Jon-Erik Burleson: "KTM è la moto offroad più venduta in America"

Jon-Erik Burleson: "KTM è la moto offroad più venduta in America"
Il presidente della KTM North America spiega strategie e obiettivi della Casa austriaca nel mercato più importante del mondo per quanto riguarda la vendita delle moto fuoristrada | M. Zanzani
21 marzo 2012


Jon-Erik Burleson è approdato alla KTM North America nell'agosto del ’95 quando era ancora al college per concludere gli studi nel settore finanziario. Gli proposero di assumere l’incarico di direttore vendite dell'area dei Grandi Laghi, e dalla California si trasferì nel quartier generale costruito alla fine degli anni sessanta in Ohio dal mitico John Penton, ritornato da Mattighofen con un contratto che gli dava il mandato per diventare l'importatore americano della KTM. Dopo un quarto di secolo la proprietà passò direttamente alla Casa madre austriaca, rimanendo nella sede di Amherst fino al 2005, quando il presidente della KTM USA Rod Bush scomparve lasciando il testimone a Burleson.
 

Jon-Erik Burleson


«Quando ho assunto le redini dell’azienda rimanere in Ohio non aveva più molto senso - dichiara Jon-Erik Burleson - perché volevamo crearci la nostra fetta di mercato nel motocross e negli Stati Uniti il cuore del fuoristrada è sicuramente la California, sia come sede per i costruttori che come presenza di gare. Abbiamo iniziato con un ufficio a San Diego, poi ci siamo spostati a Temecula e infine nel 2008 a Murrieta nella sede attuale, perché a volte è più facile cambiare nei momenti difficili, mentre in Ohio è rimasta l'assistenza clienti dove abbiamo una struttura per i ricambi di diecimila metri quadri, compreso il servizio tecnico e un centro pratica per i rivenditori e i meccanici che hanno anche assistenza telefonica. Dal punto di vista delle vendite tutto è basato qui, sei più vicino ai media, alla produzione e abbiamo anche un gruppo di ricerca e sviluppo che può fare test almeno 345 giorni all'anno e che collabora con l'Austria. Questo trasloco per noi è stata la catapulta nel mercato del motocross, visto che da allora abbiamo avuto una crescita costante».


Quante persone lavorano per voi?

«Al momento abbiamo una trentina di persone qui in California e altrettante in Ohio, ma abbiamo anche un ufficio a Montreal in Canada con altre dieci elementi e altri quindici collaboratori esterni coinvolti nel reparto corse o R&D (ricerca e sviluppo, ndr). I meccanici invece hanno un contratto stagionale per il periodo delle gare».
 

Qual è la vostra quota di mercato negli Stati Uniti?
«Il 2011 è stato per noi un anno record, perché, considerando il segmento delle moto fuoristrada da competizione, comprese quelle da motocross, abbiamo raggiunto il primo posto con più del 30% delle vendite. E' un dato molto confortante, in alcuni segmenti ci sono giapponesi scesi del 10% mentre noi siamo saliti del 17%. Abbiamo proposto un buon prodotto, e lo dimostra il fatto che anche solo tenendo conto del solo motocross copriamo tra il 16 e il 17% del mercato mentre per quanto riguarda l'enduro da competizione siamo addirittura al 50%. E pensare che solo cinque anni fa eravamo al terzo posto, mentre ora siamo primi».

Jon-Erik Burleson
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Numeri davvero notevoli, pensavo foste nettamente dietro ai giapponesi.
«E' stata una crescita rapida. Negli Usa il mercato delle moto è particolare perché molta gente fa corrispondere le vittorie nel supercross con le quote di mercato anche se degli spettatori del supercross solo il 30 o 40% sono veri motociclisti mentre quelli del’outdoor che possiedono una moto sono molti di più mentre il settore enduro è ancora una piccola rappresentativa anche perché articolato in diversi campionati: GNCC, Desert Racing, Enduro Racing, WOCS. Quindi gli appassionati possiedono molti tipi di moto fuoristrada, e per un’azienda è difficile fare tutte le scelte e le azioni giuste, come dimostra il caso della Suzuki che due anni fa dominava nel supercross e nel motocross outdoor, ma erano quarti o quinti nelle vendite. Noi offriamo un prodotto eccellente e adesso, con l'aiuto di Roger De Coster e del suo team, la nuova 450 è tecnologicamente ancora migliore, è un prodotto molto molto competitivo che si affianca ai 42 differenti modelli che abbiamo negli Stati Uniti e che competono con i giapponesi i quali, invece, hanno magari un paio di modelli da supercross e altrettanti da motocross».
 

