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Un'altra avventura dei nostri amici di 125stradali.com. Questa volta in sella a una Cagiva Tamanaco del 1988.
Il Delfaccio. Nel 125 Club Italia ormai lo chiamiamo così. Leggendo il racconto del nostro mitico Massimo Sebastiano Barbagallo in arte “Delfo74”, forse rimarrete colpiti dal fatto che un viaggio che farebbe comunque impressione anche se fatto a bordo di una diffusa BMW GS… sia stato intrapreso a bordo di una Cagiva Tamanaco 125 del 1988 e senza alcun abbigliamento particolare o alcuna dotazione tecnica specifica. Si… perché Delfo per scelta possiede un telefono anni 90 ed un abbigliamento volutamente non motociclistico che mi fa sempre tornare in mente la descrizione che Paolo Villaggio nel film Fantozzi dava al completo da tennis che il ragioniere indossava nella partita contro Filini. Volendo parafrasarlo: “Barbagallo: maglietta della salute, jeans da passeggio, scarpa penosamente normale, casco da scooter made in china preso al discount, giaccone da moto modello stagione 1912”. Ecco, questo è Delfo. Colui che si lancia in un viaggio che per assenza di preparazione e precarietà delle condizioni del mezzo farebbe paura ai più coraggiosi. Ma lui è così e come lo descrive il nostro Socio Mauro Arrigoni di Pavia, che lo ha sempre aiutato per tutto il viaggio fornendogli validi consigli su come cercare di tenere insieme la Tamanaco: “Se Delfo avesse voluto fare un viaggio “in pantofole” avrebbe potuto appoggiare le chiappe su una BMW o una enduro di ultima generazione, ovviamente 4 Tempi, e partire senza il minimo dubbio, aggiungiamoci che poteva agganciare al manubrio un navigatore GPS e infilarsi in tasca uno smart phone e il gioco sarebbe stato fatto, avrebbe fatto un normalissimo viaggio di cui nessuno avrebbe parlato. Ma Delfo, invece, ha inforcato una Cagiva Tamanaco 125 2Tempi del 1988, si e’ stampato su qualche foglio qualche indicazione sulle strade ed un paio di cartine, ha messo in tasca un telefono poco piu’ avanzato dello swatch anni “90, macchina fotografica digitale e poi e’ partito all’avventura!!! Italia, Francia, Inghilterra, Scozia, quasi Svizzera e Germania: Delfo e’ stato inarrestabile, solo due inconvenienti “importanti” lo hanno rallentato, il surriscaldamento del motore e la valvola di scarico rotta ma che per fortuna non ha compromesso irreparabilmente il pistone. Un paio di incidenti, una coppia di pastiglie freno andate e gli occhiali donati involontariamente ad uno sconosciuto… Ma e’ tornato a casa con la sua Tamanaco! Quello che mi ha colpito nel corso delle nostre chiacchierate telefoniche, e’ stato lo spirito sempre positivo nonostante le difficolta/inconvenienti meccanici e la conoscenza delle lingue ovunque si trovasse. Quello che mi ha invece scioccato e’ la rapidita’ di spostamento del Delfaccio: un giorno mi ha chiamato dal mezzo della Francia alle 18, alle 8:30 del giorno dopo mi ha richiamato da Aosta!!!! Qualche giorno prima stessa cosa piu’ o meno…mi chiama da Londra… il tempo di cenare e farmi una dormita e lui era in Francia!!”.
Con piacere Vi comunichiamo che da oggi il nostro Sebastiano Massimo Barbagallo è Socio Benemerito del 125 Club Italia, assieme a personaggi del calibro di Ivano Beggio, Loris Reggiani e Michele Verrini. Grazie Delfo e attendiamo la terza puntata del tuo viaggio con la nuova Tamanaco che hai recentemente comprato (ne ha tre!!). E casomai un giorno decidesse di pensionare le sue tre Tamanaco e relegarle a giretti locali in Sicilia (in media fa 500km in un giorno quando esce la Domenica per le strade locali…) e di comprare una enduro moderna ben attrezzata… beh, sono sicuro che ce lo ritroveremmo come minimo in quel di Vladivostok… ovviamente con jeans e scarpa da passeggio!
