Iscritto: 13/06/2008 Locazione: RC
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Il mondiale MotoGP 2011 cominciò e finì il giorno 9 novembre 2010. Mai come in quell'occasione il valore delle forze in campo fu così chiaro, lampante. Stoner (10 e Lode) salì per la prima volta sulla sua nuova cavalcatura e ne discese vincitore 11 mesi dopo. Sempre primo. Sempre più forte ed autorevole. Dietro di lui, le altre Honda ufficiali (9) volavano, ma senza mai impensierire il nuovo imperatore dell'ala dorata. E sempre vicino, sempre pronto al guizzo o all'errore dell'avversario, il campione del mondo. La stagione di Lorenzo (9) è stata un inseguimento impossibile, con una moto efficace ma meno competitiva. Del resto, se non fosse stato per Stoner, il risultato finale l'avrebbe visto, con alta probabilità, vincitore. Ma Stoner c'è stato, e si è preso tutto quanto meritava, acquistando anche quella sicurezza che lo ha protetto dalla sua vecchia propensione all'errore. Lo stesso Lorenzo è stato ancor più forte dell'anno prima, capace di approfittare delle poche occasioni in cui, per l'australiano, il rischio non valeva la candela. La Yamaha (7), comunque, è parsa più protesa mentalmente al 2012, e la nuova M1 è stata messa in cantina dopo poche gare, per rispolverare la moto vincente dell'anno prima. Un brutto segnale. Ben altro, invece, ci si attendeva dal pupillo della Repsol. Pedrosa (6 ½) aveva le carte giuste, ma anche questa volta è parso nettamente inferiore a colui che, fin da quel fatidico test, sarebbe stato il caposquadra. Certo, è stato spesso veloce, ma non quanto Stoner; ha vinto, ma troppo poco; ha guidato bene, anzi benissimo, ma Stoner e Lorenzo sono sempre stati più efficaci; ha pagato caro, con tre gare viste da spettatore, una caduta incolpevole ma che poteva evitare; ma anche questa, purtroppo, è una costante della sua carriera. Sicchè, per l'ennesimo anno, vediamo questo ottimo pilota al di sotto delle aspettative di chi lo segue. Ma la Moto GP può e deve essere un posto dove corrono ottimi piloti e non necessariamente grandi campioni. Ottimi piloti come Dovizioso (7 ½), che con una stagione concreta, pur senza il sigillo della vittoria, ha, comunque, ottenuto il massimo risultato finale possibile, peraltro ben davanti al suo coccolatissimo compagno spagnolo. Anche Spies (7) non ha deluso. In alcune gare è stato con i primi, in altre ha sofferto il maggior livello del suo compagno di squadra, dal quale, almeno, non l'ha diviso un abisso. Può crescere, se la Yamaha continuerà a credere in lui. La Suzuki (6) , invece, ha condotto un mondiale in crescendo, migliorando le prestazioni gara dopo gara. Bautista (7) ha guidato bene, seppur con qualche errore di troppo. Evidentemente, l'aria di smobilitazione aveva messo il pepe al popò del team. Purtroppo è stato tutto inutile: la Suzuki dice addio al motomondiale. In verità non se ne può dare una gran colpa alla casa di Hamamatzu. Gli sforzi, a volte disordinati ma spesso molto generosi, ci sono sempre stati, ma il team inglese a cui avevano affidato il programma sportivo non è mai parso in grado di dare una direzione giusta. Avrebbero dovuto tirar fuori gli attributi prima, senza buttar via intere stagioni nel limbo della “zona privati”. Una zona che non ha visto grandi rivoluzioni o guizzi indimenticabili. Le prestazioni delle moto a fine carriera ed il livello di piloti non ancora o non più da “olimpo” ha visto trenini, spesso divertenti, ma troppo lontani dalla vetta. Crutchlow (6 ½) ha fatto vedere più cadute che guizzi, mentre Edwards (6 -) ha passeggiato sul mondiale con la sua M1 Tech 3 (6 ½). Le Honda clienti (4 ½) hanno fatto la figura di moto di livello inferiore. Sono lontani i tempi in cui con queste moto si poteva lottare per il podio; in virtù di ciò, il prezzo salatissimo del leasing richiesto da Tokio non era