SECONDA PARTE: LA COMICA FINALE
Dopo il caffé postprandiale si riparte. Massimo decide che per oggi abbiamo fatto abbastanza: la strada che ci attende è ignota, l'ora del tramonto e la distanza da casa sono invece sicure; è meglio prendersela con comodo. Quando si dice l'esperienza...
Bene, imbocchiamo la SS1bis dirigendoci verso il mare; poco prima di Tarquinia, in corrispondenza di una curva a destra, sulla sinistra prendiamo una deviazione che rapidamente ci porta a scendere su una carrabile che va per campi.
I colori sono stupendi, la carrabile si prospetta dapprima ampia, regolare e discretamente compatta, perciò procediamo con serenità. Dopo un primo rettilineo, comincia la discesa.
Proseguendo nella discesa, però, il fondo argilloso si fa sempre più infido e liquido.
Quando cessa il vantaggio gravitazionale, nei tratti in piano o modesta discesa, quelli con le moto più pesanti e peggio gommate si accorgono di avere crescenti problemi di trazione, e tendenza all'impantanamento.
Da quel momento in poi, siccome i problemi sono aumentati, comincio ad aumentare il numero di errori. Peraltro ogni volta che faccio un cambiamento circa il dove posizionare le ruote, peggioro la situazione precedente. Quindi comincio a incavolarmi e dare sempre più gas, ovviamente nel nulla assoluto, giusto per consumare olio e benzina rimanendo sul posto.
Nello scendere, mi impantano un certo numero di volte, e ne esco con la spinta di qualcuno o con una insistenza da somaro. Mi ingegno i cercare qualche striscia che spero sia più compatta; ad un certo punto mi fermo a scattare qualche foto:
Questa rende l'idea, anche se solo parzialmente
Sono giunto così al mio personale "capolinea". Una decina di metri dopo, la mia ruota anteriore verrà completamente bloccata da un grumo argilloso formatosi tra il parafango, il passaruota/antisvergolo e la gomma, e senza che io me ne accorga - me lo diranno i due che mi stanno aspettando. Arrancando in maniera ridicola, supererò il ponticello sul ruscello della penultima foto sopra, raggiungendo poi il margine sinistro in direzione del prato, nell'assurda speranza che sia meno ridotto a sabbia mobile. E lì mi fermerò. Tra l'altro senza poter scendere dalla moto per tentare di liberare l'anteriore, visto che utilizzare il cavalletto è impensabile.
Dopo una decina di minuti arrivano la Transalp e la Adv, e Fabio mi dà una mano tenendomi la mia e vedendo insieme che si può fare per la ruota.
Sono sopraffatto dalla preoccupazione di non riuscire a tornare a casa con la moto, ma mi rendo conto che le inquadrature sono molto belle e lo stesso scatto qualche foto.
A un certo punto arrivano due mezzi più adatti alla situazione, ma anch'essi lentissimi e non proprio esenti da difficoltà.
Ci chiedono se abbiamo bisogno d'aiuto. Il mio istinto è rispondere "
e me lo chiedi? certo, tirami su la moto sul pianale dietro e portami su dell'asfalto, fosse anche in Toscana!" Ma ovviamente cerco di darmi un contegno e condividere la situazione nello spirito stoico e collettivista dell'endurismo...
Con vari prestiti e passaggi che non capisco nemmeno come si svolgano, visto che io non riesco più a spostarla di un metro, la mia moto viene girata e portata in cima alla salita da Fabrizio, che io raggiungo, già totalmente esausto, con il suo ktm 640.
Seguono due impantanamenti per parte per me e l'ADV 990 (uno, l'ultimo suo, davvero molto complicato), mentre incredibilmente Fabio su Transalp, pur spruzzando costantemente argilla dalla ruota posteriore, resiste e ha bisogno solo di una breve spintarella in un punto.
