Christophe Pourcel: "Il mio migliore avversario? Tony Cairoli"

Christophe Pourcel: "Il mio migliore avversario? Tony Cairoli"
In occasione dei una sua visita in Italia, alla Ufo Plast, il 26enne fuoriclasse francese vincitore del mondiale MX2 nel 2006 ha parlato a ruota libera del mondo Usa, dei GP e della sua vita | M. Zanzani
3 dicembre 2014

Christophe, innanzi tutto sei soddisfatto della tua vita americana?

«Sì, perché mi si adatta meglio a quella che facevo in Europa. E' uno stile diverso, c’è maggiore libertà, e apprezzo molto il fatto di sentirmi al sicuro. Dove abito ora non c'è bisogno di nascondere nulla perché la gente non ruba come succede in Francia perché la polizia fa il suo lavoro».

 

Perché hai scelto la Florida?

«Ho viaggiato dappertutto negli States, specie in California, dove però c'è troppa gente per i miei gusti. A me piacciono i posti tranquilli, dove abito ora il clima è piacevole per cui quando ho avuto l’opportunità di comprare del terreno in Florida non mi sono fatto perdere l’occasione».

 

Ti sei fatto dei nuovi amici dove abiti?

«Si, anche al di fuori del motocross, ad iniziare dai miei vicini che sono molto simpatici. Ci piace andare a mangiare del buon cibo, andiamo a fare compere assieme, alle aste di bestiame, parliamo di mucche, ci divertiamo anche così. o cose del genere. In California invece non avevo nemmeno un amico, me li sono fatti quando mi sono trasferito in Florida dove c’è gente con cui non c’è bisogno di parlare continuamente di soldi».

 

Com'è la tua giornata tipica quando sei a casa?

«Quando sono in periodo di allenamento mi alzo abbastanza presto, preparo il mangiare per i polli e le mucche, poi carico le moto e andiamo a girare. Quando torno nuoto, vado in bici, e cerco di giocare un po' con i cani, ceno alle sette e più tardi vado a dormire. Altrimenti sto con gli amici e andiamo con le moto da strada, ho una Suzuki Gladius 650 e giriamo per divertirci».

 

Che tipo di allenamento fai con la moto da cross?

«Cerco di girare come se corressi molte manche. Mi piacerebbe fare anche delle uscite di enduro come facevo in Francia, ma la Florida è troppo piatta, avrei bisogno di qualche montagna come avevo a casa una volta. Andare in fuoristrada mi diverte perché puoi applicare la tua tecnica, ma se sei in pianura non c'è niente da imparare e quindi non c'è motivo di andarci».
 

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Segui le gare del Mondiale o non ti interessano più di tanto?

«Non seguo molto i GP, perché quando siamo nella stagione di gare non mi rimane molto tempo libero soprattutto a causa dei continui spostamenti. Mi capita di guardarli alla TV quando sono sulla cyclette, ci sono delle belle battaglie ma a volte li trovo noiosi. D’altronde è il motivo per cui me ne sono andato, è stato bello per un anno ma poi non mi divertivo più, così ho deciso di ritornare negli USA anche perché quando ero in Europa mi hanno rubato tutte le moto e altre cose da casa mia. E ho capito che era già arrivato il momento di andarmene».

 

In passato eri conosciuto per il tuo carattere diciamo un po' particolare, ora sei cambiato o sei sempre lo stesso?

«Quando correvo i GP ero giovane, e mi trovavo in una situazione diversa. Ma credo che serva essere un po' speciali, Anche Cairoli è così, se vuoi vincere devi essere una persona particolare, devi sentirti vincente».

 

Una cosa che mi fa ancora sorridere a ripensarci è stato sulla pista portoghese di Agueda, quando non ti sei presentato al primo turno di prove libere e nessuno sapeva dov’eri.

«Non stavo dormendo, è solo che non mi interessava scendere in pista in quel momento per cui me ne stavo a rilassarmi nel mio camper. Le prove duravano quaranta minuti e per me erano troppo lunghe, ne avevamo altrettanti per la manche di qualificazione per cui non vedevo la necessità di farlo perché per me tutto quel tempo in pista era davvero troppo. In America è diverso perché hai pochi giri a disposizione per conoscere la pista, e quindi fin da piccolo ti insegnano ad andare forte sempre, tutte le volte che scendi in pista».

