De Carli: “Tony è unico!”

Il messinese raccontato dal team manager romano che ha affiancato Antonio Cairoli in tutti i suoi sette titoli iridati | M. Zanzani
25 settembre 2013

 

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Ogni anno quando si parte si dice: “quest'anno sarà più dura”, ma non sembra sia stato proprio così.

«Noi non dimentichiamo che stiamo correndo un Mondiale e che non bisogna trascurare mai niente. Ogni anno c'è sempre da guardare avanti e come migliorare, anche se non sai mai se riesci a fare meglio perché già stai al top con tutto quanto e anche gli altri lavorano sodo. Ma è un bene pensare che la stagione potrebbe essere più dura della precedente, così uno non dorme sul lavoro fatto. E' comunque un Mondiale duro, perché con la regola dei 23 anni di nomi eclatanti in MX1 non ce ne sono mai stati come in questi ultimi anni, è diventata veramente la Formula 1 del motocross».


Si può dire che Tony abbia raggiunto la piena maturità?
«Assolutamente sì, l'ha raggiunta forse già da qualche anno. Il Mondiale ora è più lungo, con diciassette gare si inizia un mese prima del solito e per un atleta, per un team, ma anche per i meccanici non è facile tenere un certo livello per tanti mesi. Perché iniziare le gare un mese prima vuol dire iniziare anche l'allenamento un mese prima, e l'anno scorso abbiamo finito a fine settembre. Si è tutto accorciato, c'è poco stacco e non è facile».

L'esperienza che ti fa maturare non finisce mai, noi ad esempio possiamo ancora migliorare, come mezzi e come moto


Secondo te può ancora migliorare sotto qualche aspetto?
«L'esperienza che ti fa maturare non finisce mai, noi ad esempio possiamo ancora migliorare, come mezzi e come moto, ed è per questo che lavoriamo costantemente e continuamente per crescere. Tony bisogna vederlo sotto pressione per capire se può crescere ancora, perché non sempre da' il massimo, quando non serve non lo fa, per lui l'importante è vincere e non stravincere. Di sicuro ha sempre quella stessa voglia di vincere di un po' di anni fa, e questo è importante».


E' il segreto che gli permette di non mollare mai?
«Lui è un vincente su tutto, su qualsiasi cosa, anche quando gioca a calcetto non gli va di perdere o di stare nella squadra perdente. Ha proprio uno spirito attivo e si mette a confronto anche con se stesso, e questo lo porta a non pensare, a non essere stanco del suo lavoro, anche perché è appassionato e gli piace tantissimo quello che fa».


Tu l'hai accompagnato per mano in tutti i suoi titoli, come si è evoluto in questi anni?
«Tony è sempre andato alla ricerca della tecnica. Ha messo a punto la moto che è andata sempre in costante evoluzione, e non ha mai dato la colpa a qualche cosa che poteva non andare o che poteva andare meglio. Quando c’è stato qualcosa che non quadrava abbiamo fatto assieme una ricerca delle cause e dopo si è lavorato per trovare la soluzione migliore. C'è sempre un rapporto di fiducia tra noi, tutti lavoriamo dando il massimo e ha la consapevolezza che quello che abbiamo glielo mettiamo a disposizione. Così lui è tranquillo di poter fare il suo lavoro al cento per cento, per questo anche gli allenamenti più duri gli pesano solo fino a un certo punto. E così quando c'è da allenarsi si allena senza storie, può succedere magari una volta ogni tanto che proprio non gli vada, è normale, ma sa bene come fare il suo lavoro».


Anche la 350 mi sembra che abbia fatto un bel salto di qualità.
«La mia idea di avere una moto più maneggevole si è rivelata azzeccata. Tony l'ha scelta di sua volontà senza aver avuto nessuna pressione, perché gli piace guidarla. Ogni anno durante l’inverno facciamo le comparative con la 450, ma a lui piace guidare la 350 e dal momento che se la sente bene cucita addosso perché cambiare?».


