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Ciao a tutti! Una mattinata con Michele Rinaldi, invitato a Pontremoli per un bell'incontro col pubblico in occasione del premio letterario Bancarella Sport. Erano anni che non incrociavo il primo pilota italiano capace di vincere un titolo mondiale di motocross; l'impresa risale al 1984, ormai, ma Michele è un riferimento ancora oggi per tutto il cross, la sua squadra è tra le più esperte e preparate del mondiale. Il parmense ha già sessant'anni, quarantasei dei quali dedicati al motocross, e cose da raccontare ne ha tante. Alcune molto originali.
Il tema da lui scelto a Pontremoli era particolare: "Campioni e non". Michele dice che un vero campione è quello che sa ripetersi, come Toni Cairoli o Stefan Everts, mentre lui è semplicemente un... campioncino. È modesto, anche troppo, però conquista tutti per come sa osservare e analizzare le cose. Ha visto piloti di immenso talento, capaci di grandi risultati subito, e buoni piloti che sono diventati veri campioni con il lavoro e la tenacia. Il segreto, ne è sicuro Michele, è credere in se stessi. E non cedere mai.
Aggiunge un elemento, per chiarire meglio il messaggio: noi latini siamo circondati dalle cose belle, abbiamo belle città, belle montagne e spiagge bellissime, meravigliose opere d'arte di tutti i tipi; per noi è molto difficile impegnarci nel duro lavoro che la costruzione di un campione richiede, perché alla prima sconfitta diventa facile buttarsi in qualcos'altro di bello e altrettanto gratificante. In questo senso sono avvantaggiati i nord europei, invece, che di bello intorno hanno poco. È una estremizzazione, precisa Michele, ma che a lui serve per sottolineare il lato più importante del campione: più del talento, conta il sacrificio, la tenacia e il duro lavoro che ci stanno dietro.
Toni Cairoli naturalmente è l'eccezione che conferma la regola, lui è il latino con la mentalità del nordico. Toni viene dalla Sicilia, dove il motocross è quasi inesistente, non ha avuto condizioni di vantaggio, ha osato e si è impegnato, è andato ad allenarsi sulle piste del nord Europa (in questo Michele Rinaldi era stato un precursore), non ha mai mollato e tuttora non molla.
Rinaldi poi attribuisce molta importanza al racconto, alla trasmissione della passione e delle esperienze dagli anziani ai giovani. Tanti ragazzi, troppi, oggi vivono senza passioni: è fondamentale aprire le loro menti e motivarli. Questo è un impegno, sostiene Michele, che tutti i vecchi campioni dovrebbero sentire, qualsiasi sia stato il loro sport. Rinaldi prende le distanze, invece, da quei genitori che vedono i loro bimbi già campioni, e li spingono prestissimo al motocross senza chiedersi nulla. Tanti campioni di motocross (e anche della velocità, aggiungo io) hanno rapporti difficili con il padre. Condividere la passione con un figlio è naturale e giusto, ovviamente, ma occorre equilibrio e rispetto per i più giovani.
A Michele Rinaldi, eterno ragazzo del motocross, resta un solo rammarico: non aver fatto bene alla Parigi-Dakar. Ci arrivò nell'87 con la Suzuki, che allora era la sua marca di riferimento. Il suo fu l'approccio di tutti i crossisti, tanta tecnica e tutto gas; una serie di brutte cadute lo mise ko prima di arrivare ad Agadez, al giro di boa. "Peccato, non avevo il passo giusto -mammette oggi - per quella che era una gara che mi affascinava da anni". In Africa non ci tornò più, a fine anno chiuse anche con le gare, aveva una spalla in disordine e il suo team da organizzare.