Non posso dire di essere il migliore, vinco abbastanza ma vorrei fare meglio. Quello che mi è mancato è un buon team, una buona moto e un buon supporto


Gli anni passano, ma sulla moto il tuo stile non cambia, come riesci a mantenerti?

«Il talento credo sia la mia arma migliore, e quello non cambia. Se guardiamo i risultati invece non posso dire di essere il migliore, vinco abbastanza ma vorrei fare meglio. Quello che mi è mancato è un buon team, una buona moto e un buon supporto. Se sai che la moto è buona e adatta al tuo stile, allora sai di poter vincere. Poi ti serve un buon allenatore, ma non devi preoccuparti degli altri dettagli. Se invece la tua squadra non è preparata bene o non è sufficientemente professionale hai troppe cose a cui pensare e fai fatica a concentrarti solo sulla vittoria, che è quello che facevo quando ero più giovane perché non avevo tutti questi problemi».

 

Come vanno i rapporti con tuo fratello Sebastien e tuo padre Roger?

«Con mio fratello ho un rapporto normale, i miei genitori ogni tanto vengono in vacanza da me in Florida ma non parliamo di motocross, facciamo le vacanze e basta».

 

Le piste americane sono tanto diverse da quelle europee, ci hai messo parecchio ad abituarti?

«Un po’ sì perché le piste sono molto veloci, ma devi adattartici in fretta. Per mia fortuna imparo velocemente. Certo è che a volte sono veramente troppo veloci, specialmente nella prima sessione di prove quando il terreno è appena preparato, e cadere a quelle velocità non è piacevole. Poi diventa più scavata e va meglio».

 

Quando ti allenii va solo sulle piste da cross o anche su quelle da supercross?

«Durante la stagione di supercross mi alleno su quelle piste, ma quando è il periodo del National non ci vado mai perché è troppo pericoloso e perché dovrei cambiare l'assetto della moto. Con le sospensioni che uso nell’indoor non potrei fare nemmeno un giro su una pista da cross, sono troppo rigide».
 


Quale preferisci delle due specialità?

«Il motocross. Il supercross mi piace ma lo ritengo più un grande spettacolo per il pubblico. Il motocross corrisponde di più a come siamo veramente, a come era il motocross in passato. Se le persone vogliono essere dei piloti come noi, nel motocross possono avvicinarci, il supercross è più una categoria per pochi».

 

Chi è il tuo migliore amico?

«Samantha, la mia ragazza. Lei è la mia migliore amica, quella alla quale posso dire tutto e di cui mi fido. Non ho molti altri buoni amici perché viaggio molto, in passato ne avevo di più ma non ci vediamo quasi mai e così è difficile rimanere amici perché si prendono direzioni diverse».

 

Il pilota che nella tua carriera è stato il più difficile da battere?

«Tony Cairoli: quando ci siamo trovati di fronte era più grande di me, sapeva più cose, aveva più esperienza e trovava sempre un modo per essere in testa. So che la mia velocità non è facile da superare, ma lui si è sempre distinto per le buone partenze, una straordinaria capacità di concentrazione e di lottare sino alla fine. E' bello avere degli avversari così».

 

Anche in America i migliori piloti sono dei lottatori, non si arrendono mai.

«E' vero, ma con Tony è stato diverso. Eravamo anche buoni amici e abbiamo fatto delle belle battaglie, a quei tempi eravamo sono lui ed io, ed è stato spettacolare».

 

Recentemente all'EICMA vi siete incontrati, di cosa avete parlato?

«Le nostre fidanzate hanno chiacchierato tutto il tempo di tante cose diverse, ma anch'io e Tony. Abbiamo parlato molto perché non ci vedevamo da tantissimo tempo, e quando non sei uno contro l'altro in gara, è più bello scambiarsi le opinioni. Ci siamo anche invitati a vicenda nelle nostre case, anche se abbiamo molto tempo libero, ma abbiamo pianificato le visite perché mi piace avere delle brave persone intorno».

 

Qual è il pilota più simpatico che hai incontrato?

