Jeremy McGrath. Intervista al campione USA

Jeremy McGrath. Intervista al campione USA
Incontriamo il campione Usa a Genova durante il Supercross. Jeremy ci racconta cosa fa oggi e come è cambiata la sua giornata tipo. Non manca una critica agli attuali protagonisti del cross | M. Zanzani
22 novembre 2010

 

Smessi i panni del pilota a tempo pieno a fine 2002 con un palmares che lo ha reso il pilota statunitense più titolato del fuoristrada, ora "Showtime" divide le sue giornate e le sue passioni tra moto e famiglia. La prima in sella alla CRF 450, svolgendo il compito di collaudatore per l'America Honda, e l'altra stando accanto a moglie e due figlie piccole.


Jeremy in cosa consiste il tuo attuale ruolo di tester?
«Aiuto a sviluppare le moto da gara del team Honda Usa, provando pezzi speciali che riguardano sospensioni, telaio e motore prima che vengano approvati e montati sulle moto dei piloti ufficiali».


La stessa cosa la porti avanti anche per le moto di serie?
«Sino adesso no, ma il reparto che segue la produzione sta iniziando a lavorare più a stretto contatto con quello racing. Probabilmente hanno capito di poter avere un buon aiuto, e ritengo che tra non molto i due reparti lavorino di nuovo in simbiosi come era in passato».


Anche perché sostanzialmente le moto da gara e per la vendita hanno una base simile.
«Esatto, e se produci una moto di serie molto buona c'è meno lavoro per il reparto corse».


Qual'è il contributo che dai loro?
«Sicuramente la mia esperienza, hanno imparato ad apprezzarla e i risultati lo vedrete coi modelli del 2012. La CRF 450 che guido ora è molto più potente, specialmente in basso».


Quando giri sulla pista della Honda ti alleni insieme agli altri piloti del team?
«Normalmente sì, ma in questo periodo dell'anno alcuni come Barcia e Windham sono tornati a casa, e quindi si allenavano rispettivamente in Georgia e in Louisiana. Mi capita però di girare con altri piloti Honda come Trey Canard e ultimamente anche con Chad Reed».


Per te è anche un modo per vedere a che punto è la tua velocità.
«Certo, e devo dire che per un vecchietto come me posso ritenermi soddisfatto...».


Ti manca la competizione, ora che corri solo saltuariamente?
«Mi manca la gara, ma non quello che c'è dietro come gli spostamenti in aereo e gli allenamenti quotidiani perché il carico di lavoro era altissimo».


Quante volte giri a settimana?
«Due o tre, poche rispetto al passato quando ero in sella tutti i giorni».


Come si svolge la giornata quando fai test?
«Prima parto per fare un po' di riscaldamento, poi iniziamo a cambiare dei pezzi, giro, proviamo altre cose, ritorno in pista, cambiamo di nuovo, giro ancora e così per tutto il giorno».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Non ti annoi?
«No, perché la mia passione per girare è ancora tanta. Inoltre quando facciamo qualcosa di buono e utile al team mi sento bene, e questo mi fa venire voglia di correre anche se allo stesso tempo non mi sento di dover confrontare costantemente con gli altri piloti».


Effettivamente deve essere gratificante trovare qualche buona soluzione per la moto.
«Sì, è molto soddisfacente. Specie ora che, da quando lavoro con loro, la nuova moto ufficiale è migliorata tantissimo».


Quando avete cominciato?
«Nel 2009, con la CRF a iniezione. Subito abbiamo avuto un sacco di problemi, mentre ora va molto meglio. Adesso stiamo lavorando sul modello 2012, e devo dire che i risultati sono molto confortanti».


Ti diverti anche sulle piste di motocross?
«Si, ma giro un po' solo per divertirmi con la moto di serie solo, di test ne facciamo qualcuno durante l'estate».


Cosa trovi sia cambiato nella tecnica di guida del supercross dagli anni '90 ad oggi?
«Non penso sia cambiata, se non per il fatto che si è dovuta adattare alle moto a quattro tempi che hanno molta potenza e che danno la possibilità di fare molte più cose. Per quanto mi riguarda probabilmente vado più veloce che negli anni '90 perché la moto è migliore. Puoi dare di più, ma fanno anche più paura ed è più pericoloso, ma a volte semplificano le cose perché sono più facili da guidare, hanno più motore e di conseguenza è più facile saltare perché si va più veloci. Con le due tempi era più difficile e quindi contava di più la qualità del pilota, ora c'è più gente che può fare le stesse cose e quindi più livellamento».


Una volta c'erano anche più piloti carismatici.
«E' vero, adesso non ce ne sono. Non saprei dire perché, forse con gli sponsor in ballo e le cifre alte che girano i piloti hanno paura di parlare liberamente e non sono loro stessi. Sono pagati per parlare bene degli sponsor, e questo toglie divertimento allo sport perché tutti devono essere seri. Infatti io non mi diverto molto come spettatore, mi piace correre ma non sopporto il contorno, il podio e tutto il resto».


Infatti anche le interviste sono sempre uguali.
«Sì, li guardi e vedi che è come se leggessero dei promemoria per essere sicuri di nominare tutti gli sponsor. E' terribile».


