Ancor prima della sua presentazione, alla
Yamaha MT-09 Tracer è stato affibbiato un compito pesante, da far tremare i polsi (anzi, il manubrio): la stampa specializzata, di comune accordo, l’ha investita unanimemente del ruolo di erede della TDM. Per quei pochi a cui questa sigla dice poco, basta dare un paio di dati: la
Yamaha TDM, prima 850 e poi 900, è stata la prima “
crossover” di successo, quando questo segmento ancora non esisteva e non veniva così identificato. Se si considera che la 850 fu presentata nel 1991 e la 900 nel 2001, uscendo dal listino giusto lo scorso anno, ci si rende conto che questa bicilindrica stradale con ruota anteriore 18, derivata dalla dakariana
Supertenerè 750, è stata di una delle moto più longeve della storia.
Quando la Tracer è stata svelata, quindi, l’attesa era tanta, ed apparentemente appagata. Eppure, nel bene e nel male, questa parentela, in realtà, è così forzata da apparire solo una inutile operazione nostalgia. Però, è innegabile che la “
mission” della nuova touring compatta della casa dei diapason è anche quella di entrare nel cuore dei “
tiddiemmisti”, oltre che acquistare quote di mercato nel vivace e variegato segmento delle crossover, che oramai comprende sia moto di impostazione fuoristradistica che stradale.
La Tracer ci suggerisce la sua indone proprio nella sua sigla completa, entrando nella numerosa ed amata famiglia delle MT. Deriva strettamente dalla
MT-09 naked, con la quale condivide meccanica e ciclistica, ma a ben vedere se ne differenzia in modo netto nell’equipaggiamento e nelle sovrastrutture, acquistando così, anche solo dal punto di vista estetico, una sua personalità autonoma. Nell’insieme, la Tracer appare compatta e funzionale, caratterizzata dall’originale design della corta carena, che copre la meccanica a “
sfoglie”, con i pannelli sospesi che si intersecano e si compenetrano. La funzione è quella di incanalare le correnti d’aria, ed al tempo stesso evitare che l’aria calda del motore infastidisca chi guida. Il cupolino, basso e rastremato, ha il doppio
faro a led, che richiama lo stile della R6 (che, in effetti, è stata anche la prima a sfoggiare le carene a strati), sormontato da un plexiglass ampio, regolabile in senso longitudinale. Il serbatoio, più largo nella parte frontale, ingloba le prese d’aria dell’aibox, mentre la sella, rispetto alla naked, è più bassa, larga e divisa in due parti, con la parte dedicata al passeggero molto ampia e ben sagomata. Il miglioramento sul piano del comfort, comunque, non va ad incidere sulle misure, che restano quelle della versione naked, e senza che la parte posteriore sia eccessivamente a sbalzo, visto che la porzione di sella del passeggero è perpendicolare al mozzo della ruota posteriore. A dimostrazione dell’
impostazione touring, ai lati della sella compaiono gli agganci standard per le borse laterali, e frontalmente si fanno ben notare i lunghi paramani, sottili ed aerodinamici.
All’interno della carena si erge la strumentazione,
full LCD, che per forma ricorda un tablet. Le informazioni sono chiare ed ordinate, e la posizione sollevata rispetto al manubrio lo rende di immediata consultazione. L’impressione di estrema leggerezza e semplicità, però, si scontra con l’impostazione “
old style” della zona cannotto, lasciata a vista insieme all’interno dei fari e dei cavi della strumentazione. Una piccola caduta di stile, in un quadro di eccellenza per quanto riguarda i bei blocchetti elettrici, il montaggio, i materiali, gli accoppiamenti e le verniciature, da autentica giapponese. Se di crossover si tratta, c’è comunque ben poco (per non dire nulla) di fuoristradistico e molto di futuribile, e di sicuro ci sono i presupposti per godere di un suo
utilizzo a 360°. Al centro dell’attenzione rimane quell’autentica meraviglia ingegneristica del
3 cilindri in linea crossplane di 849 cc, con gli iniettori collegati direttamente ai cilindri, sfalsati rispetto all’asse dell’albero motore.