assolutamente giustificato. Difficile, quindi, valutare le prestazioni di Aoyama (6), ma ancor di più quelle, incredibilmente scarse, di Elias (3). Lo spagnolo, che con la sua guida “tutto fuori” riuscì a vincere persino una gara di Moto GP ed a far suo, autorevolmente, il campionato Moto 2, è stato quasi sempre il fanalino di coda, senza mai riuscire ad interpretare la guida della sua Honda ed, in particolare, delle gomme Bridgestone (4). E proprio le caratteristiche delle gomme giapponesi sono state la ragione principale della clamorosa debacle dell'armata di Borgo Panigale. La Ducati (4 ½) partiva con l'ambizione di tornare in vetta, ma proprio da quel 9 novembre 2010 ha dovuto rivedere dalle radici una moto inadatta agli obiettivi. Rossi (2) ha vissuto un incubo lungo 12 mesi. Indubbiamente il punto più basso della sua lunga e vincente carriera. Sempre in difficoltà; sempre incapace di reagire. E se, tra tutti i piloti Ducati, è stato l'unico a trovare, qualche volta, il guizzo per qualche rara prestazione decente, è pur vero che tutto il team, tutta la Ducati Corse, persino tutta la fabbrica di Borgo Panigale, si sono prodigati nel produrgli una serie infinita di aggiornamenti e variazioni per cercare di andare incontro alle sue esigenze. Uno sforzo che, alla luce dei risultati, è stato non solo vano, ma anche controproducente. Infatti, questo non ha mai permesso al campione di Tavullia di trovare un adattamento alle caratteristiche della moto, per inseguire un inutile compromesso che avvicinasse la Desmosedici al suo stile di guida. Vedremo se questo lavoro avrà, quantomeno, riscontro nella costruzione della moto per il 2012. I primi segnali, purtroppo, sono stati poco incoraggianti. Se Rossi ha sofferto, anche gli altri piloti Ducati, ufficiali e privati, hanno navigato in acque tempestose per tutta la stagione. Hayden (4 ½) avrebbe potuto beneficare di una conoscenza ed una affinità maggiore con la sgorbutica Desmosedici, ma in realtà è stato il maggiore alibi per le scarse prestazioni del suo blasonato compagno di box, visto che neanche lui è riuscito a cavarne un ragno dal buco. Ci si attendeva molto da De Puniet (5), protagonista di un ottimo 2010, ma neanche lui è riuscito ad incidere; così come Barbera (5 ½), che ha comunque fatto meglio dello scorso anno, ma pur sempre froppo affezionato alla sabbia delle vie di fuga. Sicchè bisogna dar merito ad un discusso debuttante come Abraham (6) d'esser riuscito, con una Ducati privatissima, a fare gare dignitose e clamorose puntate nelle zone di classifica ad una cifra. Cosa che, per un pilota con una moto ed una squadra comprati dal ricco papà, era tutt'altro che scontata. E con la peggior Ducati di sempre si chiude, amaramente, la carriera di Capirossi (3). Il longevo e coriaceo eroe di mille battaglie in tutte le classi del motomondiale sognava di chiudere con almeno un podio da festeggiare, ma ha dovuto subire la clamorosa figura del mototurista trovatosi, per caso, catapultato nell'agone di una gara. Su tutte queste storie, ha volato la cometa di Simoncelli (58). Proprio lui, quel 9 novembre 2010, fu la vera sorpresa. I suoi tempi erano molto vicini a quelli di Stoner e molto più veloce degli altri compagni della Honda Repsol; cosa che si ripetè più volte durante la stagione. Supportato dal Team Gresini (7 ½) con una RCV ufficiale, creò più volte scompiglio nel trenino dei piloti di testa. Con le buone e con le cattive ha animato tutte le gare del mondiale, con duelli e sorpassi che, senza di lui, sarebbero stati rari come ruscelli nel deserto. Il suo talento acerbo e la sua guida istintiva andava, corsa dopo corsa, affinandosi, portandolo verso una competitività di livello assoluto, così come aveva previsto il gran capo dell'HRC Nakamoto. Ma fu un percorso pieno di cadute. Troppe. E l'ultima, forse la più banale, ce lo ha portato via.
