Il futuro del Trial è elettrico?

Il futuro del Trial è elettrico?
Il sempre più vasto segmento delle off/road elettriche ha come precursore, come spesso è accaduto in passato, il Trial. Un settore che è innovativo per natura
11 marzo 2019

Il sempre più vasto segmento delle off/road elettriche ha come precursore, come spesso è accaduto in passato, il Trial. Un settore già a suo tempo innovatore, ad esempio con l’introduzione del primo telaio in alluminio su una moto di serie, ovvero Betamotor con la Zero del 1990.


Certamente, aspetti come la vocazione ecologica delle Trial, la relativa semplicità costruttiva imposta dalla ricerca della leggerezza ed essenzialità, ha reso possibile, già una decina d’anni fa, un approccio concreto al mondo delle “elettriche”. Una partenza molto decisa, con interessanti prototipi prima e modelli definitivi poi. Moto presentate da Gas Gas e Scorpa, che però hanno visto un rallentamento nello sviluppo a causa del lento evolvere della ricerca sulla durata delle batterie, un po' il tallone di Achille di questi motori.


Ma eccoci ai giorni nostri, dove il tema dell'ecosostenibilità, oltre a raccogliere sempre maggiore consenso sociale, diventa una vera e propria necessità in rapporto ai dati sull’inquinamento globale e le sue tragiche conseguenze per il pianeta. Questa consapevolezza ha dato letteralmente "la scossa" a costruttori di veicoli, ed ora, dalle biciclette alle auto, è un proliferare di proposte sempre più convincenti. 


Ovviamente le leggi di mercato ci dicono che maggiore è la richiesta e più grande sarà l’offerta, con un conseguente incremento di sviluppo ed investimenti, così finalmente anche le batterie si sviluppano velocemente, divenendo sempre più performanti e longeve. Grazie a questa evoluzione, nel segmento moto adulti il Trial ha ricevuto nuova linfa, poiché nelle moto dedicate ai bambini vi è stata già una larghissima diffusione della quale parleremo più sotto.


Azioni importanti quali l’introduzione, dal 2017, di uno speciale Campionato Mondiale FIM per moto elettriche, o la proposta di far diventare il Trial-E disciplina olimpica, hanno stimolato i maggiori costruttori a rinnovati importanti investimenti su modelli racing: Gas Gas, EM, Mecatechno e da quest’anno anche il colosso nipponico Yamaha, hanno proposto realizzazioni sempre più sofisticate e performanti, aprendo di fatto un nuovo incentivo all’utilizzo futuro di questi mezzi. 

Si parla di futuro perché, se da una parte il laboratorio Trial per la sua semplicità costruttiva offre il vantaggio di minori investimenti in termini di sviluppo, dall’altra trova il grosso limite nella diffusione a causa del prezzo d’acquisto molto elevato, ovvia conseguenza diretta dell’esiguità nei numeri di vendita del segmento, oramai di nicchia da quasi vent’anni.


Con questi presupposti, le Electric Trial vivono una modesta diffusione condizionata da appassionati tradizionalmente legati al motore endotermico, ed offuscate nel mercato globale dalle cugine E-Bike, molto simili per filosofia, ma più pratiche nell’utilizzo: un vero proprio imbuto, dal quale francamente si fatica ad uscire. Ma, al netto delle problematiche sopra esposte, proviamo noi ad ipotizzare quali possano essere gli scenari futuri partendo da pro e contro nella guida di queste moto.

 

 

Il Trial del futuro

Sono sicuramente molti i punti a favore che spingono a pensare la moto da Trial con un futuro anche senza carburanti fossili. Innanzitutto, come più volte sottolineato, la vocazione ecologica del mezzo già oggi, il veicolo fuoristrada con il più basso impatto ambientale, la bassa potenza impiegata e la relativa migliore gestione delle batterie, sono elementi importanti sui quali provare a costruire una riscoperta del segmento.


Nella guida si apprezzano moltissimo la silenziosità di utilizzo e la grande possibilità di cesellare l’utilizzo del gas nella gestione della trazione. Questi motori si caratterizzano proprio per potenza e coppia immediatamente disponibili che nel solo nel Trial più estremo trovano il limite, e per questo i modelli più recenti sono dotati di cambio e frizione meccanica che ne aumentano ancor più il feeling utile ad elevare le prestazioni del complesso moto pilota. In definitiva, un grande potenziale compatibile con la necessaria ecosostenibilità dei mezzi di locomozione del prossimo futuro. 


Altro motivo di interesse deriva dalla gestione manutentiva di questi mezzi, che risulta essere molto più semplice rispetto ai normali propulsori endotermici: qui basta ingrassare la catena, e dove necessario cambiare l’olio motore, ed il gioco è fatto!

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Le Electric Trial vivono una modesta diffusione condizionata da appassionati tradizionalmente legati al motore endotermico

Qualche ostacolo sul percorso

Al momento, come già sottolineato, il problema più importante è la gestione della durata delle batterie. Se ad un impiego poco impegnativo si riescono ad ottenere già dei buoni risultati, come l’asticella delle prestazioni sale ecco che il rapporto tra autonomia, leggerezza ed ingombro diventa problematico: da 4 ore si scende repentinamente ad una sola ventina di minuti!

Altra voce negativa riguarda il costo di acquisto, decisamente impegnativo rispetto alla concorrenza 2/4 tempi. Oltre alla batteria molto costosa, negli ultimi modelli si sono aggiunte anche le componenti meccaniche che inevitabilmente aumentano il costo di produzione: in questo senso c’è comunque la speranza che il rapido diffondersi delle e-bike faccia decrescere queste voci di costo.