La gestione elettronica garantita dal ride by wire e dall’iniezione
YCC-T è stata pesantemente ritoccata, rispetto alla naked, per ottimizzare l’erogazione a tutti i regimi. La cosa, però, l’ho potuta verificare solo provandola. Quando gli amici della Concessionaria
Yamaha RC Motors me l’hanno affidata, memore dell’esperienza con la MT-09 naked provata alla sua presentazione, avevo già tutti i sensi allertati, in previsione di dover affrontare il traffico del centro di Reggio Calabria in sella ad una assatanata “
street fighter” travestita. E se è vero che, proprio dalla RC Motors di Reggio Calabria cominciò l’incredibile avventura di
Gianclaudio Aiossa, che proprio con una MT-09 (in versione Street Rally) affrontò la
Transiberiana dei Record, da tranquillo “
motociclante medio” (e non da pilota ed atleta) ero pronto a farmi scorrazzare in un piacevole ma snervante rodeo.
Però, appena salito in sella, ho avuto la netta sensazione di salire su una moto completamente diversa. In particolare, la posizione di guida della Tracer risulta molto comoda e rilassante, pur mantenendo un assetto dinamico in sella. Merito dell’indovinata altezza del largo manubrio, che insieme ad una sella a prova di terga XXXL ed alle pedane piuttosto avanzate e basse, promettono un buon comfort di guida.
Ed è proprio dai primi metri, affrontati nel traffico, che ho avuto conferma del corposo lavoro di “
limatura” fatto dagli ingegneri Yamaha al loro guizzante “
mustang” a tre cilindri. Con la mappatura intermedia, l’erogazione è fluida e lineare anche nelle marce basse, ed la percezione di controllo è sempre garantita, perché il largo manubrio offre comunque un
feedback diretto di quanto avviene sotto la ruota anteriore (cosa che, invece, difettava un po’ nella citata TDM), senza quella particolare sensazione di guidare sulla ruota anteriore che, invece, caratterizza la versione naked, con il suo manubrio corto, basso ed avanzato. Si riesce, quindi, a svicolare bene tra le auto, aiutati dalla compattezza d’insieme, senza strappi o scossoni. Il tre cilindri risponde sempre a modo, fedele a quanto gli chiede la manopola del gas. Quindi, appena la strada si è aperta, ho potuto verificare che la vivacità non è venuta meno. L’ABS fa bene il suo lavoro, non facendo percepire la sua presenza anche quando un “
tocchettino” del suo intervento era probabile, ed il comando pronto e progressivo aiutano non poco ad evitare brutte figure.
In curva, la Tracer lascia trasparire una doppia personalità: ingressi fulminei o progressivi sono alla sua portata, per cui si può scegliere di aggredire la strada o di privilegiare la scorrevolezza semplicemente modificando il proprio assetto in sella. La larga gommatura rende progressiva la percorrenza nelle curve lunghe, senza che sia richiesto un gran lavoro di corpo sia in ingresso che in uscita. In entrambe le condizioni, l’avantreno risulta
ben piantato e le sospensioni copiano bene le sconnessioni, anche in piega. Non si avvertono contraccolpi destabilizzanti, ma si percepisce chiaramente che volendo forzare gli ingressi e le uscite bisogna anticipare i trasferimenti di carico, così come è d’uso con tutte le supermotard stradali. Preso un breve tratto d’autostrada, lascio cantare il motore, dalla splendida voce roca da “bluesman” giovane. La spinta è inebriante, ed il motore tira con forza verso la zona alta del contagiri, per cui si raggiunge la velocità codice in un soffio, senza che la percezione di controllo venga mai meno. A 130 km/h l’aria scivola sulle spalle, e solo il casco è parzialmente sollecitato, per cui lo sfizio di un bel viaggetto, anche in coppia, o l’uso da
commuter urbano/extraurbano non solo sono possibili, ma anche consigliabili.
Insomma, questa Yamaha MT-09 Tracer è davvero una moto
eclettica, in grado di soddisfare la maggior parte delle esigenze e degli “
sfizi” del motociclista medio. E se l’aspetto, la comodità ed il carattere sono rassicuranti, è sempre bene ricordare che sotto la “
vestaglia” c’è sempre una scatenata
fun bike. Il che non è male…
"Io cerco le curve anche nei rettilinei" Tonino Guerra