Akito Arai: "Facciamo caschi da motociclisti per motociclisti"

Akito Arai: "Facciamo caschi da motociclisti per motociclisti"
Alla guida della filiale europea di Arai, “Aki” racconta sé stesso e l’azienda, fondata dal nonno, di cui orgogliosamente porta il nome
15 febbraio 2013

Akito Arai ha il fisico minuto e lo sguardo sveglio che, nel nostro mondo, verrebbe spontaneo associare al ruolo di pilota. Invece, pur essendo ovviamente motociclista praticante – tutta la famiglia Arai lo è, e lo era il fondatore Hirotake – “Aki” Arai per professione cerca di proteggere nel miglior modo possibile la testa di piloti e motociclisti in generale.

 

Attorno ai 40 anni, da cinque si occupa della direzione di Arai Europe dopo un iter formativo in azienda che lo ha visto passare brevemente, come tutti i dipendenti della Casa giapponese , per tutti i settori della produzione al fine di conoscere in maniera approfondita tutti gli aspetti della produzione di un casco. Nessuno sconto nemmeno per il figlio del padrone.

 

Estroverso rispetto alla media dei connazionali, Aki non si tira indietro davanti alle nostre domande – anzi, complice una bella atmosfera conviviale a cena, cerca di trasmetterci in tutte le maniere possibili la sua passione per quello che fa, usando qualche parola giapponese quando l’inglese non è in grado di descrivere adeguatamente il concetto.

 

Entrare in azienda è stato quasi un passo obbligato?

«Si, ma non un’imposizione. Amo le moto, come tutta la mia famiglia, e sono estremamente orgoglioso dei caschi che produciamo – potermi occupare dell’azienda di famiglia è più di un lavoro, per quello che mi riguarda. Potremmo quasi dire una vocazione»

 

Raccontaci allora come è nata Arai

Il primo Arai prodotto, con il logo composto dalle iniziali del fondatore
Il primo Arai prodotto, con il logo composto dalle iniziali del fondatore
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«E’ stato mio nonno Hirotake a fondarla, nel 1937. A Ohmiya, città dove a tutt’oggi si trova la fabbrica principale. Mio nonno era un appassionato motociclista, ma l’azienda inizialmente produceva cappelli. Fu solo quando si rese conto del livello mediocre dei caschi che si usavano all’epoca che decise di studiare come proteggere la testa dei motociclisti e dei piloti, che ammirava tantissimo. Negli anni 50 avviò quindi la produzione di caschi, e fu il primo a produrli con la struttura che a tutt’oggi è nel DNA del nostro metodo produttivo: rigidi nella calotta e morbidi all’interno»

 

Le gare sono sempre state un aspetto fondamentale nel lavoro di Arai

«Assolutamente si: mio nonno e mio padre hanno sempre amato moltissimo le competizioni, che ci hanno insegnato tantissimo. Un po’ perché abbiamo sempre analizzato approfonditamente i caschi che ci venivano restituiti dopo ogni caduta, ma anche perché il processo di personalizzazione ci ha permesso di accumulare dati su cui abbiamo sempre ragionato»

 

Un esempio?

«La diversa sagoma della testa che utilizziamo per definire la foggia degli interni per i caschi destinati a Giappone, Europa e Stati Uniti. I caschi che forniamo ai piloti che supportiamo ufficialmente sono gli stessi che il cliente acquista nei negozi, tranne per la verniciatura e gli interni che vengono realizzati su misura dopo aver misurato accuratamente le dimensioni del cranio. Con il passare del tempo i nostri tecnici del Reparto Corse si sono accorti che tendenzialmente le sagome dei crani di europei, statunitensi ed orientali differivano fra loro presentando invece elementi tendenzialmente comuni all’interno del proprio gruppo. Visto che uno dei pilastri della nostra filosofia è ‘Confidence by Comfort’ (sicurezza nella guida grazie al comfort) abbiamo diversificato la roduzione per rendere i nostri caschi più comodi. Un esempio di questa filosofia lo trovate ancora oggi nel sistema Facial Contour System utilizzato per i guanciali: il pilota, ma anche il motociclista stradale, quando ha in testa un casco più comodo si può concentrare sulla guida senza distrazioni derivanti da dolori o scomodità varie»

 

Il primo Arai Schwantz. Il lavoro con i piloti è sempre stato fondamentale.
Il primo Arai Schwantz. Il lavoro con i piloti è sempre stato fondamentale.