Gli affari sono affari
«Sì, ma non è divertente».


Reed, Stewart, Short, Millsaps e ultimamente Canard: tutti piloti che hanno contratto la sindrome da affaticamento cronico Epstein Bar: come lo spieghi visto che non credo siano più stressati di come lo eravate tu o Ricky Johnson in passato?
«Non so cosa dire, forse questi ragazzi si allenano tantissimo, si stancano molto ma continuano ad allenarsi ugualmente per cercare sempre qualcosa in più, ma poi il fisico non regge e poi esplodono. Credo che il problema sia questo».


Ma anche tu ti allenavi molto.
«Sì, ma probabilmente distribuivo meglio il mio programma. Loro non fanno che lavorare, ma non possono reggere tanto lavoro ed ecco che si ammalano. Sta diventando una situazione pazzesca».


Non sei venuto al GP di Glen Helen né al Nazioni perché non ti piace la confusione, hai visto il video di Denver?
«Sì, ho notato quanto veloce sia stato Roczen, è veloce e spericolato, e sarà fortissimo quando verrà negli Stati Uniti. Anche Musquin è molto bravo, così come Christophe Pourcel mi ricorda un po' Jean Michel Bayle».


Diversamente che in passato ci sono diversi giovani buoni europei in arrivo, significa qualcosa o è solo un caso?
«Non sai mai dove trovi i piloti veloci, a volte sono americani, a volte sono europei, australiani o neozelandesi. Quello che vedo è che il fuoristrada sta diventando sempre più popolare e più accettato in tutto il mondo, i giovani crescono con questa prospettiva e vogliono venire negli Usa a gareggiare nel supercross perché rimane il campionato più famoso».


Il prossimo anno però ci sono piloti che fanno marcia indietro e tornano ai GP come Searle, Anstie e Townley.
«Perché non trovano la moto e non hanno sponsor. I team hanno investito troppo negli anni scorsi e l'improvvisa crisi finanziaria ha creato problemi a molti di essi, ma se non avessero fatto così probabilmente il supercross non avrebbe avuto la stessa evoluzione per cui è difficile giudicare ora. A questo punto sarebbe l'occasione per dare una giusta ridimensionata, oppure si rischia che le cose vadano completamente fuori controllo».


C'è qualche giovane pilota emergente negli USA?
«E' difficile scegliere. Molti ragazzi del campionato Amatori sono bravi e veloci. Nella classe Lites c'è Eli Tomac che è piuttosto bravo. Di sicuro il prossimo campionato supercross sarà molto interessante in entrambe le categorie».


C'è qualche evento della tua vita che ricordi in modo particolare?
«Sono tutti bei ricordi, ho avuto più successo di quanto avrei mai potuto immaginare e sono numerosissime le belle sensazioni che ho provato».


Hai qualche rimpianto?
«Nessuno, ora ho anche una bella vita e quindi mi sento molto fortunato».


Come è cambiata la tua vita da quando non corri più a livello professionale?
«Innanzi tutto ora ho dei figli, inoltre posso fare cose che prima non avevo tempo di fare come le gare con auto fuoristrada, tanto per divertirmi. Ho possibilità di fare molte più cose, ma amo ancora molto la mia moto ed è il motivo per cui ho corso a Genova. Proprio perché mi piace, non importa il risultato, se vinco o se perdo, ovviamente voglio ancora essere tra i grandi ma ora sono più vecchio ed è difficile a volte competere con i piloti più giovani perché magari mentre loro vogliono avere la loro grande occasione io voglio essere capace di tornare a casa tutto intero. Quindi devo usare la testa perché per me è importante essere veloce ma allo stesso tempo prudente».


In passato tu come Ricky Johnson eri come un sano ambasciatore del nostro sport, avevi buone relazioni con il pubblico, eri sempre aperto, propositivo e incarnavi alla prefazione il ruolo dell'atleta pulito. Adesso non vedo nessuno in questo ruolo.
«L'unico buon ambasciatore rimasto di questo sport è Kevin Windham, ma anche lui sta per ritirarsi e questo mi rattrista perché sembra che a nessuno importi dello sport come importava a noi. Noi abbiamo costruito tutto questo e adesso abbiamo bisogno di qualcuno che lo porti avanti, ma nessuno lo fa. Anzi, ci sono piloti come Stewart che non fanno il bene di questo sport».


Ma perché nessuno dice qualcosa o insegna come fare?
«Non lo so, è diventato tutto troppo serio. Io lo facevo perché era nel mio carattere, ed è difficile da insegnare, ai giovani ora non sembra che piaccia parlare, troppo seri, troppi soldi in ballo, non so che dire».


Ti è rimasto un sogno da realizzare?
«No, la mia vita è bella e ho realizzato più di quanto pensavo. Ho una bella famiglia, adoro il ruolo di padre di due bambine, una di cinque ed una di tre anni, e questo è quello che conta per me adesso».


Quindi niente piloti di motocross in casa?
«No, ma va bene così. Almeno per adesso, con le ragazze di oggi non si sa mai...».

 

McGrath a Genova
McGrath a Genova
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