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L’edizione 2015 della AIMExpo (American International Motorcycle Exposition) si è chiusa domenica scorsa ad Orlando, in Florida. L’unica fiera rimasta nel panorama americano ha riscosso un discreto successo, soprattutto se si considera che quella di quest’anno era solo la terza edizione.
Il formato, come l’EICMA di Milano, prevede due giorni riservati agli operatori e alla stampa, e gli altri giorni (due giornate nel caso dell’AIMExpo) sono aperte al pubblico. La fiera sta crescendo, non ci sono dubbi, ma ancora non si è mostrata in grado di poter fare la differenza in un mercato che dopo la crisi del 2009 non si è mai davvero ripreso.
L’acquisizione da parte del MIC (di cui parlavo settimana scorsa) dovrebbe portare ad un maggior coinvolgimento da parte delle Case costruttrici, che sono poi le principali finanziatrici del Motorcycle Industry Council. Ma questo si vedrà solo dall’edizione del prossimo anno, che sarà tenuta in una hall ancora più grande dell’Orange County Convention Center di Orlando ma che sarà anche l’ultima, visto che il contratto iniziale tra AIME ed OCCC era di 4 anni.
Il futuro per ora non è ben chiaro, soprattutto perché il modo in cui è strutturato l’evento prevede una location ben specifica, in grado di soddisfare alcuni criteri: ampi spazi espositivi, una zona esterna dove creare le test track e gestire le demo ride, un buon numero di alberghi nelle vicinanze ed una posizione strategica che sia anche una destinazione interessante al di fuori dell’evento stesso.
Si potrebbe tornare ad Indianapolis (dove per anni si è tenuto l’ormai defunto Dealer Expo), magari non in febbraio quando si muore di freddo. Ma la città ma non dispone di aree esterne per le attività outdoor. Una destinazione perfetta sarebbe Las Vegas, ma la capitale del gioco d’azzardo non ha date disponibili nel periodo in cui i promoter vorrebbero tenere la fiera, ovvero metà ottobre. Idem per Chicago, che tra l’altro non dispone a sua volta di aree esterne nei pressi del convention center. L’altra meta papabile attualmente è Louisville in Kentucky, ma gli alberghi sono pochi e relativamente lontani dalla zona fieristica. Rimarrebbe Dallas, ma il promoter ha già detto che non ritiene la città texana un’alternativa percorribile. Insomma un bel rebus da risolvere in fretta, anche perché una volta individuata la location ci vogliono mesi e mesi per preparare ed organizzare tutto.
Ma alla fine come è andata questa AIMExpo 2015? Beh, dipende da chi vi risponde.
Molte delle Case hanno tenuto ad Orlando le loro riunioni annuali, e da parte loro la fiera è andata benissimo. Anche i giorni aperti al pubblico non sono stati male, specialmente per quanto riguarda l’area outdoor. La hall principale ha visto una discreta partecipazione nella giornata di sabato, grazie anche alla concomitante Biketoberfest a Daytona (che dista un’ora da Orlando) e molte famiglie alla domenica, dopo la messa che qui nella Bible Belt è un must.
Ci sono state alcune anteprime mondiali e nazionali a livello di moto e prodotti e la copertura mediatica è stata eccellente, anche grazie alla presenza di molti personaggi di spicco del motociclismo come Wayne Rainey, Malcolm Smith e molti altri piloti nazionali. Hanno avuto un grande successo anche le cerimonie di induzione nella Motorcycle Hall of Fame e le premiazioni dei campionati nazionali MotoAmerica. Ma… c’e sempre un ma.