Qualcuno di voi avrà letto probabilmente su Moto.it il reportage dell’Operazione Tamanaco Selvaggio, un ampio tour dell’Europa occidentale che ho realizzato l’estate scorsa in sella a una stupenda Cagiva 125 Tamanaco Lucky Explorer. Durante quel viaggio, ho avuto modo di attraversare alcuni dei luoghi più belli e interessanti di Francia, Germania, Belgio e Olanda e di raggiungere la meta che mi ero prefissato: l’Inghilterra. Le emozioni di quel viaggio resteranno ricordi indelebili nella mia mente, perché si è trattato della mia prima avventura motociclistica, per di più realizzata con la moto che avevo desiderato (senza averla) a 16 anni. E mi sono divertito talmente tanto che quest’anno ho voluto ripetere quell’esperienza così coinvolgente, andando alla scoperta di tutto ciò che, per ragioni di tempo, ero stato costretto a trascurare l’anno precedente. Ne è risultato un viaggio (se possibile) ancora più grandioso di quello dell’anno scorso e che rappresenta certamente l’impresa (finora) più avventurosa della mia vita. Per questo, ho deciso di raccontarvene, anche nella speranza che qualche altro motociclista (e, perché no, 125ista) voglia realizzare un viaggio simile prendendo magari spunto dal mio racconto, e ringrazio Moto.it per avermene dato l’opportunità pure questa volta.
Anche quest’anno, per il “Ritorno del Tamanaco Selvaggio”, ho studiato un itinerario adatto a una 125 (che riducesse quindi al minimo indispensabile i tratti autostradali, peraltro noiosi e forse anche pericolosi per una moto così piccola) e alle mie esigenze (abitando in Sicilia, ho preferito evitare la risalita dell’intera Penisola), combinando un tratto in nave (da Palermo a Genova) a una serie di tappe attraverso alcuni dei luoghi più affascinanti dell’Europa occidentale (la Costa Azzurra, la Provenza, le Gole dell’Ardèche, la Normandia, l’Inghilterra, il Galles, le Ardenne).
Ho iniziato visitando la Riviera ligure di Ponente, talmente bella da essere utilizzata spesso come location negli spot di automobili, specie nella zona attorno a Savona. Come l’anno scorso, in questa prima fase del viaggio sono stato accompagnato dagli amici Andrea e Luca, alla guida rispettivamente di un’Aprilia Pegaso e di un Garelli Tiger. Per attraversare il confine con la Francia, quest’anno ho preferito non passare da Ventimiglia (in generale, ho evitato accuratamente, per ovvie ragioni, di attraversare gli stessi posti visitati l’anno scorso), bensì da una zona di montagna più tranquilla e molto più suggestiva, tra Breil-sur-Roya e Sospel. Ho quindi proseguito il cammino scendendo verso Nizza (dove ho scattato alcune belle foto lungo la vivacissima Promenade des Anglais e davanti alla stupenda chiesa russa ortodossa di San Nicola) e poi lungo la Costa Azzurra attraversando Cannes, Antibes e Saint Tropez.
Chi passasse da quelle parti in moto si troverebbe davanti una delle strade panoramiche più belle del mondo, vale a dire la cosiddetta “Route des Crêtes” (la dipartimentale 141, nel tratto che collega Cassis e La Ciotat), che si snoda in cima ad alte scogliere a strapiombo sul mare, con panorami da mozzare il fiato. Purtroppo, quando vi sono giunto, l’avevano appena chiusa a causa di un grosso incendio. Ho provato ad eludere il divieto facendo finta di non comprendere le indicazioni segnaletiche, ma ad un certo punto mi sono imbattuto in un posto di blocco e ho dovuto fare marcia indietro.
Per la notte ho trovato riparo a Marsiglia, proprio dietro a uno dei luoghi più “iconici” e affascinanti di questa stupenda città: il Porto Vecchio (“Vieux Port”). Sono stato fortunato, perché così ho potuto visitare la parte più animata e pittoresca della “cité phocéenne” alle prime luci dell’alba, ossia nel periodo ideale per ottenere le foto più suggestive della zona del Vieux Port, che è consigliabile scattare dal sagrato della chiesa di Saint Laurent (cosiddetto Belvedère Saint Laurent) in modo da ritrarre sullo sfondo l’icona principale di Marsiglia (la basilica di Notre-Dame-de-la-Garde, per i marsigliesi semplicemente la “Bonne Mère”).
