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Un po’ come il Mondiale MXGP, anche quello della 250 è stato un campionato lungo, difficile, e costellato di colpi di scena. Che ha visto Tim Gajser alla sua quarta stagione iridata trionfare proprio sul finale, sovvertendo i pronostici di inizio stagione, che lo davano tra i probabili protagonisti, ma non mattatore assoluto.
«Non me lo aspettavo neppure io di vincere il titolo - ha spiegato lo sloveno del team Honda Gariboldi - perché il mio inizio stagione è stato difficile. Arrivati in Europa ho vinto la tappa di Arco, ma poi la settimana successiva, in Olanda, ho avuto uno dei peggiori GP che io abbia mai corso, dove ho collezionato solo un 17° ed un 14° piazzamento, mentre in Inghilterra sono caduto nel warm-up e non sono stato autorizzato a correre, a causa del trauma cranico che avevo riportato. Il campionato è stato lungo e duro, tutti hanno fatto degli errori perché tutti spingevamo oltre al limite: me compreso, visto che non ho terminato le quattro manche, ma alla fine tutto è andato bene».
Tim è un ragazzo semplice, allegro, apprezzabile per le sue doti di atleta ma anche per quelle umane, che sono da esempio ai ragazzi della sua età. Punto di riferimento fondamentale, che gli ha dato solide basi di vita, è stata la famiglia, in particolare suo padre Bogomir, che da bravo appassionato e pilota a sua volta lo ha messo in sella ad una Honda 50 già all’età di due anni.
Tim, in quel momento avresti mai detto che un giorno saresti diventato campione del mondo?
«Non lo immaginavo di certo! Quando ho iniziato a correre era tutto come un gioco, dopo la scuola giravo in moto in giardino tutto il pomeriggio, ma niente palestra o allenamenti particolari. Poi sono diventato campione europeo della classe 65, quindi della 85, e solo quando ho vinto la 125, correre è diventato una cosa seria. Prima praticavo anche altri sport, judo, sci, giocavo a calcio insieme a mio fratello, ma a tredici anni, dopo il titolo della 85, ho deciso che avrei fatto motocross per tutta la vita. E adesso il mio sogno si è avverato».
La chiave per la vittoria di quest’anno è stata mantenere duro fino alla fine.
«Certo, il segreto è non arrendersi. Anche se ti capitano delle gare storte, e prima o poi arrivano, non bisogna mai mollare. In Thailandia, proprio all'inizio del campionato, sono andato molto male ed eravamo lontanissimi dal titolo, poi abbiamo recuperato fino al terzo posto, ma a Matterley Basin non ho corso, e mi sono ritrovato 18° ad un centinaio di punti da Herlings. Nelle corse però può accadere di tutto, fino all'ultima bandiera a scacchi, ma noi non ci siamo mai arresi, abbiamo lavorato sodo e questo ha ripagato».
Mi sembra incredibile che il campionato lo abbia potuto vincere uno studente.
«Sì, non succede spesso. Effettivamente ho finito la scuola a metà stagione, e devo dire che non è stato semplice coordinare tutto, le lezioni, lo studio, le gare, gli allenamenti. Ma l'abbiamo gestita bene, mi sono diplomato in ragioneria e ammetto di essere molto fiero di me stesso, anche perché non è una cosa da tutti. Mi piace andare a scuola e avere un'istruzione, inoltre a fine carriera è più facile trovare eventualmente un lavoro alternativo».
E' stato per merito di tuo padre che non hai mai abbandonato gli studi?
«Sì, mi ha spinto lui a non farlo. Veramente l'anno scorso, quando ho iniziato il Mondiale, gli avevo detto che volevo lasciare la scuola perché non era facile fare tutto, specie andare in trasferta per le gare di inizio stagione, che mi facevano perdere un mese di scuola lasciandomi indietro sul programma. Ma lui non ne ha voluto sentire, ed ora sono contento che mi abbia spronato a finire; gli sono molto grato!».
Quindi possiamo dire anche che è stato un "lavoro di famiglia".
