Iscritto: 02/07/2004 Locazione: Provincia di Ancona
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Marco Lucchinelli - wwwrrrroaaaam - che fascino il rumore dei motori in pista .
«È la vita dell’Autodromo e - wwwrrrroaaaam - questo, l’Adria International Raceway, è uno dei più belli. C’è tutto, anche il teatro. Ora andiamo in ufficio».
Qui ci lavora? «Gestisco la scuola guida da tre anni. Presto diventerò responsabile dell’intera struttura, direttore generale. Voglio far partire un progetto controcorrente, alla Lucchinelli, creare una monomarca che costi poco e permetta di correre ai ragazzi talentuosi ma poveri. Io sono un po’ una testa di [beep], ma i giovani mi piacciono. Non per niente sono diventato papà».
Quanti figli ha? «Due con la prima famiglia: Cristiano che ha 32 anni e Rebecca di 27. Uno dalla seconda famiglia, Matteo, che ha 2 anni».
Torniamo alla scuola. Che insegna? «Le regole, la teoria e poi la pratica. Siamo quattro istruttori e c’è anche Manuel Poggiali. Non lo scriva, ma lo sto convincendo a tornare a correre con la Superbike».
Quanto costa una lezione? «Se hai la moto, con 250 euro fai una giornata».
Scene alla Fantozzi? «Arriva un tizio con una moto da 28 mila euro, immagino sia esperto. Sul circuito, però, non supera i 135 km l’ora. Gli chiedo perché tanta prudenza, mi guarda stupito e, indicando i cartelli che segnalano quando mancano 150, 100 e 50 metri alla curva, dice: “Beh, stavo attento ai limiti di velocità!».
E Lucchinelli in pista ci va? «Guardi là, vede quelle strisciate sull’asfalto? Roba mia. Mi alleno a far sgommare la ruota anteriore, me l’ha insegnato un mese fa Bayliss e siamo gli unici al mondo a farlo. Le cose strane le imparo subito, come la frenata di traverso alla Valentino».
A proposito, ha mai provato una Motogp? «A me piacciono le cose che fanno paura e le moto attuali non mi fanno paura, sono gestite dall’elettronica. Io la chiamo elettronica anti-scemo».
Cioè? «D’accordo la sicurezza, ma i piloti sono troppo fighetti. Ormai si rischia più per strada che in pista, pensi che le Motogp non impennano al cambio di marcia! E quanti drammi se la ruota dietro scivola un po’. Sa che diceva ai miei tempi il meccanico se mi lamentavo per la tenuta?».
Cosa? «“La moto è come una donna: per essere contenta e andar forte deve bere, fumare e muovere il[beep]”».
Buona questa. Voi rischiavate di più? «Noi dovevamo guidare le moto, oggi le moto guidano te. Molti di noi sono morti. Dopo il traguardo di ogni gara ci dicevamo: “[beep], sono ancora vivo!”. E per festeggiare si andava a sbronzarci». Parliamo dei piloti di adesso. «Io sarei come Biaggi, stile di guida pulito. Ma piu simpatico. Vale non va perché la moto non è all’altezza».
Il più brillante? «Rossi che conosco da quando era alto così. Io e Graziano, suo padre, correvamo insieme e andavamo in montagna. Vale aveva 10 anni e lo chiamavamo Virus. Mi seguiva ovunque: “Perché questo?”, “Perché quello?”. E io: “Perché non vai un po’ dal tuo babbo che hai rotto i maroni?”». Lucchinelli, facciamo marcia indietro. Torniamo a quando era lei il bambino. «Nasco a Bolano, provincia di La Spezia, il 26 giugno 1954. Mamma Teresa è casalinga, papà Giglio ha un’impresa edile. I libri non mi piacciono e per punizione mi mandano ad aiutare mio padre con le ruspe. E mi appassiono ai motori».
Primo motorino? «Un “Morini” preso dal demolitore e nascosto in un cespuglio giù al fiume. A 16 anni vorrei andare a correre, ma ci vuole la firma dei genitori. Che dicono no. Allora parto».
Dove va? «Mi imbarco su una nave passeggeri, destinazione Caraibi. Faccio il cameriere, ma dopo 6 mesi...».
Che combina? «Si salpa da Lisbona e manco all’appello: sono in albergo a trombare una portoghese. Mi vengono a prendere e salgo sulla nave solo grazie alla pilotina, il motoscafo del pilota». Torna a casa e riparte: Rouen, Francia. «Mio cugino dice che c’è una comune. E si tromba».