Proprio a fianco del Porto Vecchio si trova il quartiere più antico di Marsiglia (il Panier), che conviene ugualmente visitare di mattina presto in modo da potersi muovere agevolmente tra gli stretti e folkloristici vicoli che lo attraversano. Dalla Costa Azzurra, volendo dirigermi verso Nord ho scelto di passare per la stupenda regione della Provenza e in particolare per la zona del Luberon (che si trova ad ovest del fiume Durance), con i suoi caratteristici “villages perchés” (abbarbicati su colline e montagne), scattando alcune belle foto specialmente a Bonnieux (nei luoghi del film “Un’ottima annata”) e a Gordes (considerato uno dei villaggi più belli di Francia).
Poco sopra, un’altra icona della Provenza è indubbiamente il Ponte di Avignone, reso celebre dall’omonima canzone scritta nel XV secolo. Proseguendo verso Nord-Ovest, son passato per le Gole dell’Ardèche, un autentico paradiso naturale attraversato da una strada sinuosa e ottimamente asfaltata che offre panorami mozzafiato praticamente ogni 300 metri (mi sono fermato in almeno una dozzina di belvedere, uno più bello dell’altro).Ancora più a Nord, si entra nella Valle della Loira, celebre per i suoi stupendi castelli. Le foto più belle le ho scattate sullo sfondo del più imponente (e quasi certamente del più bello) di essi: il castello di Chambord, situato tra Tours e Orléans.
Da lì, il passo verso la Normandia è breve, e conviene sicuramente iniziarne la visita da una delle attrazioni turistiche più importanti e visitate di Francia: il Mont-Saint-Michel. Mi è apparso all’improvviso in controluce come uno spettro mentre procedevo nella piatta campagna normanna e onestamente mi ha impressionato fin da subito con il suo aspetto sinistro.
Strabiliato da quella visione quasi inquietante, ho scattato letteralmente una foto ogni 100 metri mentre mi avvicinavo al maestoso castello situato su un’isola separata dalla terraferma da un viottolo periodicamente sommerso dall’alta marea. Chiaramente il mio obiettivo era quello di avvinarmi il più possibile con la mia Tamanaco in modo da scattare una foto di quelle da incorniciare. Purtroppo, però, a un certo punto vengo fermato dalla Gendarmerie (la Francia è in stato di massima all’erta (“état d’urgence”) a causa del recente attentato di Nizza e scoprirò poco dopo, a mie spese, che il Mont-Saint-Michel è probabilmente il monumento più sorvegliato di Francia, beneficiando addirittura di un’apposita caserma della Gendarmerie situata proprio accanto al castello): ai mezzi a motore è vietato avvicinarsi all’isola e occorre parcheggiare l’auto o la moto a due chilometri dal castello prendendo poi la navetta che conduce nei pressi dell’isola. Deluso, mi guardo intorno per cercare di aggirare il divieto e vengo raggiunto, sul bordo di un esteso campo antistante il Mont-Saint-Michel, da un giovane motociclista parigino, anch’egli munito di moto 125 e ugualmente contrariato dal divieto di passare oltre con la propria moto. Confabuliamo brevemente e decidiamo di passare subito all’azione: si va per campi e al diavolo la Gendarmerie! Tra il dire e il fare c’è però di mezzo il mare, e addentrandoci nel campo notiamo che il terreno si fa sempre più pesante e gli sbarramenti (con ogni probabilità, a “difesa” del castello) sempre più impervi. Finiamo entrambi per terra (tra l’altro, il giovane parigino dispone di una 125 stradale!) e, mentre lui si rialza quasi subito, io, a causa dell’età non più tenerissima, mi ammacco per bene e ho bisogno del suo aiuto per rimettermi in piedi. Decidiamo comunque di proseguire (anche perché ci eravamo ormai spinti talmente addentro che tornare indietro ci sembrava irragionevole) e, superata l’ultima siepe (il Castello era ormai a un tiro di schioppo e stavamo quasi per estrarre le nostre fotocamere per la foto del secolo), troviamo appostata pazientemente ad attenderci una camionetta della Gendarmerie. Quasi certamente, come realizziamo poco dopo, i gendarmi si erano goduti tutta la scena (cadute comprese) dalla loro caserma (che da lontano ci sembrava una dépendance del Castello) e sono venuti ad aspettarci con calma all’uscita del campo… Veniamo minuziosamente perquisiti (noi e i nostri bagagli) e pesantemente redarguiti, ma fortunatamente non ci viene applicata alcuna sanzione (io, come al solito, faccio finta di non comprendere la lingua – il che quasi sempre funziona, in questi casi – e ai gendarmi evidentemente interessava più che altro accertarsi che non fossimo terroristi o gente in cerca di guai). Morale della favola, la “foto della vita” non siamo riusciti a scattarla, e siamo stati costretti a fare marcia indietro fino al parcheggio e a ritornare poi a bordo della navetta come dei “comuni turisti”…