"Io cerco le curve anche nei rettilinei" Tonino Guerra
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Iscritto: 13/06/2008 Locazione: RC
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La Moto GP del 2012 sarà tanto diversa o tanto uguale a quella passata? I tempi dei test di Valencia non regalano sogni di rivoluzione, anche se si è vista una Yamaha più vicina alle Honda, considerando che il miglior pilota della casa dei diapason era spettatore a bordo pista e che Spies è arrivato a mezzo secondo dal miglior tempo di Pedrosa. La speranza Ducati ha corso solo sul foglio da disegno di Preziosi, quindi ci sono ancora pochi indizi per dare un responso. Comunque, è lecito immaginare che Stoner e Pedrosa saranno, quantomeno nella prima parte di campionato, i primi della classe. Ma la novità più importante sarà l'arrivo delle nuove moto e dei nuovi team CRT. Il debutto è stato poco incoraggiante, con tempi paragonabili a quelli fatti segnare dalle Moto 2. Eppure, la nuova categoria potrebbe diventare qualcosa di importante, per il futuro dello sport motociclistico. La mia opinione non si fonda solo sulla valutazione del modo in cui, ad oggi, le nuove squadre hanno deciso di affrontare la sfida, ma anche su quello che potrebbe essere il futuro. La regola, infatti, è stata letta in maniera polemicamente (ed anche realisticamente) univoca: telaio libero e motori di serie. In realtà, l'apertura ai motori di serie è principalmente una non esclusione, ovvero un punto di partenza. Se analizziamo la situazione, infatti, vediamo che la case ufficiali, rimaste tre dopo la resa della Suzuki, partiranno con nuove moto ed affideranno gli stessi “prototipi base” ai team satelliti (è immaginabile che Honda faccia versioni differenti). A parte l'impegno profuso dalle case per i team ufficiali, i team satellite saranno, come solito, semplicemente “badanti” di questi congegni, non potendo intervenire se non per le operazioni ordinarie di messa in pista e sulla gestione degli assetti, pur considerando che quelli base ed i software operativi sono affidati a “scatola chiusa”. Inoltre, queste moto saranno in leasing, a prezzi da capogiro. Questa è la situazione; una “dittatura delle Case” in cui versa il motomondiale dall'avvento dei quattro tempi. In questo stato di fatto, è difficile che riescano a crescere professionalità ed esperienze al di fuori da quelle espresse all'interno dei reparti corse ufficiali. Le CRT che debutteranno a Losail l'8 aprile saranno, presumibilmente, “ibridi”. Telai, elettronica e motori delle versioni superbike vendute “a pacchetto” da BMW, Aprilia e Kawasaki. Saranno riviste e corrette, con fantasiose carenature e colorazioni pluricromatiche (tanti piccoli sponsor si convincono più facilmente), ma per il momento non ci si attendono voli pindarici. I piloti sono quelli rimasti fuori dai giochi più importanti e qualche buon “operaio del manubrio”, pronti a contendersi la parte finale della griglia con l'obiettivo, ambizioso, di non essere doppiati dagli ufficiali. Però, questi team saranno proprietari delle loro moto. Le potranno montare, smontare, rivedere in corso d'opera. Potranno decidere di cambiare motorizzazione, o di affidare la preparazione a qualche “mago” rinchiuso in una lampada dai tempi del motociclismo romantico. I tempi in cui riuscivano a tirar fuori delle Matchless, delle Boneville e delle BSA anche il triplo dei cavalli delle versioni di serie. Del resto, BMW e Kawasaki hanno i loro quattro il linea al limite del'alesaggio previsto dal regolamento. E' un buon punto di partenza, a prescindere dalle versioni SBK in dotazione, che hanno dei limiti e delle restrizioni regolamentari molto più limitanti rispetto a quanto è prescritto nel regolamento stilato dalla DORNA. Ed a pensarci bene, anche il quattro il linea della MV Agusta è al limite degli 80 mm di alesaggio...