L’AIMExpo, se ben ricordate, nasce come alternativa al Dealer Expo, una fiera che per anni è stata il riferimento per il settore americano ma che dal 2009 era entrata in crisi e non si è mai ripresa fino a scomparire dopo l’ultima edizione di Chicago a fine 2014. Il Dealer Expo, come si deduce dal nome, era una fiera dedicata ai negozianti (dealer), che ogni anno a febbraio vedevano i prodotti nuovi e piazzavano gli ordini per la stagione che stava per iniziare. negli anni i dealer hanno smesso di andare al dealer Expo finché è diventato chiaro che la fiera non aveva futuro e c’era bisogno di un cambio di traiettoria. L’AIMExpo si presentò allora come la perfetta alternativa, uno show dedicato sia ai dealer che al pubblico, in una location meno inospitale di Indianapolis in febbraio e con il potenziale di diventare qualcosa tipo l’EICMA, a cui gli organizzatori si sono ispirati fin da subito.
La stragrande maggioranza degli operatori USA hanno abbracciato con entusiasmo il nuovo corso e, sinceramente, non vedo come la fiera non possa diventare uno dei saloni più importanti al mondo, perlomeno a medio o lungo termine. Ma viviamo in un’epoca di “tutto e subito” e spesso non c’è il lusso di aspettare cinque o più anni per vedere i risultati.
Sto parlando del problema principale che gli organizzatori si trovano a risolvere, che è quello di portare i dealer in fiera a fare quello che hanno sempre fatto: scovare nuovi prodotti, veder le novità e piazzare gli ordini per la prossima stagione. Quest’anno a Orlando, nonostante i dealer che hanno eseguito la registrazione online siano stati più di 4000, di negozianti se ne sono visti troppo pochi.
Si, le riunioni delle Case hanno portato in fiera molti Sales Manager per parlare di unità ed investimenti per il 2016, ma la maggior parte dei 500 e più espositori, che erano accessoristi, si aspettava di vedere i Parts Manager, ovvero i responsabili degli acquisti che sono poi quelli che piazzano gli ordini durante l’anno. Quelli no, a Orlando non c’erano. O meglio, non c’erano in numero sufficiente per dichiarare la fiera un successo.
Personalmente ritengo che gli organizzatori abbiano fatto tutto il possibile per attirare i dealer, ma non è bastato: il mercato americano è cambiato, ormai gli operatori preferiscono restare in negozio e cercare di vendere il più possibile prima che il mercato vada in letargo per l’inverno, e non gli si può certo dare torto. La crisi ha tolto quei fondi che normalmente servivano a mandare qualcuno a visitare la fiera, e grazie a (o per colpa di) internet i Parts Manager vedono e comprano i prodotti online: anche la vecchia figura dell’agente di commercio sta scomparendo nel settore moto americano, gli unici che girano per negozi sono ormai quasi solo gli ispettori dei grandi distributori.
Ma sarebbe facile rovesciare un secchio di critiche sull’AIMExpo senza provare ad offrire una soluzione. Ecco quello che ho detto personalmente agli organizzatori, con i quali ho avuto una lunga chiacchierata domenica sera.
Personalmente spaccherei l’evento in due: pubblico da una parte ed operatori dall’altra. Cercherei di associare la AIMExpo ad uno dei grandi motoraduno estivi e lo organizzerei unicamente con lo scopo di essere un grande show per il pubblico. Lo terrei anche ben lontano dalle date di Milano, in modo da assicurarsi più novità, che adesso invece le Case preferiscono far debuttare all’EICMA. Per la parte dealer invece tornerei ad una configurazione tipo Indianapolis, in una città comoda da raggiungere da tutti gli USA. Senza la pressione di allestire dei mega stand per impressionare il pubblico, gli espositori potrebbero concentrarsi sugli aspetti commerciali e le relazioni con i dealer, che a loro volta si troverebbero in un ambiente più consono per fare del business. Il periodo dell’anno, poi, sarebbe cruciale: sceglierei febbraio o addirittura marzo, in modo da catturare l’attenzione dei Parts Manager proprio nel momento in cui riparte la stagione senza però costringerli a lasciare il negozio quando si è già a pieno regime.
Se questo non dovesse funzionare, per le ragioni che dicevo sopra, almeno non sarebbe l’intera AIMExpo a soccombere, ma solo la parte B2B, che guarda caso è proprio quella che ancora stenta a decollare dopo la picchiata degli anni della crisi.