Cinque minuti di normalità

Cinque minuti di normalità
Il racconto di un medico. La libertà offerta dalla moto. Per pochi minuti, tutti i giorni, l'anima si libera dal peso di un lavoro infernale
14 aprile 2020

Durante le "vacanze" pasquali abbiamo ricevuto una mail curiosa. Di un nostro lettore che, nonostante un mestiere che pochi vorrebbero fare in questi giorni, si sente comunque fortunato. Fortunato perché ha il privilegio, se così si può dire, di poter continuare ad andare in moto nonostante il lockdown. Per fare avanti e indietro tra casa e ospedale, perché il dottor Marco Maria Botticelli lavora come anestesista rianimatore.

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Un medico che anche in questo periodo maledetto vive la passione per la moto. E che ci ha mandato uno scritto di riflessioni in cui, sono sicuro, tutti ci riconosceremo. È bello pensare che ci siano persone come lui ad aiutare chi, in questo momento, ha più bisogno che mai: vi riportiamo qui sotto, così come l'abbiamo ricevuto, lo scritto del dottor Botticelli. Ringraziandolo.

Per 5 minuti tutto torna alla normalità

Per 5 minuti tutto torna alla normalità…

Infilo il casco, allaccio la fibbia, accendo il motore, infilo i guanti, abbasso la visiera, dentro la prima, gas ….. e per 5 minuti tutti torna alla normalità….

Ma facciamo un passo indietro…

Ho poco tempo per godermi dei bei giretti in moto. Se c’è una cosa che amo dell’andare in moto è il saluto tra motociclisti, semplice, innocuo ma che ti riempie di orgoglio e ti fa sentire parte di una famiglia.
E diciamocelo, ce lo invidiano un po’ tutti. Quando il lavoro mi porta fuori città spero sempre di poter “salutare” qualcuno… perché a Milano siamo sempre di corsa, sempre impegnati a schivare un’auto o un pedone, sempre troppo impegnati per guardarci in torno e goderci il nostro essere in moto. A parte questi giorni…

E’ mattino presto, soprattutto in questi giorni molti stanno ancora dormendo, e quasi mi sento in colpa ad accendere la moto

Sono un di quei pochi in Italia che ancora scorrazza liberamente in moto come prima del lockdown, tutti i giorni prendo la mia Tracer 700 e vado al lavoro, tornerò forse tra 12-14 ore, un lavoro che amo follemente e che a sentire me è il più divertente del mondo… un lavoro che in questo momento (ma anche prima in effetti) in pochi mi invidiano e certamente non vorrebbero fare cambio. Sono un anestesista rianimatore. Impegnato come tutti i miei colleghi in reparti pieni zeppi di malati COVID19, Covid per gli amici, che aggiungere 19 sembra una presa in giro. Il 19 sembra un anno bellissimo a vederlo da qui.

Avrete visto mille servizi in TV e sui social. Ma è molto peggio di quello che possiamo farvi vedere. E’ un po la differenza che c’è tra guardare la motoGP e andare in pista. Dal divano di casa ti chiedi come possa Rossi non imbroccare quella curva. Poi provi a farla tu e scopri che probabilmente non saresti neanche in grado di farla bene a piedi quella curva!!

Quindi immaginate il lavoro massacrante visto in TV, moltiplicate per 10 e aggiungete uno strato di protezioni che sembra di stare il 10 agosto bloccati nel traffico. Il rumore dei ventilatori a manetta che sembra di entrare in galleria con un’Harley. Il tutto con le mascherine superaderenti che è un po’ come quando compri il casco nuovo e lo indossi per la prima volta… ma mentre la compressione del casco sulle guance ti fa avvertire un senso di sicurezza, qui il ferro della mascherina ti taglia il naso e le guance per 12 ore di fila.

La realtà quotidiana è sconvolta, ma siamo rianimatori, anestesisti, non parliamo dei problemi, siamo quelli che i problemi li risolvono. Siamo quelli che vengono chiamati quando non ci si capisce una mazza e una soluzione la si trova quasi sempre. Anche se contro questo Coronavirus le armi a disposizione sono poche e poco affilate.