Chiuso questo capitolo tragicomico, e salutato il giovane motociclista parigino (che avrebbe poi proseguito il suo viaggio verso la Bretagna), mi dirigo verso la costa settentrionale normanna, teatro di uno degli eventi bellici più importanti della storia del Novecento: lo sbarco in Normandia. Da appassionato di storia militare, e non avendo mai visitato quelle zone fatali in cui si decise in poche ore il destino della seconda guerra mondiale, ho vissuto una delle esperienze più emozionanti della mia vita. Sorvolo sui dettagli per non annoiare la maggior parte di voi e lascio parlare al mio posto alcune delle foto che ho scattato (prevalentemente a Saint-Mère-Eglise – il primo villaggio francese liberato dai paracadutisti americani poche ore prima dello Sbarco, sulla cui chiesa è presente un manichino che ricorda il paracadutista rimasto impigliato nel campanile e fintosi morto per sfuggire alle pallottole dei tedeschi -, a Utah Beach e a Omaha Beach). Un aneddoto di carattere personale voglio però raccontarvelo: ad Avranches (Normandia), dopo essermi sfilati (per l’ennesima volta, dall’inizio del viaggio) gli occhiali da vista in modo da non piegarne la montatura all’atto di infilare il casco, li poso e li dimentico su un muretto accanto al carro armato americano presente su una rotonda. Vado a prendere un caffè al bar di fronte e, quando mi accorgo finalmente di aver lasciato gli occhiali, ritorno immediatamente dove li avevo posati nella ragionevole aspettativa di trovarli ancora lì. Nel frattempo, tuttavia, qualcuno aveva deciso di rimuoverli (per qualche strana ragione, visto che si trattava di occhiali da vista) e mi è quindi toccato proseguire il viaggio senza occhiali e senza la possibilità di rifarli poiché a ferragosto anche gli ottici francesi vanno in vacanza. Dopo aver viaggiato (con un certo fastidio) per un paio di giorni senza alcun’altra protezione per gli occhi all’infuori della visiera del casco (che con quel caldo lasciavo spesso sollevata), ho acquistato un paio di occhiali di plastica per ripararmi almeno dagli insetti e dalla polvere. La vista residua mi ha permesso di viaggiare in relativa sicurezza, ma forse non sempre mi ha consentito di scorgere da lontano gli onnipresenti e ben mimetizzati autovelox (“radar”) francesi…
Chiusa l’ampia parentesi storico-militare in Normandia, tocca a me, stavolta, sbarcare nella “perfida Albione” (come la chiamava qualcuno), e lo faccio con il preciso intento di realizzare quel vasto giro delle contee inglesi e gallesi che l’anno scorso non sono riuscito ad effettuare essendo rimasto per troppo tempo a Londra a casa di un amico fraterno. Appena sbarcato, dopo la foto di rito alle bianche scogliere di Dover [FOTO 20: Dover], mi dirigo verso la città turistica di Brighton per ammirarne (e fotografarne) il celebre molo e l’altrettanto famoso Royal Pavilion, per poi proseguire lungo l’English Riviera visitando Portsmouth, Bournemouth, Dorchester e Torquay.
Siamo in piena stagione estiva, e il traffico sulle strade dell’Inghilterra meridionale non ha nulla da invidiare a quello della Costa Azzurra. La moto, costretta per molti chilometri (anzi, per molte miglia) a rimanere incolonnata nel traffico, si surriscalda continuamente (anche perché, come scoprirò diversi giorni dopo in Lorena sulla via del rientro in Italia, l’impianto di raffreddamento a liquido non ha in pratica mai funzionato!) e ciò mi sconsiglia di proseguire il viaggio, come avrei voluto, nell’adiacente Cornovaglia (meta turistica tra le più affollate del Regno Unito). Decido di accorciare quindi l’itinerario, dirigendomi direttamente verso Salisbury (città medievale famosa soprattutto per la bella cattedrale) e passando poi da Stonehenge.