Nella guida, i modelli più sofisticati consentono a livello agonistico di risolvere ostacoli da percorso verde del mondiale, dove peraltro già si concorre per il titolo iridato: oltre, risulta un poco più complicato per l’erogazione, che al momento manca di quel fattore inerziale così come sviluppato nelle ultime generazioni di motori da Trial.


Conclusione

In definitiva, le prospettive ci sono, ma vanno sviluppate e perseguite con convinzione: le aziende devono investire molto sul marketing dei futuri e nuovi utenti del Trial, cercando magari delle sinergie con federazioni ed enti di promozione del territorio per poter creare una nuova coscienza rispetto a questi mezzi, e pensare seriamente di soppiantare nell’ideale trialistico l’amato 2t.

 

Generazione ad impatto zero

Dopo aver raccontato il mondo delle moto elettriche dedicate agli adulti, eccoci a fare il punto sullo stato dell’arte delle moto per bambini.  Diversamente da quanto accade per i grandi, qui le cose sono un pò differenti e ciò che maggiormente ha stimolato il nostro interesse sono gli svariati modelli dedicati ai bambini dai 4 ai 12 anni, presenti stabilmente sul mercato da dieci anni con aziende quali OSET, MECATECHNO, KUBERG, TORROT, e negli ultimi tempi anche nei listini di BETAMOTOR e GAS GAS, che le hanno sostituite ai loro modelli a scoppio: piccole miniature perfettamente disegnate a replica delle agili sorelle maggiori si propongono, secondo noi intelligentemente, come veicoli utili ad avvicinare il pubblico giovanile alla disciplina motociclistica più tecnica del fuoristrada.

Ancora una volta, per il mondo del Trial è l’Inghilterra a rendersi protagonista di questa piccola rivoluzione, in particolare grazie alla passione ed all’impegno famigliare di Ian Smith, un dinoccolato americano che sulla scorta delle pressanti richieste del figlio Oliver, di soli tre anni circa, di una moto reale che potesse sostituire i modellini con i quali aveva sin lì giocato, si inventa il marchio OSET e nel 2005 fonda la sua azienda trasferendo direttamente nel sud dell’Inghilterra la sua base operativa. In breve, grazie alla bontà del progetto ed alla sensibilità degli organizzatori sportivi inglesi, la diffusione si allarga a macchia d’olio dall’isola al continente, permettendo ad OSET di arrivare alla ragguardevole produzione e vendita di 5.000 pezzi del 2018.

La chiave del successo di questo progetto, oltre alla bontà dello stesso, è stata sicuramente la capacità di Smith di mostrare attraverso video-casalinghi le numerose possibilità di utilizzo che una piccola moto elettrica poteva avere rispetto ai mini-trial convenzionali dotati di motori due tempi a frizione automatica. Spazi ristretti come il giardinetto di casa, androni e rampe di garage diventano nell’immaginario infantile veri e propri percorsi di gara nei quali cimentarsi alla scoperta delle proprie abilità di guida su un mezzo a due ruote: insomma, giocare al Trial immaginandosi Bou o Raga è oggi molto più facile, grazie all’intuizione di Ian Smith ed alla passione del figlioletto Oliver.


Nei miei viaggi con la Nazionale Italiana di Trial, già nel 2009, durante il GP d’Inghilterra a Carlisle, notai con interesse un percorso tipo gimkana con alcune bandierine a delimitare gli ostacoli, ed al suo interno, impegnati a superare queste difficoltà, bambini entusiasti alla guida di queste silenziosissime “motine”: fu una folgorazione, compresi subito che gli inglesi avevano trovato un modo poco invasivo per rendere il Trial un gioco fruibile sin dai quattro anni. Tornato a casa comprai una di queste moto, e mio figlio minore, sceso dal triciclo, imparò immediatamente a guidare un mezzo a due ruote in tutta sicurezza, contrariamente a quanto era accaduto in precedenza con il fratello maggiore, che alla guida del rumoroso due tempi mini-trial non aveva mai trovato lo stimolo, impaurito da prestazioni eccessive, dalla scarsa modulabilità del comando gas e, in un certo qual modo, anche dalla rumorosità.  


A distanza di qualche anno, l’importatore Betamotor inglese John Lampkin mi confessò che l’attività giovanile britannica aveva avuto un sostanzioso incremento grazie alle moto elettriche, arrivando già nel 2013 a vendere, nella sola isola, un migliaio di pezzi. Recentemente OSET è divenuta main sponsor della manche mondiale inglese, e nel Domaine che ha ospitato il percorso dei big abbiamo potuto apprezzare le otto zone perfettamente tracciate per i mini-piloti che anche in questa occasione hanno stupito per capacità, e soprattutto per il compiaciuto divertimento: insomma, un ambiente ideale dove mutuare gioco ed impegno sportivo senza che nessuno dei due aspetti prenda il sopravvento sull’altro. 


Come logicamente accade in questi casi, altre aziende si sono affiancate alla produzione e vendita di questi modelli, ed il mercato, come detto in precedenza, ha di poco superato in termini numerici le sorelle maggiori, segno questo che l’idea funziona. Peccato che in Italia non si sia compresa anzitempo l’opportunità di promuovere con convinzione questi mezzi che solo ora trovano ampio spazio nella diffusione della specialità, lasciandoci, come peraltro anche spagnoli e francesi, in balia di quella che tra un paio d’anni sarà una vera e propria “british invasion”. 

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