5 cose che forse non sapevate sulla Suzuki GSX-R

5 cose che forse non sapevate sulla Suzuki GSX-R
La supersportiva di Hamamatsu compie 30 anni. Festeggiamo ricordando cinque curiosità che la riguardano che probabilmente non tutti sanno
17 agosto 2015

GSX-R. Ovvero, interpretando l’acronimo secondo la sintassi di Hamamatsu, una quadricilindrica in linea (GS), con distribuzione plurivalvole (X) e racing-replica (R). Da trent’anni la Suzuki GSX-R – la 750, prima della stirpe dopo la 400 riservata al solo mercato giapponese, è nata nel 1985 – è la quintessenza della race replica alla giapponese.

Un compleanno del genere non si può tralasciare, e la Casa madre l’ha giustamente festeggiato con la livrea dedicata sulle MotoGP di Espargaro e Viñales, ma anche con due versioni speciali rispettivamente per la GSX-R 750 e la GSX-R 1000. Noi di Moto.it tiriamo le orecchie alla GSX-R con cinque curiosità – ne abbiamo dovute scartare tante, vista la longevità della supersportiva di Hamamatsu – che forse nemmeno i più sfegatati fan delle hypersport nipponiche conoscono. Iniziamo!

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1 – La soluzione SACS nacque per rendere possibile la GSX-R 750. Il project leader Etsuo Yokouchi fu molto chiaro nella definizione dei requisiti della GSX-R: avrebbe dovuto avere almeno 100 cavalli ed un rapporto peso/potenza migliore di qualunque altra supersportiva, obiettivo ottenibile con un vantaggio di peso del 20 per cento sulla concorrenza – 176kg. Per ottenere questo valore si scartò la soluzione del raffreddamento ad acqua, scegliendo invece il sistema ad aria e olio che avrebbe contraddistinto la GSX-R fino al 1992. All’epoca della sua presentazione, la Suzuki GSX-R 750 era più leggera di 25kg rispetto alla più vicina delle rivali, la Yamaha FZ750.

2 – Il motore 1100 delle versioni aria e olio è ancora fra i più utilizzati in alcune categorie del drag-racing. Facilmente rialesabile (i più esperti riescono a portarlo oltre i 1400cc) è surdimensionato nella sua architettura di serie, ed è in grado di tollerare potenziamenti monstre anche se, naturalmente, le versioni più spinte – parliamo di oltre 400 cavalli – richiedono modifiche sostanziali.

La GSX-R 600 del 1992 riservata al mercato USA
La GSX-R 600 del 1992 riservata al mercato USA

3 – la GSX-R600 nacque negli USA e nella sua prima versione non arrivò mai in Europa. La cilindrata Supersport per la GSX-R arrivò da noi soltanto nel 1997, un anno dopo la celebre “S-RAD”, ovvero la GSX-R750T. Ma già nel 1992 la filiale statunitense aveva richiesto una 600, che Suzuki aveva allestito prontamente sottoalesando la 750 dell’epoca. Il risultato fu tutt’altro che soddisfacente: pesante, poco potente e nervosa nel motore, fu un flop commerciale rapidamente gettato nel dimenticatoio.

Un giovanissimo Schwantz sulla Suzuki GSX-R
Un giovanissimo Schwantz sulla Suzuki GSX-R

4 – La GSX-R750 fece la fortuna di Kevin Schwantz, che vi corse negli USA e vi si mise in luce nel Transatlantic Trophy, una serie di gare nate per allungare il calendario del Motomondiale che schieravano i migliori piloti statunitensi contro i rappresentanti della scuola europea. Nell’edizione del 1985 Kevin Schwantz si fece notare nientemeno che da Barry Sheene (leggenda vuole che nel vederlo correre con il suo stile peculiare, il tre volte iridato britannico abbia esclamato “Madre di dio!”) che fece pressione sulla Casa madre affinché lo portasse al Mondiale, dove corse le prime gare l’anno successivo.

La versione limitata GSX-RR in allestimento per il mercato italiano
La versione limitata GSX-RR in allestimento per il mercato italiano

5 – La prima versione a doppio faro arrivò in Italia solo nel 1988, dopo che venne modificata l’assurda norma del codice della strada che non prevedeva la possibilità di omologare motocicli con due gruppi ottici anteriori. Nei tre anni precedenti Suzuki dovette ricorrere allo stratagemma di “chiudere” la carenatura adottando un faro singolo che, a tuttora, (dis)grazia le prime GSX-R 750 e 1100 in versione italiana.