Qui sono rimasto un po’ deluso, perché non mi è stato possibile avvicinarmi più di tanto con la moto ai celebri megaliti: di recente sono state adottate misure di sicurezza molto rigorose e, da quanto ho appreso dagli addetti alla security, il posto più vicino ai megaliti raggiungibile con un mezzo a motore privato è quello da cui ho scattato la foto che correda questo articolo (per vedere da vicino i megaliti occorre recarvisi a piedi e sborsare la bellezza di 18 sterline).
Ho quindi proseguito il mio “tour round-the-clock” della Gran Bretagna visitando la cittadina termale e universitaria di Bath, fotografandovi il celebre Royal Crescent realizzato con la tipica pietra locale color crema e gustandovi un paio di “buns” (ciambelle) nel famoso locale di Sally Lunn, ospitato nella più antica casa di Bath: sono ottime sia quelle dolci aromatizzate al limone, sia quelle salate.
Se passate da lì, non perdetevele! Poco sopra Bath, nel Gloucestershire, c’è la pittoresca regione dei Cotswolds, “quintessentially English”, che è una vera delizia per gli occhi con i suoi innumerevoli villaggi dalle casette color miele e dai cottage con i tetti di paglia. Ho scattato foto molto suggestive a Bibury (da molti ritenuto il più bel villaggio inglese; la fila di casette (Arlington Row) ritratta in una delle mie foto rappresenta uno dei posti più fotografati del Regno Unito) e a Bourton-on-the-Water, un incantevole villaggio soprannominato la “Venezia dei Cotswolds” (in cui ha sede la più famosa profumeria del Regno Unito, fornitrice della Regina Elisabetta).
I Cotswolds confinano ad ovest con il Galles, che sono determinato questa volta ad includere nel mio tour della Gran Bretagna. Per accedervi ho scelto la strada panoramica (A44) che collega Worcester e Aberystwyth. Quest’ultima, adagiata sulla costa, presenta un bel lungomare (la “Promenade”, noto ritrovo per motociclisti) che ho ritratto sia da vicino, sia dalle alture panoramiche che sovrastano il grazioso resort gallese.
Da lì, mi sono recato verso Nord attraversando il Parco nazionale di Snowdonia (imperdibile per i motociclisti che visitino il Galles!), che offre stupendi paesaggi alpini e strade ben asfaltate e poco trafficate. All’estremità Nord-occidentale del Galles vi è una grossa isola (Anglesey) collegata alla terraferma da due ponti, uno dei quali veramente bello (il Menai Bridge, posto sul Menai Straits). È lì che ho ritratto quello che, secondo molti (tra gli altri, il comico e viaggiatore Rory Bremner, nel suo simpatico documentario a puntate intitolato “Great British Views”, da cui ho tratto ispirazione e preziose informazioni per la parte britannica del mio viaggio), è il panorama più “iconico” del Galles: il Menai Bridge sullo sfondo dei monti di Snowdonia.
Ed è lì che mi sono imbattuto nel paese con il nome più lungo d’Europa (Llanfair………………………..gogogoch). Mentre gironzolo per l’isola in cerca di una stanza per la notte, scorgo un cartello che annuncia l’ingresso in un villaggio declamando trattarsi del “Village with the long name”.
Però, stranamente, il nome del villaggio scritto sul cartello non mi sembra poi così tanto lungo, e chiedo lumi ad un passante. Apprendo che il nome impresso sul cartello è una versione molto abbreviata del nome completo del villaggio, che è contenuto nella sua versione integrale soltanto nel cartello presente nella locale stazione ferroviaria. Incuriosito, mi dirigo verso quest’ultima, e lì constato che il cartello in questione è collocato all’interno della stazione, nella quale ovviamente non è consentito entrare con la moto. Non mi do per vinto, e dopo l’immancabile perlustrazione dei luoghi circostanti individuo un cancello piuttosto malandato, che, dopo un trattamento “mininvasivo” da parte del sottoscritto, cede l’ingresso a quest’ultimo e alla sua fida Tamanaco. La foto che ne è risultata (tra le sonore proteste del personale della stazione) è più unica che rara, a meno che qualche altro motociclista sia stato disposto a manomettere lo stesso cancello al fine di intrufolare la propria moto nella stazione ferroviaria col nome più lungo d’Europa...