«Questa è una domanda difficile, direi Alexandre Renet che frequentavo quando correva i GP prima di diventare campione del mondo di enduro. Era sempre allegro, facevamo delle belle lotte in gara ma poi andavamo a mangiare e a divertirci assieme. L'ho rivisto poco tempo fa, e mi è piaciuto il fatto che i titoli iridati non l'abbiano cambiato affatto».

 

E quello più antipatico, o perlomeno quello che ti piace meno?

«Sulla moto direi Barcia, perché è pericoloso e poco intelligente, perché stringe le curve e taglia fuori i piloti. A volte può succedere di passare di là dal limite, ma come fa lui è scorretto, qualcuno può farsi male. Puoi sorpassare e spintonare, ma far cadere gli altri piloti e pensare anche che sia divertente, non è una bella cosa».

 

La moto che ti è piaciuta di più nella tua carriera?

«La Kawasaki 250 del 2006 con cui ho vinto il Mondiale. Era davvero fantastica, aveva un ottimo motore, sospensioni Öhlins perfette su ogni tipo di terreno e ho vinto sulla sabbia e su qualsiasi altro terreno, mi sentivo molto bene su questa moto».

 

E la peggiore invece?

«La Yamaha 450 del 2011: per me era inguidabile, le sospensioni andavano bene ma il telaio non era adatto al mio stile di guida. Inoltre l'ammortizzatore in quel modello era troppo vicino allo scarico e si bloccava dopo cinque o dieci minuti, se mi fermavo e si raffreddava allora andava a posto. Il problema è che dicevano che era colpa mia, ma era troppo rischioso correre con l'ammortizzatore che poteva bloccarsi in ogni momento e non capivano perché continuavo a fermarmi».
 


La più bella gara che hai corso?

«Ne ho fatte diverse, ma quella che ricordo con più soddisfazione è stata quella nella 250 di Atlanta del 2009. Era la prima gara dopo la caduta che mi aveva lasciato paralizzato e l’ho vinta. E' stata una cosa importante per me, mi sarei accontentato di arrivare tra i primi cinque e quindi quella vittoria è stata una grande emozione. E' stato incredibile riuscire a vincere dopo il brutto e duro periodo che avevo attraversato».

 

E’ proprio il caso di dire che il talento non si esaurisce mai.

«Serve del talento innato, ma poi lo devi migliorare in continuazione o rischi di perderlo. Dal di fuori sembra facile, ma poi quando si sale sulla moto si capisce che non è poi così semplice fare quello che facciamo noi e mantenersi sempre al vertice, ci vuole un sacco di lavoro».

 

Conta molto anche l'aspetto mentale.

«Certo, ma devi anche essere bravo, deve essere l'unione delle due cose».

 

Quando ho sentito che Ryan Villopoto sarebbe venuto a correre i GP ho pensato che forse saresti tornato anche tu.

«Credo che sia una bella cosa avere un pilota americano del suo livello nel Mondiale, vedremo cosa farà. Io invece ho deciso di tornare negli USA e lì rimango».

Se corro, corro negli Stati Uniti, ma se non corro resto negli USA in ogni caso


Non hai ricevuto offerte per tornare in Europa?

«No, ne ho avuta una l'anno scorso, ma ho detto di no. Non è una questione di soldi, è solo che non voglio tornare indietro, mi piace lo stile di vita che ho adesso. Se corro, corro negli Stati Uniti, ma se non corro resto negli USA in ogni caso».

 

Perché pensi che Villopoto si sia deciso di venire?

«Non saprei, il supercross e il motocross negli USA sono molto rischiosi e ci sono molte gare da fare, magari lo pagano la stessa cifra per fare solo il Mondiale, può viaggiare, divertirsi per un altro anno. E poi penso sia giusto ad un certo punto dare una svolta alla tua vita, cambiare campionato, imparare cose diverse e cercare di vincere. Nei suoi panni avrei firmato per due anni, per puntare al titolo nella seconda stagione. Il primo anno credo che sarà molto duro per lui, forse dopo l’ultimo Nazioni si è reso conto che anche i piloti europei sono molto veloci, non solo quelli americani. I primi cinque in Europa sono incredibili».

 

I tuoi obiettivi per il prossimo anno?

