“Belin, che paddock!”. La recensione del libro di Carlo Pernat

“Belin, che paddock!”. La recensione del libro di Carlo Pernat
Il libro di Pernat è un bel quadro del mondo della MotoGP, con scorribande nella Parigi-Dakar, nel ciclismo e nel calcio. Spudorato e divertente come il suo autore, manager al centro di mille trattative
26 giugno 2019

Pernat è un amico, lo dico subito, lo conosco fin da quando era in Piaggio negli anni Settanta; poi Gilera, poi Cagiva, poi Aprilia. Oggi però non valuto il manager, ma lo scrittore, e dunque sarò obiettivo.

E’ successo che Carlo ha raccontato tutto quello che gli veniva in mente a Massimo Calandri di Repubblica, uno che sa scrivere bene; il giornalista ha registrato la conversazione e poi insieme hanno fatto una selezione. “Belìn, che paddock” è un libro molto divertente da leggere, ci sono pagine esilaranti, ce ne sono alcune molto interessanti (vi abbiamo anticipato sul sito la storia della scelta Ducati tra Dovi e Iannone, poi gli errori di Biaggi con la Honda nel lontano 1998), ci sono alcuni passaggi politicamente scorretti. Cose che non avrei mai scritto e non so nemmeno se sia giusto scriverle.

È un coloratissimo quadro del paddock e delle sue leggi, della Parigi-Dakar e anche del mondo del calcio che, Carlo ha battuto a lungo. Con le rivelazioni, le malefatte, molti retroscena più o meno edificanti di Rossi, Biaggi, Capirossi. Carletto rischia qualche querela, secondo me, ma forse non gliene importa molto, sulla controcopertina compare il suo motto tra virgolette: "la verità è che me ne sono sempre sbattuto i coglioni". Mondadori è l’editore, prezzo di copertina venti euro, 286 pagine.

 

La copertina del libro
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Gliel'ho detto, al telefono: nel tuo libro ci sono diversi ricordi inesatti. La bambola gonfiabile del giovanissimo Valentino era sbucata al Mugello, per dirne una, e Carletto l'ha trasferita a Barcellona. Poi nel libro mi cita tre volte, e la racconta giusta soltanto per una: effettivamente lo avvertii quando Randy Mamola stava scappando da Suzuka col taxi prima della corsa, gli ho salvato la trasferta.

Ma poi mi mette insieme ad altri su un aereo per Parigi con la visita a Hubert Auriol in ospedale (due caviglie spezzate alla Dakar), certo si confonde, e mi infila addirittura tra i papabili per il ruolo di direttore sportivo Cagiva, che è una pura invenzione.

Dico tutto questo solo per avvertire i lettori: non so se i suoi racconti siano attendibili al cento per cento, Pernat è un’iperbole vivente, ama esagerare, colorare, estremizzare.

“Belin che paddock” si identifica con il suo autore, sembra di sentirlo parlare. Pernat è intelligente, brillante, spiritoso, è stato al centro di tante trattative importanti, conosce tutti ed è un venditore nato.
Un bel drittone: ammette di aver combinato contratti poco favorevoli ai piloti e vantaggiosi per le Case quando lavorava per quelle, e poi ottenuto contratti ipervantaggiosi per i piloti quando lavorava per loro. Qualcuno lo detesterà, altri lo adorano, Capirossi dovrebbe fargli un monumento, e del resto Carlo lo definisce "un fratello minore". E poi c’è Il Sic. I bei dialoghi con Marco Simoncelli spuntano a tradimento quando meno te lo aspetti.
Sarà anche cinico, il Pernat, ma questo ricordo è struggente, e al suo libro regala un valore speciale.

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