1993. Anno difficile, Gilera chiude ma EICMA esalta il Made in Italy

1993. Anno difficile, Gilera chiude ma EICMA esalta il Made in Italy
Anno commercialmente negativo il 1993, con un calo del 25% e lo storico stabilimento Gilera di Arcore che chiude. Ma a EICMA sono presentate Ducati 916, BMW R1100GS, Honda RC45, Triumph Speed Triple, Aprilia Scarabeo...
10 giugno 2013

Seconda puntata del nostro piccolo escursus sulla storia della moto, vista attraverso il famoso Salone motociclistico milanese. Abbiamo iniziato con l’edizione 2003, e questa volta retrocediamo di un altro decennio per ricordare cosa accadde all’EICMA del 1993. Quell’anno la manifestazione si teneva ancora ai vecchi padiglioni fieristici milanesi (quelli che oggi non esistono più) dal 18 al 24 ottobre, e ospitò 1.500 espositori e 1.800 marchi provenienti da 34 Paesi del mondo. Quanto costavano i biglietti? 14.000 lire gli interi, 7.000 i ridotti, per militari, ragazzi, gruppi organizzati e ingressi serali, cioè il mercoledì e il giovedì dalle ore 18 alle 22.

Aria di crisi


Anno nero, il 1993, in cui si immatricolarono solo 78.291 moto e scooter contro le 104.754 del ’92. Un durissimo calo globale del 25,26%, dunque, con percentuali individuali decisamente preoccupanti per molti marchi di spicco: a partire dalla nostra Cagiva (-41,79%), seguita nella triste classifica negativa daYamaha (-40,35%), Suzuki (-32,86%), Aprilia (-29,97%), la BMW (-27,99%). Ma anche la stessa Honda, nonostante detenesse ben il 29,4% della torta motociclistica contro il 17,4% di Yamaha, segnava un trend negativo del 15,83%. Per non parlare di realtà numericamente minori (nel senso numeri di vendita a sole tre cifre), come Peugeot (-56,27%) e KTM, allora ben lontana dallo status di attuale benessere, con un -50,43%, e alla stessa Husqvarna (-41,32%).


Insomma, solamente tre delle quindici Case censite potevano vantare l’agognato segno positivo, ma senza alzar troppo la cresta, sia chiaro: ovvero Piaggio (+ 7,92%), Kawasaki (+2,74%), e pure Gilera, con un buon +10,03%, dovuto alla vendita di 2.412 mezzi (tra moto e, soprattutto, piccoli scooter) contro le 2.192 dell’anno prima. Purtroppo, però, il piccolo successo commerciale di uno dei più gloriosi marchi italiani – Gilera, per l’appunto – non poteva certo far gioire nessuno, visto che proprio nel mese di ottobre, quasi in concomitanza con il Salone, Piaggio aveva comunicato la chiusura dello storico stabilimento di Arcore, di poco successivo alla conclusione della breve ma costosissima avventura nel motomondiale 250. Il tutto suscitò non poche polemiche e sollevazioni popolari, chiaramente a sostegno dei 369 dipendenti Gilera, ma anche da parte della popolazione motociclistica più brizzolata. Il tutto, ovviamente, senza rimediare alcunché.


Quanto all’orientamento di mercato, in quel periodo gli scooter di piccola cilindrata stavano progressivamente ampliando la loro fetta di mercato a sfavore delle moto, in particolare a segmenti come le sportive (in particolare le velocissime 125, destinate pian piano all’oblio), le turistiche e le enduro. Insomma, i piccoli scooter, tra i quali iniziavano a comparire anche quelli motorizzati 4T, erano davvero tanti. Mentre il vento sembrava invece favorevole alle custom, in particolare quelle giapponesi (per la prima volta dopo anni, Harley-Davidson era andata in rosso del 9,68%, con 1.306 immatricolazioni): la moto più venduta tra le prime quindici in classifica, infatti, era stata ancora la custom Honda VT500 Shadow, con 3.188 unità immatricolate, mentre la Yamaha XV535, altra custom, era dodicesima con 1.437 moto. Al secondo posto, per la cronaca, teneva duro la bellissima sportiva Cagiva Mito125 (2.801 immatricolazioni), davanti al pioniere dei maxiscooter perlomeno di quelli arrivati in Italia: il lunghissimo Honda CN250 (2.686), in classifica fin dal 1988.
 