E finito il turno esci in una strada deserta, ma poi….

“Infilo il casco, allaccio la fibbia, accendo il motore, infilo i guanti, abbasso la visiera, dentro la prima, gas. E per 5 minuti tutto torna alla normalità…” Ancora oggi come sempre quei pochi km in moto verso casa mi ripuliscono da tutta la fatica, le frustrazioni, la negatività che ho accumulato e al tempo stesso la pressione dell’aria ad ogni accelerata imprime in me i bei ricordi e le esperienze positive della giornata. Cambia una marcia, sposta il peso, dosa il gas, correggi con il freno posteriore e curva cercando di evitare di lanciarla sulle rotaie del tram… la libertà di impostare una traiettoria, il sorriso ad ogni accelerata, la sensazione di controllo ad ogni frenata, l’impressione di vincere la forza di gravità ad ogni curva… la strada è sempre quella anche se deserta. A sera devi forse prestare più attenzione perché gli instancabili rider delle consegne a domicilio la fanno da padroni e si godono la libertà delle strade deserte.

Al mattino la voglia di tirare al limitatore ogni marcia è forte: un po’ perché son sempre in ritardo e un po’ perché la strada vuota ti stuzzica, un po’ perché penso che magari riesco ad essere più veloce del virus (mooolto scientifico come pensiero) ma poi ragioni, e pensi che se devono venirti a raccogliere con l’ambulanza non sei più la soluzione ad un problema ma diventi tu il problema. E fai anche la figura del p##la!

Spero sempre di incontrare un altro motociclista, uno dei tanti che vedevo andando al lavoro. Il Monster pezzato tipo mucca, il Ninja verde del 2006 che amo follemente, il Ducati Supersport 939 bianco che arrivava da viale Abruzzi e che mi faceva luccicare gli occhi, il V-Strom 650 giallo con cerchi oro fino all’ultimo in lizza con il mio Tracer, il CBR600 a carburatori che senti da 2 km anche con ambulanza e pompieri intorno, il tizio in giacca e cravatta sullo Street Glide con la radio a palla… Ma niente, sono solo, fermo al rosso di un incrocio deserto, e aspetto perché aspettare mi fa tornare alla normalità.

La sera quando ritorno quasi mi fa rabbia vedere gente in giro. Poi penso che per strada avrò visto sì e no una ventina di persone in 5 minuti mentre di solito ne vedevo 20 volte tante e penso che eroi in questo momento, in un modo o nell’altro, lo siamo tutti. Perché si noi siamo in prima linea, sempre a contatto con il virus e con i malati ma in fondo in fondo è il nostro lavoro. Più frenetico, caotico, pesante, stancante ma è il lavoro per il quale siamo preparati. Ma milioni di persone sono chiuse dentro casa da settimane e la loro vita è stata completamente stravolta. Ed è a loro, A VOI, che vanno i miei ringraziamenti e i miei “Ce la possiamo fare”. Perché ogni volta che imbocco la via di casa mia vedo le stesse macchine sempre allo stesso posto e vuol dire che anche oggi nessuno è uscito, vedo gli autobus vuoti e vuol dire che anche oggi nessuno è uscito, vedo gli incroci vuoti e vuol dire che anche oggi nessuno è uscito. E per ogni persona che rimane in casa almeno altre 2 o 3 non vengono contagiate e questo vuol dire vincere questa gara.

Quindi grazie, grazie che restate a casa, grazie che mi lasciate solo al semaforo, grazie che resistete a queste belle giornate di sole (dalla finestre le vedo anche se non posso godermele), GRAZIE! Perché i VERI EROI che ci faranno vincere questa battaglia SIETE VOI!!!

Quando finalmente tornerete ad accendere i motori, infilerete il casco e correrete in strada forse incrocerete uno che si sbraccia salutarvi anche se fermo in fila nel traffico milanese. Tranquilli. Non sono pazzo. Forse solo un pochino. È che mi siete mancati!!!

Marco Maria Botticelli

 

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