Quale strategia avete usato dal 2008 ad oggi per raggiungere il primo posto nelle vendite?
«Il passo più grande è stato traslocare la sede centrale. Questo ha cambiato molte cose, dalla percezione del mercato al grado di sviluppo dei prodotti. Nei tre anni precedenti però abbiamo curato molto il servizio clienti rendendolo molto efficiente e abbiamo sviluppato un'ottima rete di rivenditori, questo ha fatto sì che il cliente finale sia soddisfatto e si senta sicuro nell'acquisto di una KTM. Poi abbiamo iniziato a imporci nelle gare di motocross: nel 2009 abbiamo vinto una prova comparativa tra le 450 da cross di serie fatta dalla più importante rivista statunitense ed è stato un passo importante per fare in modo che la gente iniziasse a comprarla. E’ stato il risultato di un intenso lavoro iniziato nel 2007 mettendo a punto le moto da cross per il mercato statunitense. Abbiamo impiegato due persone nella ricerca e sviluppo lavorando con i riscontri dei media, abbiamo sviluppato le specifiche per i pneumatici e la regolazione delle sospensioni perché il mercato americano ha le sue esigenze particolari, in parte derivate dal supercross che ha un forte impatto anche a livello amatoriale, persino sullo stile di guida».
 

Adesso che siete il numero uno, quali sono i vostri obiettivi?
«Vogliamo incrementare ulteriormente la nostra quota di mercato generale e arrivare al primo posto nelle vendite del motocross. Ora siamo al 17% e vorremmo arrivare al 25, siamo molto vicini al secondo e la chiave di volta sarebbe vincere un titolo supercross. E' la cosa che ci porterebbe in prima classe, agli occhi del consumatore, quella è l'ultima cosa che manca e che ci si aspetta da noi».
 


La prima vittoria KTM nell'AMA Supercross


 


E' per questo che quest'anno con Dungey, Roczen e Musquin avete formato un team fortissimo, coincidenze sfortunate a parte?

«Ci stavamo lavorando da due o tre anni, seguendo un approccio diverso rispetto al passato che punta esclusivamente alla qualità. Dovevamo avere la moto giusta, e De Coster ci ha portato la sua capacità di creare una moto veramente capace di vincere il supercross. Una volta che hai la moto devi avere una buona infrastruttura, un buon capo per la squadra, e Roger è stato anche in questo caso la pedina giusta per dare sicurezza ai piloti andandoli ad assumere non solo offrendo solo uno stipendio, ma anche la possibilità di vincere. Questa è la sfida: se vuoi buoni piloti devi creare sicurezza nel mercato in modo che si sentano tranquilli a correre per il tuo marchio, ma anche che pensino che è la scelta migliore che possano fare per essere in grado di competere nel campionato. Purtroppo l’infortunio di Dungey non ci voleva, ma credo veramente che se riusciamo a raggiungere il nostro obiettivo saremomo veramente in grado di prendere la prima posizione nel mercato generale del fuoristrada e in quello puro del motocross».


Purtroppo anche Ken ne ha fatte le spese ad inizio stagione.

«Ken è un pilota di ultima generazione, è giovanissimo e ha tutto il tempo per venire fuori. Sia lui che Marvin hanno un gran potenziale, vedremo se verranno confermato in questa stagione o in quella prossima, sicuramente hanno la possibilità di diventare piloti di alto livello in entrambe le categorie».
 

Le vostre moto ufficiali vengono preparate in Europa e poi vengono modificate da voi?
«E' un lavoro di gruppo, partiamo dalla base factory e lavoriamo su tutti gli aspetti, ma sempre a contatto con la Casa madre. Fanno molto sviluppo in Austria, e qui lavoriamo molto sul motore e sulle sospensioni, non posso dire chi fa più o meno perché è l'unico modo che può esserci, un grande lavoro di squadra per raggiungere il titolo nel supercross».


I titoli vinti da Cairoli e Musquin hanno un impatto nel mercato USA?

«Nonostante questi riconoscimenti e le splendide gare fatte da Roczen davanti al pubblico americano nel Nazioni che si è corso in Colorado e di Tony nel GP di Glen Helen questa nazione si focalizza tantissimo sul supercross e in seconda battuta sul National».


Guardando il tuo ufficio c'è però solo una maglia appesa, quella di Stefan Everts: c'è una ragione precisa?

«Non mi importa chi sei o da dove vieni, Stefan Everts è un eroe ad ogni livello. Se guardi ai passi che abbiamo fatto per avere successo nel motocross, e questo vale anche per gli Stati Uniti, non puoi non considerare l'impatto che Stefan ha dato alla squadra, ha influenzato dallo sviluppo del motore a quello delle sospensioni: ha dato la sua collaborazione per la crescita globale dell'azienda. Adoro quando posso parlare o lavorare con lui, è una persona favolosa e quando hai la possibilità di avere una maglia da una persona come Stefan Everts, fai in modo che venga appesa alla tua parete perché non ci sono molte persone come lui in giro per il mondo. Non c'è una ragione precisa per cui non c'è nessun altro, ma lui è speciale» .