«Sì, praticamente lo è da quando correvo nella 65, perché tutti i miei famigliari mi sono sempre stati vicino. Giravamo con un vecchio camper, io ho sempre avuto moto vecchie di almeno due anni, e non avevo nemmeno molti completi per vestirmi, nonostante ciò siamo stati capaci di vincere i campionati 65 e 85 in quelle condizioni. E' bellissimo avere il supporto della propria famiglia alle gare, mi fido di loro, li conosci, è davvero fantastico! Mio padre è ovviamente la figura più importante, ha sempre sacrificato tutto pur di farmi andare in moto e mi sta insegnando tutto quello che ha imparato durante la sua carriera di pilota professionista. Grazie a lui ho dei buoni risultati, e quindi il suo programma funziona».
La tua storia mi ricorda un po’ quella di Antonio Cairoli: anche suo padre, come Bogomir, fece moltissimi sacrifici per portarlo a correre in continente quando era nella categorie minori.
«Noi veniamo dalle campagne della Slovenia, che è un piccolo Paese dell'Est Europa dove il motocross non è molto popolare, e forse per loro è stata un po' la stessa situazione. Adesso da noi il motocross e gli altri sport motoristici stanno migliorando grazie anche alla TV slovena, che ha trasmesso le gare del Mondiale, e molta gente si sta interessando a questo sport, è proposto di più e alla gente piace. E' un grande passo in avanti».
Quindi quando sei tornato a casa a fine campionato, il nome dei Gajser è diventato famoso nella tua città.
«Sì, io abito in un piccolo paese ed è stato bello vedere che sia lì che in Slovenia, dopo tanto duro lavoro mio e di mio padre, ora sanno chi è Tim Gajser. E' bello essere conosciuti, sognavo fin da piccolo di diventare un buon atleta nel motocross, e il sogno si è avverato. Spero di continuare così».
Perché no, sei molto professionale, e in ogni occasione tuo padre non ti lascia solo un attimo!
«Sono io che non lo mollo, voglio che sia sempre accanto a me. Quando sono entrato nel team Honda, una delle mie richieste era che mio padre fosse sempre con me come mio allenatore. E anche mio fratello, perché ci conosciamo molto bene e abbiamo un ottimo rapporto. Lui prepara la mia attrezzatura per la gara e l'allenamento, ma mi fa anche da meccanico quando siamo a casa. In Europa viaggiamo col camper e viene sempre anche mia sorella, è piccolina ma gira già in moto».
Quando sei dietro al cancello per preparati la posizione, ho sempre pensato che tuo padre ti potesse distrarre col suo modo forsennato di parlarti continuamente: ma evidentemente non è così.
«Esatto, il nostro è un legame speciale, nessuno capisce la nostra lingua e il suo modo di parlare a voce molto alta può far sembrare che lui mi stia sgridando: ma questo è proprio il suo modo di parlare. Da fuori può sembrare spaventoso, ma chi ci conosce meglio, e sa quello che mi dice, si fa solo una risata».
Ma come fa ad avere così tante cose da dirti? Si potrebbe scrivere un libro…
«Parla molto per farmi concentrare, mi parla soprattutto delle traiettorie. Lui riguarda molti filmati delle gare precedenti per farmi allenare, li guarda mentre io sono in palestra, o mentre faccio la doccia. Io non ho sempre tempo per vederli, così li guarda lui. Per ogni pista cerca nuove traiettorie nei filmati di MX1 o dell'Europeo. E al cancelletto mi parla di questo».
Pensando a quando eri piccolo, come sei arrivato al titolo?
«E' stata molto dura, lunga, e con molti sacrifici, non solo da parte mia ma anche della mia famiglia. Niente è facile. Nella vita, per ottenere qualsiasi cosa tu voglia realizzare devi partire da zero, e l'inizio è sempre difficile. La chiave, all'inizio, è non arrendersi mai. C'è il campionato e c'è la carriera. In ogni sport ci sono alti e bassi, e quando capiti nei momenti giù devi essere ancora più motivato, essere più tosto e migliorare. La cosa più importante è non perdere mai la motivazione per allenarsi, e anche divertirsi quando si gira in moto: non si deve andare alle gare solo per fare il proprio lavoro, o pensare solo ai soldi. Non sono queste cose a renderti vincente, invece bisogna rilassarsi e godersi quello che si sta facendo, questa è la cosa più importante».
Pensi di avere ancora qualcosa da imparare?