«Li devo ancora definire, anche se credo che ormai sia un po' tardi per disputare la stagione supercross. Avevo chiesto alla Kawasaki ma hanno poi preso Will Hahn e quindi sono già a posto. Io però voglio stare in un buon team, con una buona moto, non voglio fare come quest'anno con la Yamaha che ho dovuto impararla di nuovo e che non si adatta proprio bene per il mio stile. Credo che servano diversi anni sulla stessa moto per diventare bravi, per cui avrei voluto guidare una Kawasaki che conosco bene ormai da anni ma non è stato possibile. Per il supercross quindi sono quasi in ritardo, ma per il National voglio essere su una delle moto migliori, anche se non una Yamaha, la cilindrata non mi importa ma se è una 250 punterò a vincere il titolo. Credo di essere andato bene quest'anno, ma voglio essere almeno tra i primi tre nel campionato 250, e penso di essere stato ostacolato dalla moto. Non perché la moto è scarsa, ma perché io e questa moto non stiamo bene insieme, è veloce ma non è adatta a me. So che la Kawasaki può andare bene per me, e credo che sia la stessa cosa anche con la Suzuki perché il telaio è molto simile. Anche le Honda Geico pare siano buone moto, ma non le ho mai provate e quindi non sono sicuro».

 

Puoi quindi guidare senza problemi sia la 450 che la 250?

«Per la 250 devo allenarmi un po' di più, perché il mio stile è più adatto alla 450 con cui in generale ho avuto risultati quasi migliori tra i quali la vittoria di un paio di GP senza sforzo. In questo momento se dovessi sceglierei opterei per la 250 perché vincere il National di questa cilindrata è uno dei miei principali obiettivi prima di passare alla 450, o prima di ritirarmi. Potrei farlo anche adesso, d’altronde ho vinto un Mondiale e due titoli negli USA e sono già dei risultati notevoli, ma il pubblico vuole sempre di più, noi ci proviamo ma non è facile».
 


Quali sono i tuoi piani per il futuro, continuare finché ti diverti?

«Il problema è il sistema delle industrie, invece di sceglierle i piloti in base ai risultati e alla popolarità che possono portare al team spesso preferiscono le persone perché sono loro amici. Nel 2010, con due titoli vinti, volevo firmare con Kawasaki ma Villopoto convinse il team manager Mike Fisher a prendere come compagno di squadra Weimer perché non voleva qualcuno in squadra che potesse batterlo. Ma non è corretto, avrebbero dovuto scegliere il migliore a disposizione, non un amico, così come mi è successo anche quest’anno con Wil Hahn. Io vado avanti per la mia strada ma non è affatto simpatico, ti fa sentire male, ti fa domandare: perché dovrei continuare se ogni volta mi scartano?».

 

Qual è il tuo sogno?

«Credo che le cose più importanti siano essere in buona salute e avere una vita serena, in fondo il motocross è solo divertimento. Vedo molte persone malate che non hanno una vita felice, oppure altre che non se la gustano perché è troppo occupata a fare troppe cose, poi magari si ammalano e non si sono goduti niente della vita. Così io cerco di divertirmi e circondarmi di buone persone. Adesso che ho 26 anni, questo è quello che cerco».

 

 

Bio Christophe Pourcel

Nato a Marsiglia (Francia) il 16 agosto 1988

Residente a Groveland, Florida (USA)

2005 5° campionato Mondiale MX2

2006 1° campionato Mondiale MX2

2007 Debutto SX Usa vincendo la Lites a Phoenix, Arizona; 3° campionato Mondiale MX2 nonostante il grave incidente nel GP d’Irlanda che lo lascia parzialmente paralizzato

2008 Fermo per recupero fisico

2009 1° SX Lites Costa East, 2° MX 250

2010 1° SX Lites Costa East, 3° MX 250

2011 Corre nella SX 450 con Honda Geico, Yamaha Rockstar e Yamaha Moto Concept ma è limitato da problemi alla schiena. Disputa gli ultimi 4 GP vincendo 3 manche e salendo 2 volte sul podio

2012 Fonda il team CP 377 Kawasaki Monster Energy, 4° campionato Mondiale MX1

2013 Fermo per infortunio al SX di Bercy

2014 6° MX 250 con Yamaha Valli, non ha disputato il Supercross

 

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