Made in Italy coraggioso


Nonostante il periodo difficilissimo, tuttavia, all’EICMA del 1993 le novità non mancarono. Anzi, andando a ben vedere, fu proprio il Gruppo Cagiva dei fratelli Castiglioni (che allora inglobava Cagiva, Ducati, Husqvarna e Moto Morini) il vero protagonista della kermesse milanese, soprattutto perché, oltre ad altri svariati modelli, presentò quella che ne venne immediatamente conclamata la regina, destinata a diventare una pietra miliare nella storia della motocicletta: la mitica Ducati 916.
Ma esaminiamo le novità esposte al Salone milanese, in quell’ottobre del ’93, la quasi totalità delle quali, peraltro, non figureranno tra tre prime 30 moto vendute nel 1994.
APRILIA SCARABEO 50
APRILIA SCARABEO 50
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Aprilia


L’Aprila Scarabeo 50 Cross fu creato da Ivano Beggio all’alba degli anni Settanta, sulla falsariga stilistica della celebre Bultaco Pursang. Dopo circa 23 anni, ecco che il nome Scarabeo ricompare su un altro modello Aprilia, destinato a diventarne nuovamente un’icona, un po’ come la Vespa lo è per Piaggio (con le dovute proporzioni, sia chiaro). Si tratta ancora di un cinquantino, ma stavolta è uno scooter a ruote alte, bello ed elegante, il cui nome sarà destinato a diventare un brand di successo. Tant’è che la gamma Scarabeo, anche sotto l’egida di Piaggio, a tutt’oggi comprende ben nove modelli, da 50cc – a 2 e 4 tempi – a 500.

Bimota


Gran lavoro nella factory riminese di Via Giaccaglia, sempre sul filo del rasoio a livello gestionale, ma comunque decisamente prolifica nel creare special di serie preziose e, di conseguenza, costose. Tanto che a EICMA ’93 scopriamo ben quattro nuove Bimota: la DB2SR con motore Ducati, le quadricilindriche SB6 1100 ed SB7 750, motorizzate Suzuki, e la YB9 motorizzata Yamaha 600. La SR era la versione ancor più sportiva della già nota DB2, e nel suo bel telaio a traliccio montava il classico bicilindrico Ducati a L a due valvole per cilindro, ovviamente raffreddato ad aria, con cilindrata di 904 cc ma alimentato a iniezione elettronica, sviluppata in proprio. Rispetto al motore a carburatori, qui venivano dichiarati circa 89,5 cv contro 85,7, ma anche un prezzo di “soli” 23.200.000 lire (più o meno 11.800 euro, giusto per la precisione) anziché circa 26.400.000.
BIMOTA SB6
BIMOTA SB6


Le due nuove Suzuki/Bimota (SB, per l’appunto) sfoggiavano invece un telaio in alluminio denominato SLC (Straight Line Connection), in quanto composto da due massicce travi esterne ai motori e perfettamente lineari, che collegavano il cannotto di sterzo al punto di fulcro del forcellone, anch’esso chiaramente in alluminio. Da notare l’ammortizzatore posteriore Öhlins sistemato orizzontalmente, mentre davanti lavorava una forcella Paioli con steli da 46 mm. Quanto ai motori, la SB6 montava il K3 da 1.074 cc, raffreddato a liquido, alimentato da carburatori Mikuni da 38 mm e con cambio a 5 marce, accreditato di 156 cv a 10.600 giri con 10,2 kgm di copia a 8.400. La SB7 invece ospitava il 749 cc a 6 marce, sempre raffreddato a liquido, ma alimentato tramite un sistema di iniezione elettronica sviluppato dalla Bimota stessa: in questo caso, il costruttore dichiarava 132 cv a 11.500 giri, con 8,5 kgm di coppia a 8.500 giri. Prezzi: rispettivamente 29.269.000 lire la SB6, e addirittura 35.447.000 lire per la SB7: questo modello era stato realizzato in prospettiva di un impiego nel mondiale Superbike, dove la Casa riminese peraltro aveva virtualmente vinto il titolo nel 1987 con la YB4R di Virginio Ferrari, che batté il leggendario Joey Dunlop e la sua Honda RC30 quando ancora il challenge aveva la denominazione di Mondiale F1, prima di diventare ufficialmente Mondiale Superbike.