Poco ad Est dell’isola di Anglesey (e del suo villaggio dal nome chilometrico e impronunciabile) vi è un altro “record” britannico: quello della “Smallest House in Great Britain”, abitata da un pescatore di Conwy (Galles settentrionale).
Salutato il Galles, mi dedico ad un ampio giro del Peak District, visitando specialmente Bakewell, famosa per lo squisito pudding e per la (meno buona, a mio avviso) tart, e Buxton, città termale rivale di Bath, che presenta un Crescent molto simile a quello di quest’ultima. A nord del Peak District, i golosoni come il sottoscritto troveranno la più antica pasticceria d’Inghilterra a Pateley Bridge, mentre nel vicino Lake District (che a dire il vero mi ha un po’ deluso: in Italia abbiamo laghi più belli) potranno gustare – come ha fatto il sottoscritto – il delizioso “gingerbread” (pan di zenzero) prodotto dalla pasticceria che lo fornisce alla Regina Elisabetta e che si trova a Grasmere, accanto al piccolo cimitero in cui è sepolto il poeta “laghista” William Wordsworth.
Per smaltire tutte queste calorie (nonché quelle degli innumerevoli pork pies e cookies che trangugio ogniqualvolta mi capita di passare davanti a un supermercato dall’insegna verde, di una nota catena britannica che non nomino e che produce cookies senza pari), non c’è niente di meglio che fare una bella sgroppata in moto al fresco, e quindi mi dirigo verso Nord nella regione di confine con la Scozia: il Northumberland.
Si tratta a mio avviso una delle zone più belle dell’Inghilterra. In particolare, la strada da Penrith a Hexham è un vero paradiso per i motociclisti: ottimo asfalto, curve che sembrano disegnate dal progettista di un circuito, traffico completamente assente per decine e decine di miglia (apparentemente in quelle lande vivono solo pecore) e un panorama spettacolare di “moorland” (brughiera) da togliere il fiato! Una volta valicati i Pennini settentrionali, parto alla volta di Carter Bar, il punto di confine più scenografico fra Inghilterra e Scozia, che si trova lungo la A68 ben prima di giungere a Jedburgh. È lì che scatterò la foto-simbolo di questo viaggio sullo sfondo della pietra di confine “double-face” (England/Scotland), sfoggiando per l’occasione la maglietta ufficiale del Club Cagiva con l’Elefantino all’altezza del cuore.
Non ho purtroppo il tempo per penetrare più in profondità in Scozia, e devo limitarmi a un breve giro degli Scottish Borders visitando le graziose cittadine scozzesi di Melrose e Kelso (molto carina la piazzetta lastricata di ciottoli, così come le quattro strade che da essa si dipartono). Portandomi poi sulla costa Nord-orientale dell’Inghilterra, proprio al confine con la Scozia, ho modo di visitare fugacemente (anche perché è vietatissimo farlo con i mezzi a motore, a meno che si sia disposti, come il sottoscritto, a rischiare come minimo una multa) la Holy Island, isoletta periodicamente separata dalla terraferma dall’andamento delle maree sulla quale si trova il Castello di Lindisfarne.
Le foto che ho scattato con la moto non sono ravvicinate perché ho preferito non espormi troppo: c’è una sola via di accesso (e di fuga) all’isola (la quale è superprotetta in quanto considerata giustamente un’oasi naturale di notevole pregio), percorribile ovviamente solo dai pedoni, e se qualcuno avesse segnalato la mia presenza in moto sull’isola non avrei avuto scampo. Poco più a Sud, sulla terraferma, ho potuto visitare e ritrarre il maestoso Castello di Bamburgh, immerso nel verde [FOTO 37 – Bamburgh Castle] nonché le stupende spiagge del Northumberland, specie nel tratto da Bamburgh a Howick.
Scendendo ancora e oltrepassando “sicco pede” l’agglomerato urbano di Newcastle, si scorge l’impressionante Angel of the North, un’enorme scultura d’acciaio che sovrasta la campagna inglese nei dintorni di Gateshead.
