Bartolini: perché mi sono dimesso

Bartolini: perché mi sono dimesso
Dal 2005 team manager della squadra azzurra al Motocross delle Nazioni, quest'anno non sarà a Denver. Le ragioni le ha spiegate a Moto.it | M. Zanzani
19 settembre 2010

 

Andrea, la tua è stata una decisione improvvisa. Perché hai lasciato l'incarico?
«Ero già rimasto piuttosto sconcertato da come si era evoluta la vicenda di Philippaerts e Cairoli: le beghe con i marchi. Ad un certo punto sono stato incaricato di formare una squadra senza di loro, ed ho scelto Guarneri e Monni che dopo l'infortunio si è impegnato tanto e ha fatto due mesi di lavoro molto duro per essere a posto al Nazioni. Venerdì sera prima del GP d'Italia mi è stato confermato che i nomi sarebbero rimasti quelli, che erano già state fatte le grafiche e tutto il resto, ma poi sabato mattina sono stato informato che avevano deciso di far rientrare Philippaerts e Cairoli. Non che non se lo meritassero, anzi, era la soluzione più logica e giusta, ma non mi è piaciuta come è andata la cosa e sinceramente mi era venuta un po' di nausea di tutti questi problemi. A quel punto visto che non sarei più riuscito a fare questo lavoro con le motivazioni di prima ho preferito dare le dimissioni. D'altronde io sono cresciuto in un'altra era, dove forse c'era un po' meno immagine ma lo sport contava di più. Non con questo che voglia incolpare Sesti, capisco che lui abbia dovuto fare questo passo, quando metti in mezzo la politica subentrano cose che a me non piacciono più e preferisco farmi da parte».
 

Ma come avevi vissuto la prima decisione di non cedere sui diritti della Maglia Azzurra?
«Sono sempre stato dalla parte della Federmoto, perché non era bello vedere una maglia della Nazionale con lo sponsor del team, sarebbe come vedere Del Piero in nazionale con lo sponsor della Juventus. Io ho sempre supportato la decisione di Sesti perché secondo me portava avanti su una cosa giusta e perché non va dimenticato che la Federazione ha dato una mano a molti giovani e la sta dando ancora adesso».


Quindi ti sei trovato in disaccordo solo su quest'ultima decisone.

«Esatto, diciamo sono rimasto deluso da come sono andate le cose, per me il motocross è un'altra cosa: più professionalità, più sport, meno politica».


Cosa ne pensi invece di Cairoli team manager della squadra italiana?
«In altri sport non è la prima volta che succede, e come novità è senz'altro originale. Certo che Antonio non ha un compito facile, perché potrebbe andare anche incontro a scelte che potrebbero non essere a lui favorevoli come ad esempio la posizione al cancello di partenza. Inoltre potrebbe essere un motivo di disturbo per quanto riguarda la sua concentrazione, specie nel suo caso dove ha tutti gli occhi puntati addosso. Ma dipende molto anche con che spirito la squadra affronta questa sfida, più si punta in alto e più si sente il peso della responsabilità. Tony è comunque un fuoriclasse, e se la saprà cavare anche in queste suo doppio compito».


Senza più Philippaerts in squadra il podio sarà ancora fattibile?
«Premesso che il Nazioni è una gara dove serve sempre molta fortuna, con David sarebbe stato certamente più facile. A Fermo infatti Monni ha fatto una bella gara, ma la pista era piuttosto scorrevole e quindi fisicamente non estremamente impegnativa. A Denver invece il circuito sarà senz'altro fresato e quindi buchi e canali non mancheranno per cui verranno fuori le doti di sicurezza di guida, cosa che Manuel ancora non penso abbia  riacquisito perché è stato tanti mesi senza guidare, per cui non bisogna pretendere che faccia i miracoli».
 

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