Quanto alla YB9, si trattava della versione più estrema della sportiva stradale Bellaria 600, dotata appunto del motore Yamaha FZR da 599 cc da 95 cv a 10.500 giri (coppia: 7 kgm a 8.500 giri) - raffreddato a liquido e con alimentazione a carburatori Mikuni da 32 mm, ma nel ’95 arrivò l’iniezione elettronica destinata evidentemente ai clienti più spiccatamente pistaioli. Anche questa moto, ovviamente, esibiva un solido telaio perimetrale a doppio trave d’alluminio.  Quella che allora era la Bimota dell’accesso, costava poco meno di 20.000.000 di lire.

BMW


A EICMA ’93 la casa bavarese esponeva le novità già anticipate al salone automobilistico di Francoforte. Ecco dunque la nuova R1100GS, dotata del boxer a 4 valvole che aveva esordito l’anno precedente sulla R1100RS (la quale, in questo contesto, venne presentata anche con carenatura completa e kit ergonomico), dalla quale ereditava anche la rivoluzionata ciclistica "senza telaio", caratterizzata dalla sospensione anteriore Telelever, mentre dietro veniva confermato il già noto sistema Paralever delle R100GS, adeguatamente aggiornato. Per la nuova GS venivano dichiarati 80 cv a 6.750 giri, abbinati ad una coppia massima di ben 9,5 kgm a 5.250 giri, e 243 kg di peso in ordine di marcia. Il prezzo invece ammontava a 19.550.000 lire. Ma il settore tuttofare della casa bavarese salutava soprattutto l’arrivo della piacevole F650, elegante antagonista delle varie monocilindriche polivalenti allora felicemente in circolazione: ovvero l’Honda Dominator 650, ma soprattutto l’Aprilia Pegaso 600/650.
BMW F650
BMW F650


La nuova BMW F650, peraltro, veniva costruita proprio a Noale dall’Aprilia, e montava una versione a 4 valvole a doppia accensione del notevole motore Rotax bialbero a 5 valvole da 651,8 cc che equipaggiava l’omologa Pegaso 650: potenza 44,4 cv a 6.500 giri, coppia 5,2 kgm a 5.000 e velocità massima vicina ai 165 km/h. Questa moto ebbe subito un discreto indice di gradimento, chiudendo il 1994 al 12° posto con un venduto di 1.249 unità, subito alle spalle della stessa Pegaso 650 (1.376) e davanti alla Dominator (1.201). Il suo prezzo era di 10.450.000 lire. Le novità BMW comprendevano anche l’arrivo dell’ABS di seconda generazione per tutta la serie K100, compresa l’inedita versione Special Edition della supertourer K1100LT, con trasmissione finale accorciata per migliorarne lo spunto, e un allestimento decisamente faraonico, comprendente perfino lo stereo con lettore di cassette.

Cagiva


Nonostante il periodo decisamente nero, la Cagiva esponeva svariati nuovi modelli, includendo anche uno scooterino sportivo: il Passing 125, filante, col doppio silenziatore e con la classiche linee “svelte” in voga in quegli anni, peraltro riprese dal cinquantino City. Al debutto anche la Roadster 521, sigla mendace che in realtà si riferiva ad una motoleggera da 125 cc frutto di un accordo produttivo stipulato con la cecoslovacca CZ: una motoleggera dallo stile vagamente cruiser, con motore a sei marce raffreddato ad aria e un prezzo allora indicato sui 3,5 milioni di lire. Salendo di cilindrata, ecco la gemella maggiorata della enduro stradale W12 da 350 cc a 4 tempi: si chiamava W16, e montava un nuovo monocilindrico da 601,4 cc accreditato di 34 cv a 5.000 giri, con 5 kgm di coppia a 4.250 giri e velocità di oltre 150 km/h. Il prezzo venne successivamente fissato in 7.840.000 lire.
CAGIVA RIVER 600
CAGIVA RIVER 600


