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Albertson è giunto dal Missouri con la sola borsa dell’abbigliamento. Nessun pedigree particolare, nessun titolo di campione nazionale, nessun passato brillante da sfoderare. Cosa piuttosto inconsueta per un americano in cerca di fortuna in Europa. D’altronde Jimmy ha preso in mano una moto solo a sei anni, quando molti dei suoi colleghi avevano già passato almeno un paio di stagioni scorazzando in sella ad una minicross, diventando professionista a diciotto anni suonati. Per lui supercross o motocross non fa molta differenza, gli piacciono entrambi e ha un buon rendimento nelle due specialità.
Perché Paolo Martin ha scelto te?
«Avevo ancora un anno di contratto con il team Yamaha Valley Racing ma poi ci sono stati problemi con il proprietario e ci siamo separati. Ho cercato un’altra sistemazione, ma non c’era rimasto molto negli USA, così alla fine di ottobre ho sentito della possibilità di correre con Martin, ho detto al mio agente di dare un’occhiata per vedere se era una cosa sicura ed eccomi qua, a correre i GP. Ho sempre seguito il Mondiale e le gare in Europa, mi è sempre piaciuto, ed ora è figo essere qui e farlo di persona».
Anche questo è insolito per un americano, normalmente a voi non importa molto dei gran premi.
«Io li ho sempre seguiti, trovo che sia interessante vedere i piloti di tante nazioni diverse, specialmente quando vengono da noi a correre il National. Dopo averli visti nel nostro campionato outdoor ho iniziato a seguire i GP».
Hai trovato le nostre gare differenti da quelle negli States?
«Sì, sono molto diverse, le piste, il modo in cui viene gestito l’evento, tutto è nuovissimo ed è stato un grande cambiamento per me».
Qual è la tua aspettativa per il Mondiale?
«Onestamente non ho nessun obiettivo particolare. Martin e tutto il team sono molto tranquilli, mi hanno detto: vai e fai del tuo meglio, per noi va bene. E va bene anche per me. Voglio vincere, l’ho sempre voluto, ma non voglio farmi grandi aspettative perché appena mi metto in testa che devo essere in una certa posizione inizio a sentire molta pressione. Voglio correre meglio che posso, se questo mi fa arrivare quindicesimo va bene, se mi fa arrivare primo ancora meglio».
Come hai trovato il passo degli europei?
“E’ differente come tipologia di ritmo, ma da noi ci sono piloti veramente veloci così come ce ne sono un sacco forti anche qui».
In passato hai mai corso con Honda?
«Sì, sono stato nel team ufficiale come sostituto di Ben Townley quando si fece male. Ho fatto tre gare Outdoor, ma poi mi sono fatto male e ho corso solo l’ultima”.
La tua CRF è pronta per i GP o devi ancora migliorare qualcosa?
«Posso dirmi soddisfatto del setting che ho attualmente, e ritengo che la mia moto è buona come tutte le altre, se non meglio, e certamente sufficientemente competitiva per vincere. Quello che devo fare è correre come si deve».
A livello fisico invece?
«Sono a posto già da gennaio, ho fatto solo delle rifiniture e ora sono veramente pronto per iniziare».
I tuoi pregi e difetti?
«Penso di essere un buon pilota, ho una discreta forma, una guida scorrevole e controllata, e riesco bene nelle partenze. Come punto a sfavore posso dire che a inizio giornata sono teso e nervoso, per cui è facile che mi si induriscano le braccia. Ma con la formula del GP in due giornate questo problema sparisce il primo giorno e non sono preoccupato. Negli Internazionali invece avevo solo trenta minuti per studiare la pista, così ero molto rigido e mi mantenevo così anche nella prima manche, mentre andava meglio la seconda».
Come persona invece?
«Non so, credo che sia facile andare d’accordo con me. Di brutto invece c’è che sono piuttosto non disordinato».
Hai qualche hobby?
«Ne ho un sacco. Gioco a pallacanestro, a tennis, e mi piacciono tutti gli sport. Ora sto anche imparando a suonare la chitarra».
Nella vita cosa ti piace?
«Passare del tempo con la mia famiglia, mia mamma, mio papà e mio fratello. Lì è la mia felicità, e quando non devo correre corro a casa da loro. Non mi piace invece quando mi faccio male, e tutto quello che mi impedisce di correre in moto».
Ehi, ma anche questo non è molto comune negli Stati Uniti, dove di solito lasciate le famiglie quando siete molto giovani.