Superato anche il penultimo ostacolo, sembra che la mia ruota anteriore sia in condizioni di girare, finalmente. Se non che, a metà della successiva salita per raggiungere la strada da cui eravamo venuti, si blocca di nuovo. Con Fabio la alziamo e tentiamo di farla girare a rovescio per liberarla, ma niente! Metto giù il cavalletto (qui si riesce) e mi avvio al crollo nervoso finale, quando Fabio con grande pazienza mi si affianca e cominciamo a smontare il parafango. Io deliro non so quali fesserie sul fatto che non si può, che vanno smontati i coprifoderi della forcella prima, che romperemo sicuramente qualcosa, che perderemo i controdadi (che non esistono), che il fuoristrada è proprio una cosa cretina come mangiarsi la propria [beep], e via sagrando. Ma insomma, lavorandoci su, ci si riesce. Poi tocca riavvitare il passaruota (e antisvergolo, suppongo), e anche lì la vite non prende e smadonno cercando di attaccare briga con qualsiasi cristiano a tiro d'orecchi. Qui un'immagine del momento altamente comico dell'inizio di questi grandissimi lavori:
Smontato sto stramaledetto parafango e attaccatolo alla meno peggio con il ragno, risalgo in sella, quasi svenuto, la moto finalmente VA, ma dopo trenta metri vengo colpito da crampi dolorosissimi alla gamba sinistra, interno coscia, senza sapere assolutamente cosa fare.
Arrivato all'asfalto, i due meglio attrezzati riprendono la direzione per dove hanno parcheggiato i carrelli (Cassia). Noi andremo dalla parte opposta e li salutiamo.
Io propongo a eventuali frettolosi che prendano pure subito la via di casa, che ora sono a posto e posso fare da solo. Ma loro mi aspettano, pazienti. Smonto il mio bagaglio, indosso il pile, riattacco la termica e l'antiacqua alla mia giacca, bevo, risistemo il bagaglio e lego meglio il parafango. Infine si riparte.
Rientriamo da Civitavecchia, senza fare l'autostrada, dopo un rifornimento volante al benzinaio (consumi per km da record negativo!!).
Sento freddo alla gola perché mi sono chiuso male la giacca; sento freddo alla faccia perché il Tourcross è un casco freddo. Lunedì avrò 38 di febbre e la faringe grossa come una prugna. Ma la vista del mare è superba, e devo dire che non mi sono mai gustato un dritto a 60/90 all'ora così tanto in vita mia. Nel casco canto una
canzoncina che non mi era mai piaciuta.
A Roma, io e Fabio, che abitiamo vicini, raggiungiamo il medesimo autolavaggio e diamo una prima sommaria lavata alle moto. Ne escono zolle intere, una ventina di chili di roba secondo me, con tanto di erba, bastoncini, sassolini, un vero minestrone. La concrezione che mi si è formata tra il braccio sinistro del forcellone, il copricatena e la barra che unisce trasversalmente i due bracci del forcellone e supporta il leveraggio del mono, non è andata via a tutto lunedì, e l'ho dovuta rimuovere manualmente. Nonostante i minuti di getto ad alta pressione.
Controllo l'olio ed è quasi a secco: questa gita ha mangiato tre etti da sola, praticamente un quinto degli altri 5000 km.
Che dire? Certo, sentirsi presentare questa come una uscita "fattibile coi bicilindrici" è stato un tantino fuorviante e ha forse fomentato un certo spirito di rappresaglia, sul momento.
Vista nell'ottica a posteriori, era un'uscita di gran lunga oltre le mie aspettative, ma fattibile e pure gradevole. Come dicevo prima, il terrore vero, quello delle discese e salite così ripide da riuscire impossibili, non l'ho avuto. Con un po' di malizia in più, avrei capito al primo impantanamento nell'argilla che lì era il caso di girare la moto e basta.
Ma tutto è bene quel che finisce bene.
POSCRITTO
In questa mappa corretta, il giro effettivamente svolto: eliminato l'anello a nord dell'Aurelia/bis per l'orario, il rettangolo rosso segnala il luogo dove ci siamo arresi per tornare a casa.
Qui invece le foto della zona verde a piena risoluzione, se interessassero:
vedere tutto, sopportare molto, correggere una cosa alla volta