Iscritto: 10/02/2011 Locazione: affari miei
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Questa è cattiva ma è reale,purtroppo :RICORDANDO ALESSANDRO La ho già condivisa con la crew delle harley,eccola per voi. Mettendo in ordine per continuare a inscatolare ciò che per ora non serve in previsione del trasloco ho trovato una foto di una gita scolastica,era il 1985 ed eravamo andati a Venezia. Di per se una foto come tante altre,un goccio sbiadita,Qui ci sono io,qui c’è Giorgio,qui c’è Luca, questo….noo Alessandro ed era ancora vivo,ma veniamo poco per volta a dire tutto e capirci sopra. Alessandro era un soggetto stranissimo,nato anche lui nel 70 come me. Ma secondo me arrivava da un altro pianeta. Ha fatto le elementari e le medie con me nella stessa scuola ma sempre in più sezioni differenti. Del resto se ci vai d’accordo fanno di tutto per allontanarti e metterti in classe con dei tongoloni che ragionano a calcio,figurine e sesso. Che faccia aveva,come era fatto? Beh senza una foto,che per rispetto non voglio mettere posso dire che era un ragazzino come tanti ,bè non proprio,era magrissimo e quando si cambiava in palestra per fare ginnastica gli contavi le costole. Era alto quanto il mio naso,quindi se io ero un goccio più alto posso dire che era nella media. Aveva i capelli nerissimi e le ciglia folte,la carnagione chiara come il latte,qualche lentiggine in faccia e gli occhi grigi. Ma con uno sguardo così intenso che avrebbe bucato una casa da parte all’altra senza fatica. Ah,non portava gli occhiali. Aveva inoltre lineamenti femminili e a carnevale più di uno c'era caduto in un suo travestimento... E’ naturale che tra ragazzini ci si inventa i soprannomi. All’epoca non tutti ne avevamo ancora uno. A me chiamavano Archimede perché ricordavo l’inventore dei fumetti di Paperino e per i miei esperimenti di elettronica,a lui invece davano vari soprannomi,chi lo chiamava plastica,chi gomma chi in altri modi,qualcuno non tanto bello che non riferirò. Ma chi dava questi soprannomi non aveva capito nulla secondo me. Forse io ero Archimede ma lui era Einstein,Enrico Fermi e Leonardo insieme! E nessuno lo ha mai capito. Mentre io stupivo il mio prossimo con led e esperimenti con gli impianti stereo,lui faceva tutto il resto,ma proprio tutto. Tagliava,saldava,inchiodava e tutto dai 12 anni in su. Abitava in un condominio piccolo con sei famiglie,lui era all’ultimo piano,una casa di 50 mq e viveva con sua madre (alla quale non assomigliava per niente) e il suo compagno. Suo padre non so che faccia avesse ma magari non lo sapeva manco lui. Sul campanello c’era un cognome meridionale ma a scuola lo si chiamava con un cognome diverso. Non ne voleva mai parlare,e a differenza del mio che si era schiantato nel 74 con la macchina e avevo una foto sull’armadio lui non aveva nemmeno quella. Il compagno della sua mamma era Pietro il meccanico,gli portavamo anche ad aggiustare la 127 quando si guastava. Un ragazzone simpatico,avrebbe potuto essere nostro fratello tanto che sembrava giovane. Aveva una sportster e una jeep verde oliva scoperta (con tanto di stella bianca sul cofano) . Ed era e penso è decisamente simpatico. Mi piacerebbe incontarlo di nuovo un giorno. Portava i baffi e fumava. La stanza di Alessandro era un mondo a parte. A partire dall’alto. Il lampadario girava,o meglio girava una sovrastruttura con dei pianeti ,sospesi su piccoli fili di ferro. Accendendo le lampadine (erano due) una ventola a palette sfruttava l’aria calda prodotta e poi lentamente faceva ruotare una struttura larga un metro sul quale c’erano i pianeti. C’era Saturno,la terra e tutti gli altri,fatti con palline da ping pong e tennis pitturate. La rotazione era lenta,a volte si fermava e poi ripartiva. Come tutte le cose costruite da Alessandro erano stati usati pezzi di recupero e filo di ferro saldato a stagno. E sopratutto molte non volevano corrente,infatti più che plastica e gomma si doveva chiamarlo vento secondo