Lo segue fin là? «Per la[beep]ho fatto più km che per le gare, ne ero e ne sono ghiotto».
Torniamo a Rouen. Come va a gnocche? «Sono gli anni delle femministe, tutto un caos. E mamma viene a riprendermi». A casa ci resterà poco. «Faccio la patente e divento autista di Marcella Bella. Sei mesi in tournée con sottofondo “Montagne verdi”».
E le moto? «A 20 anni i miei, finalmente, firmano l’autorizzazione per gareggiare: in pista, almeno, ho casco e tuta e rischio meno che in strada».
Prima gara? «Nel ’74, arrivo ultimo, ma si accorgono che sono bravo. Poi, però, parto per il militare. E faccio l’asino».
In che senso? «Piscio a letto ogni notte, apposta, per farmi congedare. E vengo riformato».
E può correre in moto. “24 Ore” del Montjuich, di Francorchamps, di Le Mans e la 1000 km del Mugello. Nel ’76 il primo Motomondiale con la Suzuki. «All’esordio a Le Mans per tre turni su quattro faccio la pole. Poi Barry Sheene, campione in carica, si riprende il miglior tempo e chiede di conoscermi. “Bravo. Hai la faccia da zingaro, da chi entra senza pagare il biglietto”. Capito? Nessuna paura della rivalità. Uno con le palle».
Lei va già fortissimo. «Così forte che in gara Gallina fissa due alettoni sulla pancia della carenatura: al dosso che chiude il curvone sotto il ponte Dunlop, in quinta piena, rischio il decollo ogni giro. Potrei vincere il Mondiale, ma mi frega il Gp del Mugello: mi si blocca il motore a 270 all’ora, cado e mi rompo».
Però ormai è conosciuto. Per la bravura in pista e per la follia fuori. Diventa Cavallo pazzo e, per gli inglesi, Lucky Lucchinelli. «Orecchino, capelli lunghi. Quando corro, in gara, ho sempre camicia e cravatta sotto la tuta. E nel casco faccio un buco per poter fumare prima del via. Ma sono anche matto. La Marlboro mi offre 100 milioni in nero per mettere la marca sulla schiena, ma rifiuto per non dover togliere la mia stella portafortuna. E addio soldi».
Già, dove nasce la fissazione per la stella? «Nel ’78 sto andando a La Spezia, alzo lo sguardo e vedo tre stelle cadenti. Tre desideri: che l’operazione al cuore a mio padre vada bene, che mio figlio nasca sano e che prima o poi riesca a vincere un Motomondiale. Tutti realizzati».
Parliamo di avversari. Barry Sheene. «Imola ’81, stagione in cui vinco il Mondiale. Prima della gara Barry mi suggerisce di cambiare le gomme. Mancano pochi minuti all’inizio, torno ai box per montare gli pneumatici slick e lui fa di tutto per ritardare il via: mette la Yamaha di traverso sulla linea di partenza, poi fa portare la moto ai box fingendo di avere problemi. E io ce la faccio».
Risultato? «Dopo pochi giri sono in testa, mi supera e, come faceva spesso per irridere gli avversari, mi mostra il dito medio. Dopo qualche tornata lo sorpasso e gli faccio lo stesso gesto. E ce la ridiamo. Vinco, lui è secondo e ci abbracciamo».
Giancarlo Falappa. «Un giorno sono in autostrada a 140 km all’ora e mi sento aprire la portiera del passeggero. È un pazzo in moto che saluta e se ne va impennando: Falappa».
Virginio Ferrari. «Finita la gara mi osserva, ride: “Hai pochissimi moscerini sulla visiera”. Gli indico il suo casco: “Sì, meno dei tuoi. Ma i tuoi sono ancora vivi”».
Da applausi, clap clap. Graziano Rossi. «Personaggio incredibile, da giovane andava in giro per il corso di Pesaro con la gallina al guinzaglio».
Giacomo Agostini. «L’ho rivalutato dopo essermi ritirato. E ho capito molte cose belle di lui».
Nel 1981 Lucchinelli vince il Mondiale 500 dominandolo: 5 vittorie e 105 punti. Diventa un mito, va pure a Sanremo e canta “Stella fortuna”. Chissà quante donne... «Quelle ci sono sempre state fin dall’inizio. Prima mia gara vera nel ‘75, la “24 Ore” del Montijuich: ho 21 anni e il mio compagno francese si è portato la fidanzata, una gnocca di 39 anni. In prova cado e così, mentre lui corre, lei si prende cura di me...».
