una sfida importantissima per sviluppare nuove tecnologie nel corso dei tre anni in cui Energica sarà fornitore unico per la categoria, ma che ha già dato importanti riscontri in termini di brand awarenesse di affermazione della credibilità per la factory modenese, se è vero com’è vero che un partner come Samsung ha lavorato con Energica sul progetto Smart Ride.
Ma arriviamo finalmente alla parte più interessante per noi, ovvero il disvelo di una Ego senza sovrastrutture. Lo ammettiamo: una elettrica spogliata non ha, al primo sguardo, lo stesso fascino di un’endotermica. Meno complessa alla vista, meno caratterizzata nelle singole componenti, all’inizio attira meno lo sguardo. E però, man mano che la si osserva e ci si sforza di carpirne i dettagli, ci si accorge di tante piccole cose che semplicemente lo sguardo, il cervello, non sono ancora addestrati a riconoscere e non percepiscono. Per fortuna c’è qui Giampiero Testoni (CTO di Energica) che ce la illustra nel dettaglio.
Al netto delle componenti che tutti conosciamo – non torneremo su forcella, impianto frenante e in generale sulle componenti di terze parti della ciclistica – la Ego è in gran parte “Proudly Made in Modena”. C’è il già citato involucro in alluminio per le batterie, ma anche le piastre di sterzo, praticamente tutti i supporti, le pedane, i manubri. Tante componenti, sui modelli più pregiati, sono realizzati in Windform.
E anche dove non sono realizzate in casa, tante componenti sono state realizzate per Energica prima che per altri costruttori. Pensiamo al cruscotto TFT: la stessa unità, realizzata da COBO, che ha debuttato su Ego è quella che poi è stata montata sull’Aprilia RSV4.
Iniziamo con una domanda a Giampiero relativa – appunto – alla nostra mancanza di cultura relativa all’elettrico: perché la scelta dell’alto voltaggio, con tutte le complicazioni e le preoccupazioni (giustificate o meno che siano) relative ai pericoli che ne derivano?
«E’ una scelta molto importante in ottica prestazionale. Più elevata è la tensione, in media, più sono elevati i valori di coppia e potenza, e più in alto è capace di girare il motore elettrico. Allo stesso tempo, se vogliamo vederla al contrario, per ottenere la stessa potenza si consuma di meno, quindi si ottiene un’autonomia maggiore. Il rovescio della medaglia è il costo, perché quando si passa dal basso all’alto voltaggio le componenti, che non beneficiano delle economie di scala di tutta la produzione industriale, hanno prezzi molto diversi».
La scelta però si porta dietro anche complicazioni di sicurezza non banali…
«Indubbiamente, avere a che fare con un circuito ad alta tensione o uno a 12 volt è molto diverso, ed è il motivo per cui tutti i cablaggi ad alta tensione sono chiaramente riconoscibili: sono quelli arancioni (e nettamente più grossi, aggiungiamo noi) che girano fra VCU, Suppy Unit e Power Unit. Tenete presente però che, se pure ci sono diverse precauzioni che bisogna prendere quando si lavora su un mezzo elettrico o in caso di malfunzionamento, non è che farlo su un mezzo a benzina (che ha una carica energetica infinitamente superiore a quella dell’elettricità contenuta in una batteria, NdR) sia sicuro: è solo che richiedono competenze diverse che, per la propulsione elettrica, non sono ancora altrettanto diffuse come quelle per i mezzi endotermici».
«In ogni caso, il livello di sicurezza intrinseco delle nostre moto è elevatissimo, la VCU monitora continuamente tutti i collegamenti e ci sono appositi contattori (in inglese contactors, NdR) che interrompono il circuito in ogni punto critico ad ogni minimo malfuzionamento».
Viene anche da chiedersi quali siano le normative. Tutti conosciamo l’Euro-4 sotto il profilo dei motori endotermici, mentre per quanto riguarda gli elettrici si apre un vero e proprio buco nero…
«In effetti abbiamo problematiche diverse da risolvere rispetto alle moto convenzionali. Dove gli altri si devono preoccupare di emissioni inquinanti e rumore, noi invece dobbiamo pensare alla schermatura delle radiazioni per questioni sanitarie e di interferenze e altri aspetti che nell’Automotive sono ormai pane quotidiano, ma nel mercato delle moto sono ancora del tutto sconosciuti. E anche dalla controparte, ovvero le istituzioni, manca una cultura specifica, quindi spesso il lavoro è doppiamente difficile».
«D’altronde è tutto molto stimolante ed entusiasmante, perché mentre nella propulsione endotermica parliamo di un prodotto ormai più che maturo, dove la curva evolutiva è ormai fatta di miglioramenti marginali, nell’elettrico si procede con quantum leaps, balzi evolutivi quantistici. E poi le potenzialità sono praticamente infinite, visto che un motore elettrico è plasmabile nel comportamento con una facilità sconosciuta e impossibile per il motore endotermico».
In effetti, se ci si pensa bene, l’evoluzione di una moto elettrica, anche durante il ciclo di vita della piattaforma, ha ben pochi limiti se non quelli della tecnologia hardware. Una moto, anche già venduta, può venire aggiornata e migliorata nelle sue funzionalità come avviene con uno smartphone.
Basta pensare alle funzionalità software introdotte da Energica con i modelli 2019 ad Intermot, alcune delle quali sono semplicemente “retrofittabili” alle moto precedenti con un semplice aggiornamento software. Oppure a una delle (già citate) novità di cui in Energica vanno più fieri: l’eABS, ovvero un sistema antibloccaggio oggetto di brevetto mondiale che si integra con l’ABS convenzionale. Dato che il freno motore applicabile da una moto elettrica nelle impostazioni più elevate per la funzione rigenerativa può arrivare facilmente a bloccare la ruota posteriore, l’eABS agisce esattamente come la gestione elettronica del freno motore convenzionale non appena il sistema percepisce (attraverso le ruote foniche dell’ABS tradizionale) un bloccaggio imminente.
E’ vero, con l’arrivo dell’elettrico le singole moto perderanno qualcosa in termini di personalità. Ma date retta, ci sarà comunque differenza fra l’una e l’altra…