Strano che nonostante i titoli vinti dalla 350 i giapponesi non abbiano replicato con un modello simile.
«Loro lavorano diversamente, tengono tuto molto segreto e magari hanno da parte qualche sorpresa futura che noi non sappiamo. Di sicuro KTM ha di bello che produce sia il 450 che il 350, ognuno ha due possibilità di scelta ed è una cosa in più che un pilota ha in base ai suoi gusti e alle proprie esigenze».


Claudio De Carli invece come si è evoluto nell'arco degli anni?
«Mentre prima sviluppavamo tutto in casa, stavamo sempre al banco prova nel reparto ricerca e sviluppo interna alla mia struttura, ora tutto il lavoro basato sulla mia esperienza che ho maturato a 360° con i motori e la ciclistica si è semplificato perché ci sono ingegneri e tecnici che non sono influenzati da quello che è il campo gara ai quali trasmetto le mie indicazioni che realizzano i prototipi che proviamo assieme. Il lavoro è molto più rapido, c'è più gente che lavora alla ricerca e sviluppo, c'è uno scambio fantastico di esperienze e conoscenze, e tutto risulta più dinamico. Così ci sono più possibilità di ottenere ciò che serve in ogni ambito, perché alle spalle si lavora con una factory».


Per quale motivo questi tecnici è meglio che non siano influenzati dal campo di gara?
«Perché in un solo week end di un GP si possono dire mille cose, ma è meglio che le cose le sappia solo una persona per tirare una riga quando è il momento e centrare meglio la situazione. Bisogna lavorare il giusto nella direzione giusta, se prendi la strada sbagliata è una perdita di tempo per cui è necessario essere convinti di quello che si chiede. Questo è importante, e lo deve dire chi segue il team insieme ai tecnici sul campo, che fanno più di una valutazione e che poi tirano le somme».


Un ruolo importante per Tony ce l'ha anche Jill?
«Tony è campione dentro, è un fuoriclasse, e quello che ha dentro non gliel'ha dato nessuno. Ha trovato delle persone giuste sulla sua strada, dai meccanici a Jill, a tutto il gruppo che lo fanno rendere al massimo, lo fanno stare tranquillo, lo fanno stare in un ambiente che è quello giusto. Poi questo lo deve dire lui, ma dopo tanti anni penso che sia così».


In percentuale, quale è la ricetta che lo rende un campione?
«Grande classe, passione, voglia di essere primo che non dura solo al momento della gara ma che continua per tutta la settimana e lo porta ad allenarsi con cura e a cercare nuove tecniche. Così è in continuo evolversi, non si ferma mai, è un cocktail di queste cose, ma prima di tutto lui è nato con questa intelligenza, ha la visione della gara a 360°, ho visto pochi piloti così».

Pauli, GP di Francia
Pauli, GP di Francia


Di avversari forti Tony ne ha avuti abbastanza, ma lui è stato il più completo. Chi ti ha sorpreso di più quest'anno in modo positivo e negativo?
«Da Nagl mi aspettavo sicuramente di più, era stato tanti anni in KTM senza rendersi conto che qui aveva il massimo di tutto, era seguito in tutto, si allenava con le moto ufficiali, c’era sempre la disponibilità dei tecnici sospensioni e dei consigli dei manager. Quando è passato alla Honda pensavo che fosse contento e potesse fare qualcosa di buono, invece mi ha deluso. Non è stata una sorpresa invece Paulin, era veloce anche nel 2012 e, a parte l'incidente della Germania, quest'anno ha dimostrato di essere molto più costante, ha migliorato un po' dappertutto che non è facile con una 450. Anche Desalle è sempre stato un pilota coriaceo e determinato».