«Certo, c'è sempre da imparare anche quando sei un campione; credo che lo stesso Cairoli, che è otto volte campione del mondo, la pensi come me. Si può sempre far meglio c'è da lavorare su tutto, ad esempio essere in migliore forma fisica per l'anno prossimo. Quest'anno ero abbastanza a posto, ma voglio esserlo ancora di più per il prossimo campionato. Ora ho due stagioni di MX2 alle spalle, ho già molta esperienza nel Mondiale, ed è più facile. Quando ho iniziato era dura, non sapevamo cosa aspettarci, siamo partiti da zero e abbiamo visto cosa succedeva. Adesso è più semplice perché sappiamo già come vanno le cose, sappiamo chi sono gli altri piloti ma lavoreremo comunque sodo per migliorare anche la moto, i giapponesi si stanno impegnando molto e credo che avremo una buona moto».
Hai un pilota che consideri come modello?
«Veramente il mio eroe è sempre stato mio padre, lui sarà sempre il mio campione. I piloti che ho sempre ammirato fin da piccolo sono Ricky Carmichael, Jeremy Mc Grath e Stefan Everts, erano i re a quei tempi».
Cosa mi dici del Supercross?
«Stiamo pianificando di trasferirci negli USA per allenarci e fare dei test, l'idea è di andarci per quindici giorni o un mese, prima del Mondiale. Vediamo come mi trovo, dopodiché decideremo se farmi partecipare alle gare o se aspettare un altro anno, perché il Supercross mi piace moltissimo, ed è uno dei miei sogni poter correre nel campionato Usa».
Cosa farai con il denaro guadagnato per il titolo?
«Compreremo un mezzo per lavorare la pista che costruiremo vicino a casa, e forse anche un'auto per me, probabilmente la Scirocco della Volkswagen».
A chi dedichi il titolo?
«A mio fratello scomparso, il mio numero di gara lo uso in suo onore perché era nato il 24 marzo. Gli dedico tutte le vittorie perché lui mi sta sempre vicino, non è più con noi ma io lo sento come se lo fosse».
Chi è la persona più simpatica nel paddock? Non fare il mio nome perché sono timido.
«Direi il mio meccanico, Nico. E' una brava persona e un bravissimo meccanico».
Cosa mi dici delle ragazze?
«Mi piacciono, e dopo la vittoria del titolo se ne fanno vive ancora di più. A me piacciono ovviamente carine e che abbiano un buon carattere, che ci si possa parlare e che non siano timide. Al momento non ho una ragazza fissa, ma ho solo delle amiche perchè non ho tempo per le fidanzate».
Cosa ti piace ti piace della vita?
«Mi piace vivere in Slovenia, anche se stiamo in un piccolo paese. Sono stato contento di tornare a casa dopo il campionato, ci sono pochi abitanti, è un posto molto tranquillo, si può passeggiare o andare in bici nella foresta. Casa dolce casa, dopo tutte quelle trasferte mi piace starmene a casa e dormire nel mio letto».
E cosa non ti piace?
«Per noi atleti è difficile rimanere ad alto livello, e non mi piacciono le persone pronte a criticare quando non hai dei buoni risultati. Parlo dei fan o delle persone che non mi conoscono direttamente, si aspettano che io vinca sempre. Questo non mi piace, perché quando vinci sono tutti tuoi amici, ma nei giorni storti, dove magari finisci 5° o 6°, nonostante non sia un risultato pessimo sono pronti a dire: ma cosa fa? Non è più bravo come prima, o altre cose del genere».
Da lì puoi selezionare i tuoi veri amici.
«Esattamente, e quelli veri non sono facili da trovare. La famiglia è la più importante, è sempre con te e ti sostiene anche se hai una brutta giornata, ma anche la mia squadra è stata favolosa e mi ha supportato molto».
Un tuo segreto.
«Può sembrare strano, ma io ho molta paura dell'altezza. Tipo quando mi trovo sul tetto della casa».
Sei matto? E come fai quando sei ad un paio di decine di metri di altezza con la moto?
«Non posso farci niente, davvero. Un paio di mesi fa a casa stavamo lavorando ad una tettoia, sono salito sulla copertura ma avevo tanta paura, e mi hanno preso tutti in giro. Lo so che è strano, ma è proprio così!»