me. Camera sua era uno spettacolo. Dormiva a 2 metri da terra in un letto sospeso. Sotto al letto c’era il letto degli ospiti che diventava un posto dove appoggiare di tutto. La struttura era fatta con i tubi che usano i muratori per fare i ponteggi,colorati di vari colori. E a differenza della mia di mamma che si sapeva lamentare solo del disordine la sua non gli diceva nulla. Tuttavia lui controllava il disordine,non saliva mai oltre un certo limite. Sua madre era contenta quando qualcuno dormiva da lui a differenza della mia (e specialmente di mia nonna) che aveva fatto bloccare da zio Vincenzo il cassettone con il letto sotto al mio per paura che invitassi qualcuno a dormire. Una parete era occupata da una enorme rete che era fatta con gli elastici fatti col le camere d’aria delle automobili. Le pareti erano verniciate con colori psichedelici. Aveva una scrivania su cui studiare che forse era l’unica cosa comprata,mentre invece aveva un tavolo da lavoro nella stanza con gli attrezzi appesi sul muro. Nella sua stanza non c’erano orologi,li odiava e non e aveva mai uno al polso. Ne aveva uno dei primi digitali al quarzo mezzo rotto che teneva nei pantaloni,con solo un pezzo di cinghietto. Eppure era sempre puntuale. Anche nel vestire era unico,noi metallari risparmiavamo i soldi per comprarci i polsini borchiati,lui invece se li faceva,sempre recuperando materiali vari,. Aveva la pressetta a mano per i rivetti e per le borchie. Difatti si era fatto sia i polsini sempre con la gomma delle camere d’aria (anche se i suoi erano tanto piccoli che non andavano a nessuno di noi),che le cavigliere che erano grosse come i nostri polsini. Girava quasi tutto l’anno con gli anfibi militari o con un paio di scarpe da ginnastica della superga verdi militari e aveva sempre i guantini a mezze dita. Non li toglieva manco in casa. Aveva una pelle sottile e delicata,a differenza della mia che era già piena di calli per guidare la bmx . Quando a scuola durante le ore di ginnastica che facevamo a due classi insieme perché la palestra era enorme nello spogliatoio avanzava un paio di scarpe o una maglietta si riconosceva che era la sua,non andavano a nessun altro di noi che non fosse stato una ragazza. Tuttavia non era un metallaro,ascoltava si il rock in genere e anche un po’ di musica elettronica,evitava però come la morte il liscio e le canzonette estive tanto famose. In camera sua c’era una autoradio con il trasformatore e una cammionata di cassette su un ripiano. Gli altoparlanti li aveva messi in alto,su due casse acustiche fatte di legno e metallo e sui coni degli altoparlanti aveva disegnato delle facce. Sorridenti,perché lui sorrideva poco e allora voleva che fossero almeno gli oggetti che aveva. In compenso non l’ho mai visto piangere. Sopra al termosifone c’era una giostrina che girava di continuo,era fatta pure lei di filo di ferro,saldato e aveva cavallini di plastica,forse di qualche gioco di soldatini appesi. Il segreto della rotazione continua era una ventola sopra che prendeva l’aria calda del termosifone e la usava per girare. Sul balcone aveva costruito un anemometro tagliando quattro palline da ping pong e con l’onnipresente filo di ferro li aveva montati sul perno di un motorino di un fohn,e andava seguendo il vento. Il tavolo era fatto con un bidone del petrolio che aveva uno sportello che si apriva e due ripiani dentro,mentre sopra c’era un ripiano di legno. Le sedie erano due sgabelli di ferro. Al pomeriggio quando si usciva in zona si girava per i prati e per i quartieri. Come giravamo tutti. Quando non si aveva nulla da fare si andava vicino alla ferrovia,quando le pannocchie erano alte quasi sparivamo dentro ai campi seminati. C’era una cosa che lo spaventava,i papaveri quando appaiono all’inizio dell’estate hanno dei frutti che generano i semi,fatti come un camino. Lui sosteneva che quei frutti erano il male e faceva molta attenzione a stargli distante. Ma tra le tante stranezze questa