Deve avermi portato un po’ di sfortuna, quell’immenso angelo rossastro, perché proprio mentre lo immortalo si scatena un violentissimo e persistente nubifragio, che mi coglie del tutto impreparato. In assenza di qualsiasi riparo (mi trovo in aperta campagna), e confidando troppo ottimisticamente nel miglioramento delle condizioni meteo, decido di proseguire il tour circolare della Gran Bretagna dirigendomi verso la meta successiva prevista dal programma (le belle città costiere di Whitby e Scarborough, nelle quali contavo di scattare altre belle foto per poi dirigermi verso Cambridge, il Norfolk e Dover per il rientro in Francia), ma a un certo punto il motore inizia a perdere potenza. Sostituisco la candela, ma non risolvo nulla: va ancora male, soprattutto ai bassi e medi regimi. Poco dopo realizzo che si è bloccata la valvola parzializzatrice di scarico (per chi non lo sapesse, è un dispositivo che nei motori a due tempi ad alte prestazioni consente il funzionamento ottimale del motore a tutti i regimi) nella posizione aperta, per cui (in parole povere) il motore va bene se corro come fossi in circuito, mentre va male se guido normalmente (specie in città o comunque a bassa andatura). Non è un guasto da nulla, e quindi decido di rivolgermi a un meccanico (anche perché io so a malapena sostituire una candela). Mi fermo a Leeds e poi a Sheffield, ma realizzo in entrambe che i meccanici locali sono in ferie o non sanno risolvere il problema (alcuni mi confessano di aver poca dimestichezza coi motori due tempi ad alte prestazioni, probabilmente perché, a causa della loro giovane età, non si sono “formati” su tali motori, diffusi – prevalentemente da noi in Italia – negli anni ’80 e ’90 e oggi praticamente spariti dalla circolazione, soprattutto in Gran Bretagna) o semplicemente non hanno il tempo di farlo prima di alcuni giorni. Di conseguenza, decido di prendere l’autostrada (habitat che in teoria è il più favorevole per un motore bloccato in posizione “racing”, per così dire), anche per raggiungere più presto Londra, nella quale avrei trovato verosimilmente manodopera più qualificata e certamente il conforto e il sostegno di un mio amico fraterno. Ivi giunto, faccio chiudere manualmente da un meccanico la valvola in questione, il che mi avrebbe consentito un uso normale della moto a basse andature ma non a forte velocità (poco male, pensavo: per una volta dovrò necessariamente andar piano e guidare quindi in modo più sicuro del solito…). Ringalluzzito da questa riparazione (seppur parziale e provvisoria), decido di proseguire il viaggio passando per Bruxelles a trovare un amico, e non perdo l’occasione di immortalare la mia moto preferita (nonché il sottoscritto) sotto l’Atomium.
Congedatomi dalla Capitale d’Europa, che visito brevemente per ricordarmi dei tempi in cui anch’io ho vissuto e lavorato da quelle parti, inizio a scendere verso casa, dato che stanno per finire tempo, vestiti e soprattutto soldi… Ma mi resta un conto in sospeso da regolare, prima di tornare in Sicilia: devo ancora raggiungere (e fotografare) l’unico carro armato, tra i pochi sopravvissuti intatti alla Battaglia delle Ardenne del dicembre 1944, che non riuscii a fotografare l’anno scorso in quanto rimasi senza benzina nella foresta: un “Panther” tedesco, messo fuori combattimento nei pressi di Houffalize.
Sbrigata quest’incombenza (adesso il mio album fotografico sulla Battaglia delle Ardenne può dirsi completo), considero ormai finita la parte esplorativa del viaggio e mi predispongo a un tranquillo trasferimento verso casa. Ma proprio mentre inizio a pensare al comfort domestico… patatrac!!! Un forte rumore proveniente dal motore e un rapido sguardo al termometro che in quel momento segna 120° mi convincono del peggio: un guasto molto serio (di cui non mi è ancora nota l’esatta natura, anche perché sono completamente digiuno di nozioni meccaniche) ha posto ingloriosamente fine alla mia avventura!!! Dopo aver esaurito il mio intero armamentario di imprecazioni e rimostranze contro le divinità in tutte le lingue a me note, mi dichiaro vinto e mi risolvo a chiamare il carro-attrezzi, temendo addirittura un grippaggio.