L’azienda è stata portata poi avanti da tuo padre, giusto?

«Esatto, Mitch. Anche lui è un motociclista praticante, a 74 anni guida la moto ogni volta che può – ultimamente passa molto tempo in sella alla Honda NC700. Mio padre ha consolidato l’opera di mio nonno Hirotake ed è il principale responsabile del successo del marchio negli Stati Uniti, dove ha passato molto tempo fin da quando abbiamo fondato la filiale, nel 1975. Proprio negli USA creò il nuovo marchio Arai, quello che vedete a tutt’oggi sui nostri caschi»

 

Il nuovo logo Arai, che ha sostituito il vecchio composto dalle iniziali HA (HIrotake Arai) è il protagonista di un simpatico aneddoto legato alla sua nascita.

«E’ vero. Mio padre si trovava in California, all’epoca, e in quel periodo era convinto che il nostro marchio dovesse essere rinnovato, anche solo perché con la sua successione ad Hirotake non avrebbe avuto più del tutto senso. Mitch sapeva però anche molto bene di non cavarsela molto bene quanto a doti artistiche, per cui si rivolse ad uno studente di architettura che frequentava il suo stesso ristorante. In cambio di una cena, quel ragazzo disegnò su un tovagliolino di carta quello che a tutt’oggi è il marchio Arai»

 

E tu? Ami le moto e lo sappiamo, ma cosa guidi?

«Adesso ho una Speed Triple: per quanto ami assistere alle gare non sono un fan delle sportive, preferisco le moto prestazionali ma dalle linee classiche. E tanto per restare in tema, mi piace moltissimo anche la nuova Norton Commando, che potrebbe essere la mia prossima moto»

 

Crediamo fermamente nel fare tutto internamente: delocalizzare porta a sacrifici qualitativi inammissibili per il marchio Arai

“Aki” ci mostra una foto, che lo ritrae in sella alla sua Triumph su una strada giapponese. Azzardiamo la domanda: ma allora la moto resta in Giappone?

«Si, ma anche io, nonostante mi occupi di Arai Europe, passo la maggior parte del mio tempo in Giappone, vicino alla produzione. Crediamo fermamente nel fare tutto internamente: la produzione viene svolta interamente in Giappone, la nostra esperienza ci suggerisce che i risparmi derivanti dalla delocalizzazione portano a compromessi in termini di controllo sulla qualità del lavoro, e quindi a sacrifici qualitativi che non riteniamo ammissibili per il marchio Arai. La nostra principale difficoltà, lo sappiamo, è comunicare questa nostra filosofia al pubblico, che spesso non capisce come mai i nostri caschi siano meno competitivi di altri dal punto di vista del prezzo»

 

Proviamo a parlare di futuro: come ti immagini il casco che indosseremo fra cinque o dieci anni? Si parla per esempio di visiere con LED integrati che possano cambiare la tinta in tempo reale, o riprodurre le informazioni dei cruscotti.

«Forse non siamo noi l’azienda adatta ad aprire la strada su queste nuove tecnologie. Siamo fermamente decisi a mantenere la nostra politica dei piccoli passi: sviluppiamo i caschi nuovi più lentamente di molti concorrenti, ma arriviamo alla produzione solo quando siamo certi che siano superiori al casco che sostituiscono, o comunque al nostro stato dell’arte. L’unica cosa che posso garantirvi è che gli Arai che indosserete fra cinque anni saranno ancora più protettivi e naturali da indossare di quelli di oggi»

 

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