era la meno importante. Io difatti quando me ne indicava uno lo schiacciavo con il piede e poi continuavamo a giocare. Esploravamo le cantine e i palazzi delle case popolari allora in costruzione,giravamo in ogni dove. Penso che fosse quello a cui lui era più attaccato perché anche io non pensavo al calcio e alle figurine ma alla scienza. Un giorno ad Alessandro la mamma comprò una bicicletta,mi sembra che eravamo ancora alle elementari,forse in quinta . Era una atala hop,una bici da pseudo – fuoristrada di quelle con il sellone lungo,i freni a tamburo,gli ammortizzatori e il cambio simile a quello della macchina. Nera,con il sellino nero e lui la modificò quasi subito. Sotto la sella fece un portaoggetti. Spostò il faro sul manubrio e lo raddoppiò. Non guidava bene comunque,aveva un andatura dondolante,girava spesso all’ultimo minuto e un paio di volte lo avevo evitato in extremis con la mia bici,avevo una bmx. Le poche volte che mi aveva portato ho sempre guidato e pedalato io,non ce la faceva perché pesavo troppo e guidava molto male,non mi fidavo. Quello era il suo unico difetto,ed è stato quello che c’è l’ha portato via. Ho alcune foto di quando sono con lui sulla giostra degli aerei e le conserverò gelosamente. Come gelosamente conserverò le foto delle sue magliette,che erano di due tipi. O larghe e psichedeliche come quelle degli hippy o strette e aderenti con uno stile prossimo al bondage e postatomiche. Ne aveva alcune con parti riportate che oggi definiremmo "post atomiche" . E le aveva fatte lui. Sia la giacca che la cartella scolastica erano di sua produzione,la prima era fatta modificando un giubbotto in pelle,aggiungendoci parti in plastica. Aveva incorporato all'interno il walkman a cassette e i cavi,c'erano le cuffie nel colletto. La seconda era fatta a fisarmonica modificando uno zaino militare e quando i libri erano pochi la si comprimeva e si bloccava usando sempre gli elastici di camera d’aria. Alessandro non ha mai fumato,neanche una sigaretta di sfuggita,diceva che non era per lui,avrebbe annebbiato i suoi pensieri. Il 1985 correva tranquillo,le giornate si allungavano e stavamo per iniziare un'altra estate,ma purtroppo qualcosa ci mette sempre lo zampino… E successe quello che non doveva succedere. La bicicletta attraversa via Vandalino in senso netto,come una lama attraversa un pezzo di formaggio. Ma si sente una frenata,una simca sbanda poi un colpo secco. Alessandro vola sul cofano e con la testa spacca il vetro. Poi si gira e cade al suolo. A noi che eravamo nel giardino ci è gelato il sangue. Andiamo a vedere. Alessandro era per terra a fianco alla ruota davanti della simca,in una posizione troppo innaturale. Completamente immobile,dalla testa usciva sangue. Una delle ragazze si allontana e vomita. Una signora viene a vedere,poi grida ne arriva un'altra. Ho sentito la voce di Alessandro gridare,mi chiamava “Archimede aiuto, Massimo,Fabio,Stefano aiuto,dove siete?” . E qualcuno degli altri l’ha anche sentita. E Alessandro era fermo e non muoveva,non parlava,sanguinava soltanto. Io e Massimo ci allontaniamo per lasciare passare,arriva gente in lontananza un sibilo di sirena. Pochi minuti l’ambulanza è qui. Lo caricano,e ripartono adagio,troppo adagio… Massimo corse a casa,io rimasi lì come un ebete a guardare nel vuoto quello che succedeva dall’altro lato della strada. I carabinieri che controllavano e facevano i rilevi,il carro attrezzi che caricava la macchina. Pietro che nel frattempo era arrivato con la moto. Mentre Pietro parlava con un carabiniere sento Massimo che mi chiama,mi giro,è con suo padre seduto nella 128. Mi fa segno di salire,quando chiudo la porta dietro sento il motorino di avviamento e il motore che parte,ci avviamo verso casa. Mia nonna e mia madre erano in cortile,sapevano già tutto. Hanno cercato di consolarmi,dicendo che magari sarebbe tornato che magari si salvava. Ma quando avevo visto quell’anziano del bar coprirlo tutto con il lenzuolo e quando