Stesso motore ma montato sulla stradale turistica River,  precedentemente nata come 500: una moto piacevole ed elegante, con piccolo parabrezza e moto valigie di serie, un solido telaio in lega leggera, forcella a steli rovesciati e sospensione posteriore progressiva monoammortizzatore, un assetto comodo e un peso dichiarato in 160 kg a secco. Molto probabilmente, oggi come oggi, questa moto sarebbe più apprezzata.   E passiamo alle endurone stradali, con l’arrivo della nuova Elefant in versione da 750 cc ad affiancare la 900, ma un po’ semplificata e alleggerita togliendo un disco all’avantreno e montando una forcella tradizionale anziché U.D., anche in funzione di un prezzo ovviamente inferiore: 11.500.000, anziché 13.400.000 lire. Naturalmente il motore era il Ducati Desmo ad aria da 748 cc, con 60 cv a 6.500 giri e 6,5 kgm di coppia a 6.500.

Ducati


Come già anticipato, Claudio Castiglioni e il suo fido braccio destro Massimo Tamburini, portarono al Salone milanese di vent’anni fa quella che tutt’oggi è – giustamente - ritenuta una delle moto più belle del mondo, uscita fresca fresca dal CRC, il Centro Ricerche Cagiva di San Marino: la Ducati 916, primogenita di un lunga dinastia di formidabili bicilindriche che dominarono per anni il mondiale Superbike. Una moto che diede un vero scossone al nostro ambiente, immediatamente assurta al ruolo di regina del Salone e talmente ben riuscita da vincere immediatamente al debutto nel mondiale del 1994: nella fattispecie, Carl Fogarty si aggiudicò la prima manche della prima gara, a Donington, davanti a Slight, Pirovano, Russell e Falappa e, a fine stagione, si portò a casa il titolo iridato piloti con 4 vittorie singole e 6 doppiette; mentre Ducati vinse quello riservato ai costruttori, con 403 punti contro i 348 della Kawasaki, i 313 della Honda, i 145 della Yamaha e i soli 12 della Suzuki.
DUCATI  916
DUCATI 916


La formidabile 916 ingabbiava nel suo telaio a traliccio un bicilindrico Desmoquattro da 916 cc raffreddato a liquido, con 109 cv a 9.000 giri (la coppia non venne dichiarata, allora), sul quale era infulcrata la bellissima sospensione monobraccio. La 916 però venne commercializzata solo l’anno seguente, anche in versione biposto, a circa 25.000.000 di lire. Ma a Milano, nel 1993, esordivano anche altre due novità Ducati dotate del motore ad L raffreddato ad aria da 583 cc: la sportiva stradale 600 SS semicarenata, e la nuda Monster 600, gemellina della M900 presentata mesi prima, disponibile anche in versione depotenziata per neopatentati. La Monster piccola, che costava circa 10 milioni di lire, venne discretamente gradita, e alla fine del 1994 si piazzò al 28° posto nelle classifiche di vendita, con 604 esemplari immatricolati, precedendo così la stessa M900 (568 moto vendute).

Husqvarna


Concludendo col Gruppo Cagiva (Moto Morini rimaneva infatti al palo, esponendo solamente le già arcinote custom Excalibur 350 e 501), passiamo al marchio ex- svedese allora specializzato esclusivamente nel fuoristrada. Nel 1993, Husqvarna fresca del titolo iridato motocross nella classe regina conquistato con una nuovissima 500 a 4 tempi, realizzò anche una interessantissima enduro dotata di un innovativo motore a due tempi da 125 cc raffreddato a liquido, con ammissione diretta nel carter e valvola elettronica sul collettore di scarico, per ottimizzare l’erogazione dei 31 cv disponibili. Un motore a sei marce dalle notevoli credenziali, dunque, con contralbero di bilanciamento e accensione elettronica ad anticipo variabile, inserito in una ciclistica con forcella a steli rovesciati, forcellone in alluminio e sospensione progressiva. La moto era la bella WRE125, enduro semi-professionale con avviamento elettrico e tutto ciò che occorreva per circolare regolarmente su strada, dedicata ai giovani appassionati fuori stradisti di allora che però usavano la moto anche per andarci a spasso. Il suo prezzo era di circa 6.400.000 lire.