Quante amanti ha avuto? «Più di tanto non ho potuto fare: dal ’78 tenevo famiglia. Ma in segreto...».
Andava a letto con le tifose? «Con le donne dei piloti! Loro uscivano a cercar[beep]e io mi facevo le fidanzate: li battevo in pista e li facevo cornuti fuori».
La volta più hard? «Daytona ’86, dopo la gara porto a letto una tipa. È sopra, le tocco le tette e le sento strane. Panico. “Oddio, un travone!”».
Invece? «Erano i primi seni rifatti, in Italia non esistevano! I miei erano altri tempi, sa?».
Cosa intende? «A 21 anni non sapevi se tirata giù la gonna trovavi il buco o no. C’era la pelona, ti pigliava paura, sembrava la testa di Bob Marley e spingevi pensando che quello fosse il bersaglio. Oggi tiri giù la cerniera e c’è la riga depilata che ti indica: vai lì».
Meraviglioso. E i piloti di oggi cuccano? «Non so. Melandri, però, la prima volta l’ho fatto trombare io. Nel 2000 l’ho portato con mio figlio in Svizzera e, senza dire che era una specie di bordello, li ho fatti abbordare».
Mettiamo in folle e torniamo alle gare. Dopo la vittoria del Mondiale lei sceglie la Honda, lotta con Uncini per difendere il titolo, ma il 2 maggio ’82, a Salzburgring, cade a 220 all’ora. Perde e non è più lo stesso. «Non è vero che sono cambiato per l’incidente. Il titolo è andato a Uncini ed è finita una magia».
In carriera si è rotto molto? «Otto clavicole, due scafoidi, cinque costole».
Un infortunio strano? «Trauma al petto, ho un pneumotorace. Mi fanno un foro nel polmone e viene inserito un tubo trasparente per il drenaggio, che finisce in una sacca nella tasca della giacca. Di nascosto accendo una sigaretta, ma arriva il medico. Faccio un tiro e la butto per non farmi vedere. Il fumo però va nel polmone, esce dal tubo e finisce nella tasca della giacca. Che inizia a fumare come se bruciasse!! Beccato».
Marco, andiamo avanti. A un certo punto, dopo aver vinto anche come manager, il boom si trasforma in boomerang. Nel ’91 viene arrestato per possesso di cocaina e condannato a 5 anni e 4 mesi. «Non mi vergogno a parlarne. Non stavo facendo male a nessuno, era roba per me. C’è chi ha buttato via i soldi in investimenti sbagliati, io me li sono pippati. Best diceva: “Ho speso gran parte dei soldi in donne, alcol e auto. Il resto li ho sperperati”. Ecco, mi sento il Best del motociclismo».
Ricorda la prima riga? «Nel ’77, tornando da Misano. Un amico ha un sacchetto. “Cosa è?”. “Roba buona”. “Fammela provare”. La usavo per me, non per correre. Smettevo due o tre giorni prima delle gare per l’antidoping». Marco, ultime domande veloci.
1) Miglior pilota di sempre? «Barry Sheene».
2) Paura della morte? «No. Però se morissi ora mi girerebbero le balle, perché non ho ancora lasciato a mio figlio la lista delle persone da mandare a [beep] al mio funerale».
3) Ha guadagnato molto? «Solo il contratto con la Honda era di 1 milione e 300 mila dollari. Spesi quasi tutti».
4) Una [beep] che non rifarebbe? «Non smetterei così presto».
5) Una [beep] che rifarebbe? «Le rifarei tutte. C’è chi dice che ho buttato via dei Mondiali: chissenefrega. Il segreto è vincerne 1 oppure 16, cioè uno in più di Agostini. La via di mezzo non conta».
Tutti noi sappiamo che tra la moto che usiamo sulla strada e quella dei piloti in pista c’è una bella differenza di prestazioni e di guida, però i gesti che facciamo sono quelli e crediamo di provare più o meno la stessa inebriante sensazione di leggerezza, di assenza di peso, quasi di volare. E in fondo al cuore molti di noi sono abbastanza sicuri che su quella moto, naturalmente dopo il necessario tirocinio, riusciremmo a cavarcela. E soprattutto sappiamo che Simoncelli e Dovizioso, Rossi e Capirossi, alla guida della nostra moto farebbero dei numeri pazzeschi. Noi e loro siamo molto simili, parliamo lo stesso linguaggio. E tutti amiamo la moto. - Nico Cereghini
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