ho visto i portantini caricarlo come una bambola rotta sulla lettiga ho capito. Al funerale c’eravamo quasi tutti,anche qualcuno delle altre sezioni. E c’era anche la Prof di italiano e un manipolo di vecchietti. Alessandro riposa nel cimitero di Grugliasco,vicino a nonna Teresa e nonno Werner ,anzi si può dire che dalle lapidi “si vedono” e finchè credevo ancora in qualcosa di religioso sottovoce dicevo ai miei nonni di tenerlo d’occhio e di chiamarmi se usciva,lo sarei venuto a prendere col motorino ora che lo avevo. E che quella lapide con la scritta Alessandro XXXXXX 12/10/1970 27/4 /1985 si sarebbe spaccata in due e ce lo avrebbe restituito. E avrei schiodato il cassettone per farlo dormire da me. Bene o male era poi finito l’anno scolastico,la sua foto era appesa in classe vicino alla finestra,abbiamo voluto ricordalo così. La foto se l’è poi tenuta la professoressa di Matematica,la Gastaldi a fine anno. Dovrebbe essere ancora su qualche tavolino,visto che ora sarà una vecchietta che vive di ricordi. Aveva un debole per la sua intelligenza,benché perdesse la metà del tempo che perdevo io a studiare aveva i voti più alti della scuola. E anche per quello gli perdonavano il vestire stravagante. In uno scaffale a lato della classe c’erano alcune sue creazioni. Sua madre le aveva volute esporre in classe e ogni tanto nell’intervallo i ragazzi delle altre sezioni come me andavano a guardale. La giostrina sul termosifone che ha girato finchè hanno tenuto acceso il riscaldamento,il pendolo e altre cose che aveva costruito con quelle manine laboriose. Usando appunto filo di ferro,pezzi di plastica e di gomma. Perché per qualcuno lui era plastica e per qualcun altro gomma. Addio Alessandro,eri un secolo avanti a noi e lo abbiamo capito solo quando te ne sei andato. Devo confessare che per parecchi anni non abbiamo voluto accettare la sua dipartita,sia io che altri/e della scuola ogni tanto giravamo per il quartiere ma di ragazzini così magri su una atala hop nera non ne abbiamo più visti. Sembra quasi un po’ per esorcizzare l’accaduto che le bici di quel tipo in zona erano diventate tutte di altri colori. Ogni tanto passavamo sotto casa sua ma la finestra della sua stanza non si è più accesa,e non abbiamo più neanche visto sua madre in giro. Nessuno ne ha più parlato con Pietro,anche quando lo incontravamo in giro non parlavamo più di Alessandro,non so se abbiamo fatto bene. Giuliana,una ragazza oca della nostra età ogni tanto diceva che lo sentiva e che parlava con lui,era una fissata delle sedute spiritiche ma non ha mai dimostrato nulla. Adesso pensando al tutto e a cosa era capitato e perché,possibile che una bottarella contro una macchina ce lo avesse portato via in quel modo? E devo dire che spesso,magari quando alla sera camminavo in zona,anche quando poi ero diventato più grande ogni tanto mi giravo,guardavo,se magari dal buio di qualche viuzza da 4 soldi saltasse di nuovo fuori. Si trovasse la maniera di fare un fermo immagine,un decimo di secondo prima che la macchina lo colpisca,un copia incolla e farlo materializzare a fianco a me. Sul volkswagen,qui 27 anni dopo, ci sarebbe il problema che io avrei 27 anni di più e non potremmo andare più a giocare a nascondino tra le pannocchie . Ma io avrei 27 anni da raccontargli,27 anni che si è perso. E ora avrei potuto tenerlo con me,visto che in quella casa non abita più nessuno e che ora sarebbe solo. Lui che non meritava di finire così… Avrei potuto insegnargli ad andare sullo snowboard,portarlo a Gardaland e magari insegnargli a guidare decentemente. E magari avrei potuto essere io il padre che non aveva.
per una fuga di legno o pellet non si è mai preoccupato nessuno ,le fughe di metano sventrano le case e fanno stragi.
Sulle mie moto NON SI USANO abbigliamento dainese,caschi agv,catene regina,olio castrol, gomme pirelli e freni brembo.
Usate voi questa roba se volete spendere il triplo
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