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Mi piace fare il bastian contrario, lo ammetto. Qualche volta mi sono bruciato, e ve ne parlerò nei prossimi giorni, ma molte volte ho avuto ragione. Se ne ho la possibilità mi prendo sempre il lusso di aspettare qualche giorno prima di commentare un evento clamoroso, come ad esempio quanto avvenuto nella gara di Supercross di sabato scorso ad Anaheim 2.
Voglio vedere cosa dicono gli altri, voglio trovare una potenziale falla nel loro ragionamento (che spesso è a caldo, dettato dalle deadline inesistenti del “giornalismo internet” del web) e voglio provare a fare la voce fuori dal coro. Non lo faccio solo per il gusto di essere diverso, mi sento genuinamente spinto a cercare una visione diversa dei fatti, per offrire ai lettori lo spunto per una interpretazione alternativa a quanto fatto diligentemente filtrare dalla maggior parte dei media, specialmente americani.
La polemica di questa settimana, ovviamente, è la bandiera nera rifilata in finale a Reed, dopo la sua reazione al contatto con Canard. Andiamo per gradi: se non avete visto l’episodio incriminato o vivete sulla luna o per gli ultimi quattro giorni la vostra connessione internet non ha funzionato. Facebook, Twitter, Instagram e letteralmente qualsiasi sito web è pieno zeppo di immagini e commenti a riguardo.
Comunque, ecco in due parole quello che è successo: Trey Canard ha steso Reed nel tentativo di superarlo ed è a sua volta caduto. Al momento di rialzarsi e ripartire, Reed, che era ripassato davanti, ha dato una spallata a Canard, spingendolo all’esterno e facendolo cadere contro le balle di protezione. Innanzi tutto due cose: Canard non mi è sembrato centrare Reed apposta. Trey non è tipo da tirarsi indietro (chiedetelo a Villopoto quando entrambi correvano in 250) ma allo stesso tempo credo che questa volta abbia semplicemente sbagliato. Lui stesso ha ammesso di aver pensato che Reed andasse a curvare all’esterno, e invece ha finito per pararglisi davanti, generando la collisione e la caduta. Visto da fuori l’incidente non è sembrato altro che un contatto fortuito e secondo me la cosa sarebbe dovuta finire lì. Non per Reed, che ha voluto vendicarsi “accompagnando” Canard fuori pista. E qui è arrivata la bandiera nera, di cui parlo più avanti.
Sui vari media si legge che Reed abbia solo dato una innocente spallata a Trey, il quale però in quel momento stava togliendosi una lente a strappo e dunque aveva una mano sola sul manubrio. Il risultato è stato la sua caduta. Riguardando il replay a me sembra invece che Reed non si limiti ad una semplice spallata ma letteralmente accompagni Canard verso l’esterno. Lo fa in modo talmente lento che Seely, che in quel momento li seguiva, ha il tempo di passare entrambi all’interno. Io credo che Reed abbia sbagliato, il suo atto è completamente gratuito e non rientra tra i contatti di gara, ma rappresenta una vera e propria reazione, pure goffa. E il gesto è così palese che la direzione di gara non poteva restare a guardare.
Eccoci alla bandiera nera: il segnale di squalifica è stato dato a Reed da John Gallagher, che da anni rappresenta la FIM alle gare di Supercross AMA. Credo che la parola magica qui sia FIM, non “bandiera nera”. Non si è ancora infatti sbollita la polemica sulla squalifica per doping di Stewart che la lunga mano della FIM ancora una volta arriva a tirare uno schiaffone in faccia agli americani, in casa loro. Apriti cielo! Ed ecco che in men che non si dica è partita l’ennesima crociata. Reed che intasa Twitter di messaggi ironici sulla bandiera nera, arrivando a promuovere una rivolta online (per modo di dire) e dicendo che a Oakland vestirà un completo nero e una patch sul retro dei pantaloni che recita “black flag”.
Il popolo del motocross lo sostiene ciecamente e la sensazione generale è quella di una caccia alle streghe contro la FIM.
Gallagher si è difeso dicendo che ha sventolato la bandiera nera perché riteneva che il gesto di Reed avrebbe potuto generare a sua volta la razione di Canard. A chi dice “impossibile, non sono ragazzini” rispondo di andare a riguardarsi il video di Atlanta 2011, con le belle sportellate tra Stewart e… Reed.
Io credo che Reed abbia sbagliato, il suo atto è completamente gratuito e non rientra tra i contatti di gara, ma rappresenta una vera e propria reazione, pure goffa
Forse fa parte dello spettacolo, ma certi spettacoli non dovrebbero far parte dello sport professionistico. In fondo credo che Reed se la sia un po’ cercata in tutti questi anni. Ci sono molti piloti molto più “duri” di lui, uno tra tutti Andrew Short, che da fuori sembra un cherubino ma in pista si trasforma in un demonio. Lo sapevate che è talmente difficile da superare che Carmichael e Stewart lo chiamano “The Smiling Assassin”? Se gli dai un colpetto ti aspetta al varco e ti abbatte come lo Zeppelin. Anche qui YouTube insegna: andatevi a vedere i filmati delle sue “lezioni di danza” impartite a Broc Tickle nelle prime gare del 2014.
E non dimentichiamoci quegli stinchi di santo di Josh Hansen, Jason Lawrence, Justin Barcia, Mike Alessi, lo stesso Stewart e suo fratello Malclom, e via dicendo. Ma loro, tutti loro, lo fanno zitti zitti, senza promettere nulla e quasi mai con gesti troppo plateali (beh, insomma…).
Reed ha una sacco di precedenti che purtroppo da qualche anno lo tengono al centro del mirino. Una storia di episodi in pista, sul podio e ai microfoni dei giornalisti, iniziata nella stagione 2009 dopo la gara di Jacksonville. Sul podio dopo la gara quasi arrivò alle mani con Stewart, a causa di un sorpasso aereo davvero pericoloso messo in atto dall’allora pilota Yamaha. Reed da quella volta ha iniziato a promettere fuoco e fiamme ma l’unica “vendetta” che abbozzò fu un timido colpetto a Stewart durante la finale di Las Vegas, quando il titolo 2009 era ancora in palio. James fece una breve divagazione fuori pista e rientrò alle spalle dell’australiano, controllandolo fino all’arrivo ed aggiudicandosi il campionato. A distanza di anni ancora mi chiedo perché Reed non abbia davvero buttato fuori Stewart quella volta: dopo tante promesse sarebbe stato il momento di dargli “una lezione” e andare a vincere il titolo, lasciando poi alla AMA e alla FIM la difficile scelta se squalificarlo o meno e consegnare invece la corona all’avversario… boh!
Tornando a sabato, la bandiera nera sicuramente rappresenterà d’ora in poi un precedente e vedremo sempre più piloti e team manager invocarla a gran voce dopo il minimo contatto: purtroppo non vedo alternative e sicuramente lo sport un po’ ne risentirà.
Un’ultima osservazione per chiudere: a chi dice che nelle ultime tre gare si siano visti tanti sorpassi duri e “takeout” e si chiede come mai vengano usati due pesi e due misure nel caso di Reed rispondo. Non fate come quegli automobilisti fermati dalla Polstrada, che mentre estraggono patente e libretto piangono miseria: “gaurdaquantovannovelocituttiglialtriperchenonfermiancheloro”.
Peace & Love, a presto.