«Ho visto che qui in Italia le famiglie sono molto unite, spendono un sacco di tempo insieme. E’ quello che vorrei io, amo molto i miei genitori e mio fratello, hanno avuto una grossa parte nella mia carriera e allo stesso tempo mi hanno sempre lasciato tutto lo spazio che volevo. Non vedo l’ora di tornare a casa per passare del tempo con loro, i effetti non mi manca l’America ma la mia famiglia».
Ti sei infortunato molte volte?
«Sì, in passato incidenti ne ho avuti molti. Non gravi, non ho passato mai tanto tempo senza correre, ma è comunque brutto. Ti fai male e non puoi allenarti ne fare il tuo lavoro, è molto deprimente come pilota e come atleta perché sai che non puoi dare il meglio. Sicuramente la parte più brutta nella vita e nel motocross è quando ti fai male”.
Hai pensato di rimanere molto tempo nel mondiale?
«Quando ho firmato il contrato biennale mi sono detto: faccio questi due anni perché questa è la migliore opportunità al momento e poi torno dritto negli States. Ma dopo essere stato quaggiù, aver conosciuto le persone della Honda Martin, aver visto lo stile di vita europeo, posso pensare di rimanere più a lungo. Scaduto l’accordo magari faccio un altro contratto da due anni, ma prima devo vedere come vanno le cose”.
Quindi lo stile di vita europeo ti piace anche se è molto diverso da quello degli USA?
«Si perchè a me piace cambiare, fare le cose sempre in modo diverso in quanto mi annoio a fare sempre la stessa cosa. Così amo l’idea di venire a vivere in Europa, è tutto nuovo, divertente e mi piace tantissimo vedere Paesi diversi. Ho visitato la Spagna, adesso sto passando del tempo in Italia, presto mi sposterò in Belgio. Poi sarò a tutti i GP e visiterò tredici diversi Paesi, è proprio quello che piace a me».
Non ti mancano gli hamburgers?
«No, anche perché non ne mangio molti. La cosa che mi manca un po’ sono gli altri tipi di fast food americani, per il resto mangio bene anche da voi».
Hai una ragazza?
«E’ da un po’ che non ne ho una, perché dopo l’ultima ho capito che puoi essere o un buon fidanzato o un buon pilota di motocross, non puoi scegliere tutte e due le cose. E per me, come atleta e come pilota, non vale la pena rinunciare a questo per una relazione amorosa».
Allora non ti interessano neanche le ragazze italiane?
«Ho tentato di parlare con qualcuna, ma non spiccico una parola di italiano e non è andata bene. Mi sono portato un corso di lingua, ma devo trovare il tempo di studiare un po’ di più perché fino ad ora sono stato molto impegnato a preparare me e la moto per questa stagione».
Chi è il tuo pilota preferito?
«Trey Canard. Siamo cresciuti assieme correndo, lui è un mio buon amico, abbiamo passato tanto tempo insieme questi ultimi due anni e mi piace vederlo correre perché ha un ottimo stile».
Il tuo sogno?
«Diventare campione del mondo, si sogna sempre di diventare campioni. Ci penso ogni notte, ma sono cosciente che può succedere o anche no. Sarà un’annata lunga, ma come ho detto non voglio mettere nessuna aspettativa perché può succedere di tutto».
Il tuo più bel ricordo e quello più brutto ricordo?
«Forse il più bello è quando avevo quattordici anni e ho vinto il mio primo campionato amatoriale. Era la prima volta che partecipavo a un campionato per me così importante, e ricordo che era venuta tutta la mia famiglia e abbiamo avuto una settimana grandiosa nella quale ci siamo divertiti tantissimo. Anche lì per me era tutto nuovo e in più ho vinto, è stato un grande momento. Anche quando ho vinto la sfida Uno contro Uno allo Starcross di Mantova è stato un bel momento perché da professionista non ho vinto molte gare di rilievo e farlo alla mia prima gara che correvo in Italia è stato importante. Era solo una gara da un giro e non contava molto, ma è stato comunque bello essere premiati, salire sul podio, essere intervistati».
E il momento peggiore?
«Quando mi sono slogato la spalla poco prima di dover correre con la Honda ufficiale. Era il 2008, poco prima della tappa di Milville, in quel periodo stavo correndo molto bene, avevo già fatto dei test con la moto factory e mi sentivo come se quella fosse la mia grande occasione, in fondo era proprio quello che stavo aspettando. Invece una stupida caduta in allenamento mi ha provocato la lussazione della spalla, e la cosa più brutta è stata chiamare il team manager per dirgli che io pur essendo il suo pilota di riserva che doveva correre al posto del suo pilota infortunato, si era infortunato a sua volta. E’ stato il momento più triste della ma vita».