Siamo in pieno agosto, e trovare un’officina aperta, non sovraccarica di lavoro e comunque disposta ad avere a che fare con un guasto apparentemente molto serio su una moto sconosciuta in Francia, senza possibilità di reperire i necessari ricambi (di norma pressoché introvabili anche in Italia), si rivela presto un’impresa disperata. Dopo decine e decine di telefonate infruttuose, quando stavo già trattando il noleggio di un furgone per trasportare ingloriosamente la mia adorata Tamanaco in Italia, salta finalmente fuori un’officina che accetta quantomeno di accogliere la mia moto per valutare il da farsi. Ivi giunto, il meccanico si mette immediatamente a disposizione e, seguendo anche le precise indicazioni suggerite per telefono dall’Italia (e da me tradotte simultaneamente in francese) da Mauro Arrigoni, tecnico pavese estremamente qualificato ed esperto, socio fondatore del 125 Club Italia, estraeva la valvola parzializzatrice di scarico, spezzatasi a metà e discesa fino ad interferire con il pistone, e risolveva inoltre il predetto guasto (di cui io stesso non ero a conoscenza, avendo soltanto percepito e riferito un anomalo surriscaldamento del motore durante l’intero viaggio) all’impianto di raffreddamento a liquido.
Privo ormai della valvola rotta (che faceva parte di una partita di valvole costruite improvvidamente in alluminio anziché in acciaio, e quindi poco resistenti e soggette a frequenti rotture) e finalmente raffreddato a liquido (e non solo con l’aria calda di agosto!), il mio propulsore avrebbe quindi potuto portarmi in Italia in condizioni di piena sicurezza, e lì avrei potuto far montare una valvola nuova risolvendo così definitivamente il problema. Ne ho avuto decisamente abbastanza e non vedo l’ora di tornare a casa. Per questo, non do neanche un’occhiata alla mappa e non mi curo del tempo che ci vorrà: conosco la strada del rientro (è la stessa dell’anno scorso) e andrò a tutta manetta! Attraverso così (nottetempo e in una solitudine cosmica) il Gran San Bernardo e, giunto alle ore 2:30 ad Aosta, vado a svegliare un incazzatissimo (a buon diritto!) albergatore aostano con cui mi ero impegnato ad arrivare in hotel tassativamente entro mezzanotte…
L’indomani mattina lo calma l’amico Alberto, anch’egli aostano e socio del 125 Club Italia, che mi viene a trovare in hotel e con cui mi intrattengo piacevolmente nel resto della mattinata, durante la quale ho il tempo di immortalare la mia splendida Tamanaco sotto l’Arco di Augusto, anche in compagnia di un altro “ex sedicenne” passato per caso di lì alla guida della progenitrice diretta della mia moto, un’altrettanto splendida e rara Cagiva Cruiser Lucky Explorer.
Già che ci sono, dopo averlo consultato diverse volte per telefono (mentre era in ferie!!!) nei giorni precedenti per aiutarmi a risolvere i problemi tecnici alla moto sopra riferiti, decido di far visita al mago dei motori Mauro Arrigoni nel suo prestigioso atelier a Pavia (il cui motto latino “Quocunque Jeceris Stabit” si addice particolarmente alla mia recente “impresa”), laddove la mia malconcia moto beneficia delle sue cure espertissime e rapidissime. Lì mi raggiunge anche l’amico “Piz” (anch’egli socio del 125 Club Italia), al quale posso raccontare – ormai rasserenato – le mie ultime (dis)avventure.
Ormai diventato quasi la mascotte del Club (verosimilmente in ragione dei disastri che ho combinato in mezza Europa, e dai quali sono purtuttavia uscito sostanzialmente indenne grazie a una fortuna smisurata), ho l’onore e il piacere di essere “scortato” fino a Genova da un altro socio del 125 Club Italia, Fabio, in sella alla sua bellissima CBR 600.
Ma è solo lì che realizzo appieno la portata dell’”impresa” che ho appena compiuto, quando scopro che ad attendermi al porto del capoluogo ligure c’è nientedimeno che il mio “nemico” storico Ale (con la sua inseparabile Honda 125 MTX), il quale mi offre un’acqua minerale e, invitandomi a superare anni di vecchie ruggini, mi stringe la mano e mi chiede di autografargli il casco…
125 lampeggi a tutti!
W il 125 Club Italia!