Harley-Davidson


Anche la Casa di Milwaukee in effetti visse un 1993 commercialmente poco entusiasmante, segnato però da un negativo relativamente modesto (-9,8%) che però già al traguardo del marzo successivo era diventato un +30,8%. Allora il motore Big Block era l’Evolution 88 da 1.340 cc, montato elasticamente nel telaio, attorno al quale fu allestita la nuova Road King, derivata semplificata della Electra Glide, in quanto dotata solo di plexiglas e moto valigie laterali, sellone sempre ampio, ma suddiviso in due porzioni e privo di ornamenti cromati. Il tutto a 30.000.000 di lire.


Honda


Tanti gli aggiornamenti a vari modelli importanti, con in testa l’ancora oggi amatissima Africa Twin 750 (562 esemplari venduti nel 2004), modificata nel telaio a favore della maneggevolezza. Ma erano tre le novità vere e proprie che Honda aveva preparato per la stagione '94. Due di esse, in verità si erano già viste, al salone settembrino di Parigi: la sofisticatissima superbike RC45, e l’ultima delle VFR 750, catalogata come RC36. A Milano, invece, debuttava la snella bicilindrica CB500, una naked carina, semplice ed agile, adatta veramente a tutti i tipi di utenti, e venduta a circa 10 milioni di lire; nata per scopi utilitari ma presto utilizzata anche per un trofeo monomarca molto divertente, e soprattutto economico per i partecipanti. Il suo motore da 499 cc, a cilindri paralleli leggermente inclinati in avanti e raffreddati a liquido, con distribuzione bialbero ad 8 valvole e carburatori da 34 mm, erogava 58 cv a 9.500 giri, con 4,8 kgm di coppia a 8.000.
HONDA RC45
HONDA RC45


Quanto alla RC45, beh, era la moto che l’HRC aveva progettato per succedere alla leggendaria RC30, e ufficialmente ne vennero prodotti solo 200 esemplari. Ed era la moto che Carl Fogarty guidò nel ’96 senza mai affiatarsi con lei, e che l’anno dopo fu vendicata da John Kocinsky, che invece ci vinse il titolo proprio battendo Carl e la Ducati 916. Si trattava di una V4 da 749 cc che nella versione stradale era accreditata 120 cv a 12.000 giri (coppia 7,7 kgm a 10.000 giri), con alimentazione a iniezione elettronica e parecchia tecnologia mutuata dalla raffinatissima RVF750 plurivincitrice nell’Endurance. La nuova VFR750F, invece, era evidentemente ispirata - nello stile, ovviamente - alla spaziale e costosissima NR750 a pistoni ovali da 125 cv a 14.000 giri: uno sfoggio di tecnologia e stile anch’essa prodotta in pochi esemplari, venduti al prezzo di un centinaio di milioni di lirette (per la precisione: 99.444.000). La nuova VFR aveva quindi un look nettamente più sportivo (rispetto ai canoni di allora, chiaramente) pur mantenendo il motore volutamente limitato a 100 cv (a 10.000), con 7,4 kgm di coppia a 8.000. E il suo prezzo era di 18.600.000 lire.