"Io cerco le curve anche nei rettilinei" Tonino Guerra
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Iscritto: 13/06/2008 Locazione: RC
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La storia del campionato mondiale Superbike è la storia di un assassinio perfetto. Come nei migliori gialli, il killer è il protagonista insospettabile; quello che, nell'incipit, risulta fuori dagli eventi. La Ducati lascia il campionato da ufficiale e vende le moto evoluzione 2011 ad un team privato. Il pilota è un eterno outsider. Un onesto figurante di tante opere in cui l'occhio di bue era su altri protagonisti, trovando nella loro ombra un habitat conforme alla sua personalità, poco incline ai clamori della passerella. Invece, la bacchetta magica ha toccato Checa ed il team Althea, confermando la tesi che il motociclismo è un sport. E come in tutti gli sport, i risultati non sono costruiti a tavolino, non si assemblano con bonifici bancari e curriculum vincenti; è sempre decisiva l'amalgama di ingredienti di buona qualità, anche quando paiono, da soli, inadatti a creare le ricette vincenti. Sicchè, la 1198 fine serie, l'entusiasmo e la competenza del team di Bevilacqua, la voglia di riscatto dei tecnici Ducati forniti a supporto dalla casa ed un pilota che, ad un passo dal ritiro, ha trovato lo stato di grazia, hanno creato i presupposti per un dominio tanto inatteso quanto incontrastato, fin dalla prima gara. Complice fu anche una fornitura di gomme che esaltò le caratteristiche della moto italiana, ma il fatto, polemicamente espresso quando la situazione parve disperata per gli avversari, in realtà era chiara fin dalle prove pre campionato, sicchè risulta chiaro che si sia trattato, tutt'al più, di un evidente demerito dei più grandi ed attrezzati team ufficiali. La trama si è dipanata come nel meraviglioso film di Bryan Singer, I Soliti Sospetti, in cui nella parte di Kaiser Soze-Kevin Spacey recitava Carlos Checa. I criminali più accreditati erano il più titolato della compagnia e killer del campionato precedente, Biaggi; il talentuoso ed accreditato campione traslocato dalla Moto GP, Melandri; la “follia omicida” del cavaliere dell'Honda, Rea; la corazzata ricca ed ipertecnologica condotta dal formidabile inglese tutto genio e sregolatezza, Haslam. Eppure, fin dai primi metri, è apparso chiaro che le regole più restrittive introdotte per il 2011 hanno tarpato di non poco le ali dei grandi team che schieravano le quattro cilindri più potenti. Un gap palesatosi nel corso del campionato, e che ha costretto tecnici e progettisti a notti insonni per recuperare il tempo perso. In realtà, Aprilia, Yamaha, Honda e BMW hanno sbagliato ognuno qualcosa, nel programmare la stagione, e si sono resi conto del danno quando i buoi, anzi il toro, aveva già preso il largo. Solo nella seconda parte si sono visti miglioramenti significativi per Aprilia (anzi, per Biaggi) e Yamaha. Per quest'ultima il merito maggiore va alla tenacia di una squadra che è riuscita a capovolgere un problema di adattamento di Melandri su una moto difficile da mettere a punto, ragion per cui è doppiamente triste che la casa dei diapason abbia deciso di non schierare le R1 per la stagione 2012, nonostante le ottime proposte (prima fra tutte, quelle del team italiano ParkinGO) di rilevare il materiale per continuare il programma sportivo. In Aprilia hanno pesato, invece, gli errori e le prestazioni altalenanti del campione del mondo. E se è parso evidente che il Biaggi del 2011 era la controfigura di quello vincente del 2010, va anche evidenziato che nessun altro pilota alla guida della RSV4 si è mai lontanamente avvicinato alle sue prestazioni. Neanche Haga, a parte qualche sprazzo e qualche lampo. Il giapponese è apparso in disarmo, come se non si fosse mai ripreso dalla scoppola inflittagli da Ben Spies nella sua occasione più propizia di vincere il mondiale con la Ducati ufficiale. Però dispiace sapere che non lo vedremo in griglia il prossimo anno, a meno di clamorose novità (io sogno che in Yamaha ci ripensino, e gli affidino una delle R1 destinate al museo). Le CBR hanno seguito le