Se avesse cambiato squadra non avrebbe avuto una determinazione in più?
«Questa cosa potrebbe essere vera ma fino a un certo punto. Quando un pilota deve cambiare moto, deve cambiare team, deve cambiare personaggi, deve ragionare con persone che la vedono in modo diverso ambientarti è piuttosto difficile. A volte poi ti aspetti di trovare qualcosa di molto meglio rispetto a dove eri prima, e magari questo meglio non c'è per cui il fatto di trovarti uguale può essere già una delusione. Per cui se devi cambiare devi essere sicuro di andare in meglio, e sono tante le cose da tenere in considerazione. Per questo non penso che se Desalle cambia team va più forte al contrario di Ken De Dycker il quale venendo nel nostro team ha dimostrato di non essere affatto un pilota finito. E pensare che l'abbiamo preso solo perché Nagl si era fatto male, era stato una sorpresa l'anno scorso e quest'anno addirittura è cresciuto, una bella una soddisfazione anche per noi e direi anche la sorpresa dell'anno».


In trentadue anni di GP non ho mai visto un pilota come Tony che poco prima di mettere il casco per andare dietro al cancello di partenza ride e scherza come se fosse al bar.
«Anche quando fa una gara negativa, dopo dieci minuti sdrammatizza, è tutto archiviato e pensa alla gara dopo. Non fa pesare mai niente, nemmeno a se stesso, non so cosa può avere in testa in quei momenti, ma è un ragazzo solare. Sta sempre con il team, minimo due volte al giorno passa in officina, va dai meccanici, sa mantenere l'armonia all'interno della squadra. Il fatto che un campione del mondo ti viene a trovare, organizza una pizza, si fa una grigliata tutti insieme, questo è un valore aggiunto che ha Tony. Ma non lo fa perché lo deve fare, o per furbizia o rendiconto, lo fa perché è così. Vuol dire che si trova bene nel nostro ambiente, e questo fa piacere a me, fa piacere ai meccanici, fa piacere a tutti».

Non si deve mai dire che è scontato vincere. E questa è la forza di Tony e nostra


Quando hai capito che anche quest'anno non ce n'era per nessuno?
«Si punta sempre al titolo, si sa che Tony è quello che è, ma bisogna stare attenti a mantenere lo stesso livello perché la stagione è tanto lunga. Se si vincono le prime due gare non è detto che si vinca il titolo, non sta scritto da nessuna parte. E' tutto l'insieme, non solo quei singoli casi come la Svezia, può succedere di tutto. Non si deve mai dire che è scontato vincere. E questa è la forza di Tony e nostra».


Secondo te quando smetterà?
«Penso molto tardi. Conoscendo com'è fatto sarebbe dura rimanere lontano dall'ambiente, vorrà rimanere il più possibile, sarebbe anche sbagliato che si staccasse da questo sport ».


Va di moda confrontare Tony con Herlings, tu cosa ne pensi?
«E’ il solito discorso, fare una gara in America non significa niente, così come se Herlings venisse a fare una gara di MX1. Magari è capace anche di vincere, non è detto, magari in quella giornata che Tony non è in palla, in cui gli altri non hanno niente da perdere, o una pista che piace particolarmente a Jeffrey. Per vedere la realtà dei fatti bisogna che Herlings passi in MX1 e alla fine del Mondiale si dice chi è più forte. Perché una gara non decide proprio niente, zero».


E’ un po’ come al Nazioni, dove tutti vogliono fare il confronto con gli americani.
«Se Tony va a fare una sola gara negli Usa può anche vincerla, ma per vedere chi è il migliore tra i vari Villopoto e Dungey bisogna fare tutta la stagione. Stai certo comunque che nel National Tony è uno che sta in cima al cento per cento».


Dopo il Nazioni che programmi avete?
«Più riposo possibile per tutti quanti, per ritrovare la carica e l'energia. Abbiamo già pianificato i test, ma anche un po’ di stacco visto che la prossima stagione inizia ancora in anticipo. Vacanza è anche stare a casa e fare altro, magari stai in officina a sistemare il camion. I meccanici hanno anche bisogno di fermarsi un po’, ma già il fatto che stai lì a casa è una mezza vacanza».