Kawasaki


Anche la Casa di Akashi portò all’EICMA le novità trasportate direttamente da Parigi, sfoderando la massiccia e potente Ninja ZX-9R, la terza Kawasaki quadri cilindrica da 900 cc mai costruita, dopo la mitiche Z1900 del ’72 e la formidabile quanto longeva (venne costruita fino al 2003, per il mercato interno) Ninja GPZ900R dell’84. La ZX-9R era una sport-tourer  era spinta da un “4 in linea” con ben 139 cv a 10.500 giri e una coppia massima di 9,8 kgm a 9.000 giri, alloggiato in un solido telaio a doppio trave superiore d’alluminio, con doppia culla inferiore in tubi tondi d’acciaio ad essa avvitati. Questa moto costava quasi 21.000.000 di lire ed era in grado di superare agevolmente i 270 km/h effettivi, il che tuttavia non andava ad inficiare il record velocistico della sorellona ZZ-R1100 da 150 cv, capace di sfiorare i 285 effettivi. Pur massiccia e pesante, la Ninja ZX-9R era tuttavia più portata per un eventuale utilizzo in pista: non a caso per il test di lancio venne scelto il circuito malese di Shah Alam (quello di Sepang era ancora molto al di là da venire), con testimonial d’eccezione i piloti ufficiali Superbike Scott Russell (iridato nel ’93, unico, a tutt’oggi, ad aver vinto il titolo con una Kawasaki) e Terry Rymer.
KAWASAKI  EL250
KAWASAKI EL250


Ricordo ancora come fosse oggi mentre mi trovavo a (tentar di) seguire con la bava alla bocca Russell lungo un ampio tornantone sinistrorso a tutta piega, mentre lui guidava voltato all’indietro per guardare la riga nera che stava disegnando sull’asfalto, sotto il mio naso…  Per i biker più tranquilli, e soprattutto anche per i meno esperti, Kawasaki aveva invece preparato la “customina” bicilindrica EL250, dove “EL” stava addirittura per “Eliminator”! La simpatica motoleggera vantava un motore bialbero a 8 valvole raffreddato a liquido e cambio a cinque marce, con 27 cv a 11.800 giri e una coppia ovviamente bassina (meno di 2 kgm a 9.800 giri). Ma vantava anche un peso dichiarato di soli 140 kg a secco. Semplice ed elegante, la EL250 aveva un freno anteriore a disco e il posteriore a tamburo, e costava 8.240.000 lire.

Moto Guzzi


Nuova di zecca la bella ed elegante 1100 Sport, chiaramente derivata dalla  Daytona 1000 ma con sotto l’ultima evoluzione del classico V2 mandelliano a 2 valvole per cilindro, alimentato a carburatori, maggiorato a 1.064 cc rispetto a quello da 992 cc della Daytona stessa, che però aveva la distribuzione a 4 valvole per cilindro e l’alimentazione a iniezione elettronica, successivamente montata anche sul 1100. La potenza era di 90 cv a 7.800 giri e 9,8 kg a 6.000 giri. Due moto che per il resto erano quasi identiche, il cui semplicissimo telaio monotrave in acciaio era opera del mitico John Wittner (arcinoto come Dr. John), un appassionato tecnico americano e sfegatato guzzista che di mestiere faceva il dentista, e che si divertiva a far correre e vincere le Moto Guzzi nelle famose gare denominate  Battle of the Twins riservate alle bicilindriche. La Moto Guzzi 1100 Sport venne messa in vendita a circa 16.500.000 lire, più o meno 3 milioni meno della Daytona 1000 Biposto.

Suzuki


Punta di diamante della Casa nipponica, la sport-tourer RF900R ne segnava l’ingresso nel club delle 900, affiancando peraltro la sorella RF600R presentata l’anno prima. Fu una moto interessante, questa RF, per l’estetica piuttosto grintosa  ma anche per le prestazioni interessanti del suo quattro cilindri in linea raffreddato a liquido (il cui basamento era il medesimo della supersportiva GSX1100R, quindi il cambio era a 5 marce), alimentato da 4 carburatori e accreditato di 135 cv a 10.000 giri e di una coppia di 10 kgm a 9.000 giri, per una velocità massime reale superiore ai 250 orari. E il telaio era una struttura perimetrale in acciaio scatolato, anziché in alluminio, con sospensione posteriore progressiva (che in Suzuki allora chiamavano Full-Floater) azionata da un forcellone in lega leggera, e davanti una forcella tradizionale, priva di regolazioni, che vennero aggiunte l’anno successivo sulla versione RS2. Il prezzo della RF900R fu fissato in 17.700.000 lire.
SUZUKI RF900R
SUZUKI RF900R