sorti del pilota di punta, che non riesce a contenere la sua rabbia agonistica. Nonostante sia veloce e grintoso, Rea continua a comportarsi da debuttante allo sbaraglio. In questi casi è molto facile cadere e farsi male, e la sua stagione è stata, infatti, rovinata da errori ed infortuni. Il finale ha regalato, comunque, qualche momento di sollievo, complice l'introduzione della regola che permette l'uso del ride by wire anche sulle moto che non lo prevedono di serie; cosa che ha donato nuova linfa alle prestazioni della equilibratissima Honda. La ricetta tedesca è stata, invece, indigesta, e la BMW è riuscita a fare persino un passo indietro rispetto allo scorso anno. Anzi, si è visto molto spesso la moto satellite, schierata da BMW Italia, a fargli da battistrada. Haslam è apparso l'ombra del pilota del 2010, capace di far vedere i sorci verdi a Biaggi ed all'Aprilia nella prima parte di campionato, con una Suzuki ormai in disarmo. E la stessa, identica, moto ha svolto il ruolo imbarazzante di comprimario, lasciando i propositi di riscatto di Fabrizio chiusi nel cassettino dei desideri. Un colpo di grazia per le ambizioni di Batta e del team Alstare, che hanno fatto molto di più di quanto permettessero i mezzi forniti dalla Suzuki. Nella stessa zona di classifica hanno veleggiato le Kawasaki, ma con una moto, presentata ad inizio anno, che si è evoluta di gara in gara. E' stata, quindi, una buona annata per la casa di Akashi, con una bella vittoria in Germania; e proprio da questa stagione in crescendo le ambizioni di Sykes e soci paiono reali. Gli ottimi tempi degli ultimi test confermano la bontà del progetto, insieme al grande aiuto che il ride by wire “clandestino” riesce a fornire. Il nuovo team, che sostituisce il gruppo autore del grave danno d'immagine causato dal trasporto di droga con il materiale della squadra, sembra partire con il piede giusto, anche se manca il “gran nome” tra i piloti. Anche la Honda ha fatto un gran passo avanti, ed è tutta da scoprire l'efficacia delle poche modifiche effettuate sulla CBR 2012. In questo caso, il miglior acquisto sarebbe un Rea più giudizioso. Un'altra incognita è posta dal nuovo corso Suzuki, che con il team Crescent schiererà un Camier in cerca di riscatto ed uno dei piloti più folli (in pista e fuori) del motociclismo moderno: Hopkins. La BMW ha compiuto una profonda rivoluzione, tornando sui suoi passi rispetto alle scelte dello scorso anno. L'arrivo di Melandri al fianco di Haslam ne fanno una squadra davvero temibile. La nuova S1000 R avrà il supporto degli ottimi tecnici transfughi della Yamaha, tornando alla “scelta italiana”che, in realtà, stava portando buoni risultati due anni fa. Eppure, non è escluso che la grande esperienza del team BMW Italia, rinforzato dall'arrivo di Fabrizio, riesca ancora a dare qualche grattacapo alla casa madre. Anche l'Aprilia ha rinforzato il livello dei piloti, prendendo in casa Laverty. L'inglese ha stupito fin dai primi metri, e difficilmente resterà sempre ad ammirare le gesta del blasonato compagno di squadra. Spero che questo sia un pungolo per il romano, dandogli quella motivazione e quella fame che, forse, è mancata lo scorso anno. Sarà, comunque, Biaggi il pilota di riferimento, con buona pace del campione del mondo Checa. La scelta di confermare la 1198, pur con una nuovissima Panigale ferma al reparto corse, mi pare azzardata. E' vero che il livello di competitività della 1198, nella passata stagione, è stato tale da permettergli un dominio assoluto, ma è pur vero che le variabili in gioco sono tante, prima fra tutte le nuove Pirelli. Considerando che in Aprilia non sono sicuramente rimasti a rigirarsi i pollici, credo che la situazione sarà, quantomeno, più equilibrata. In ogni caso, è facile prevedere che questo bellissimo campionato riuscirà ad essere ancora avvincente e combattuto, con duelli e sorpassi tra protagonisti e comprimari. Speriamo solo che le nuove leve (specie quelle italiane) riescano a “svecchiare” anche la zona del podio.
"Io cerco le curve anche nei rettilinei" Tonino Guerra
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