Ma questa Suzuki è ricordata anche per essere entrata nel Guinness dei primati:  era il 4 giugno del 1994, infatti, quando il mensile tedesco Motorrad e Metzeler portarono sul celebre anello pugliese di Nardò un paio di RF900R potenziate a 146 cv, alimentate con benzina super a 98 ottani ed equipaggiate con radiali Metzeler del tutto standard come disegno dei battistrada e struttura delle carcasse, ma con una mescola ovviamente modificata per reggere le incredibili sollecitazioni di un mezzo lanciato ad altissime velocità per lunghi periodi. Le moto ovviamente erano state alleggerite togliendo alcuni particolari inutili, dotate di un plexiglas maggiorato, fari potenziati, sensori di temperatura a infrarossi per tener sotto controllo le gomme, e via dicendo. Dopodiché oltre dieci tra piloti, giornalisti e collaudatori (compreso Salvo Pennisi, storico leader dei tester Pirelli/Metzeler) si alternarono per due giorni a caccia di record, stabilendone ben quattro, che durarono a lungo. Eccoli: record di percorrenza in un’ora, stabilito in 256 km percorsi alla velocità media di 260,491 km/h; record sulle 6 ore: 1.514 km alla media di 252,341 km/h; record sulle 12 ore: 3.022 km alla media di 251,835 km/h e, dulcis in fundo, record sulle 24 ore: 5.904 km viaggiando alla media di 246 km/h.

Triumph


Da Hinckley arrivava la prima Speed Triple della storia Triumph, nata da un’idea di Carlo Talamo, compianto importatore del marchio inglese fin dalla primissima gestione Bloor. La trasformazione della Daytona 900 in cafè racer fu abbastanza facile: bastò togliere la carena, lasciando i mezzi manubri, ed ecco una bella naked dalle tinte molto accattivanti: tutta, ma proprio tutta nera, oppure con carrozzeria di un magnifico giallo, calotta faro compresa, la prima Speed non era certamente paragonabile alle versioni che l’hanno seguita, dinamicamente parlando, ma era certamente una moto molto ammirata. Il suo tricilindrico da 885 cc erogava 98 cv a 9.000 giri, con una coppia di circa 8 kg a 6.500 e un prezzo di 16 milioni tondi su strada.
TRIUMPH DAYTONA SUPER III
TRIUMPH DAYTONA SUPER III


Sempre tutta gialla, ecco comparire allo show milanese del ’93 anche la Daytona Super III, versione pepatina della Daytona standard grazie agli interventi sviluppati con l’aiuto della Cosworth, che, lavorando su carter, pistoni e condotti di aspirazione e scarico, aveva alleggerito il tricilindrico Triumph di 2,5 chili, ma soprattutto ne aveva elevato la potenza a 115 cv a 9.500 giri, e la coppia a 9 kgm, a 8.500. Da notare anche le nuove pinze anteriori a 6 pistoncini e l’utilizzo della fibra di carbonio per il parafango anteriore, i fianchi carena e i silenziatori. Prezzo: 21.000.000 di lire.

Yamaha


La novità a tre diapason presente a Milano ’93 si chiamava FZR600R, e fu subito chiaro che si presentava come la versione in minor della omologa YZF750R presentata l’anno precedente, anche se per Yamaha, a tutto gli effetti, era un modello completamente nuovo. Nata evidentemente per combattere nel sempre più agguerrito Campionato Europeo Supersport (che sarebbe diventato Mondiale solo nel ’97), la nuova FZR godeva di un nuovo motore da 598 cc  – chiaramente a 4 cilindri e 16 valvole – accreditato di 100 cv a 11.500 giri e 6,7 kgm di coppia a 9.500  che, per la prima volta, usufruiva di riporti ceramici compositi sulle camicie dei cilindri per minimizzare gli attriti e contemporaneamente le tolleranze. La nuova supersport Yamaha vantava naturalmente un solido telaio tipo Deltabox, ma in acciaio anziché alluminio (com'era quello della succitata YZF) e con forcella "normale" anziché a steli rovesciati, ma comunque con sospensione posteriore progressiva. Il prezzo della FZR600R, che a fine ’94 risultò la 25esima moto più venduta in Italia, fu fissato in 15.270.000 lire.