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La storia di Alan Stulberg, il fondatore di Revival Cycles, è un po’ la quintessenza della classica storia di successo statunitense. Una carriera nel corporate world, con lavori ben retribuiti ma senz’anima, poi un licenziamento nel bel mezzo della crisi, e la decisione che gli cambia la vita. Il fratello gli regala un biglietto per l’Europa, lui vende praticamente tutto quello che possiede e si mette a girare il vecchio continente in cerca d’ispirazione.
Un’ispirazione che trova nelle moto, da sempre la sua massima passione. Una passione difficile da coltivare in un posto come Austin, Texas, dove i gearheads, i malati della meccanica sono davvero pochi. Tutt’altro scenario in Europa, dove Alan gira in lungo e in largo su una KTM monocilindrica («Con il senno di poi avrei dovuto procurarmi una BMW - avete presente che razza di tortura sia girare sulle autobahn tedesche a 150 all’ora su un mono?») e finisce per tornare in America deciso e determinato.
Arriva ad Austin, compra un capannone e inizia a lavorare, riparando e modificando moto. E poi compra il capannone adiacente. E poi quello ancora adiacente, e via fino a oggi, dove praticamente tutto il block è occupato dagli spazi di Revival Cycles, dove Alan e il socio Stefan Hertel, con i loro dipendenti, si sono occupati di centinaia di moto di tutti i generi e marchi. E hanno realizzato almeno una quindicina di progetti importanti. Quelli in cui si può dire di aver veramente costruito una moto.
«Il nostro obiettivo, fin dall’inizio, è stato quello di essere diversi dagli altri, più tecnici e specialistici. E’ la mia natura: fin da ragazzino sono sempre stato un vero e proprio nerd per le cose che mi interessavano - nella fattispecie, la musica e la meccanica. Quando sei un teenager è una vita d’inferno, perché vieni considerato uno sfigato, poi, da adulti, avere una competenza così approfondita diventa un vantaggio impagabile. Tanto che una delle nostre attività, che occupa un’intero locale nel capannone, è il nostro webstore, che trova e fornisce ai preparatori i pezzi che gli servono: un servizio di consulenza e vendita a misura di customizer».
Revival Cycles lavora su qualunque moto: dalle riparazioni alle preparazioni più complesse. Creando special che diventano fonte d’ispirazione per tanti appassionati, tanto che Alan decide di organizzare e gestire in prima persona l’Hand Built Show, un’esposizione dedicata a special e custom.
«Certo. E anche se è diventato un impegno notevole, continuiamo a gestirlo da noi perché vogliamo che mantenga il suo spirito e il livello qualitativo. Lo show, ormai alla sua settima edizione, è cresciuto molto ed è stato fonte d’ispirazione per tanti: è questo che vogliamo che sia il suo spirito, vogliamo che incoraggi gli appassionati a giocare con le moto, costruendone di nuove o perfezionando continuamente i propri progetti».
«E’ per questo che non mettiamo troppe barriere all’accesso, non pretendiamo che ci siano solo special perfette e leccatissime, l’importante è che nascano dalla passione. Il bello è che abbiamo visto ragazzi partecipare alle prime edizioni con realizzazioni un po’ approssimative, che oggi ci “prestano” alcuni dei pezzi migliori dello spettacolo. Adesso il livello è piuttosto alto, ma continuiamo ad accogliere anche moto meno raffinate, purché dietro ci siano passione e una visione».
In effetti, Revival Cycles è diventata una vera e propria istituzione per Austin, dove la scarsità di appassionati è una medaglia con un rovescio: i pochi che ci sono si conoscono tutti. Dal semplice malato di moto al campione del mondo, come racconta Alan con un aneddoto relativo alla nascita della Birdcage.
«Ero in preda alla disperazione: BMW ci aveva appena consegnato il motore e stavo cercando ruote che non sparissero di fianco a un colosso del genere. Il problema non erano tanto i cerchi, quanto il fatto che volevo assolutamente che montassero gomme slick, ma chi produce più roba del genere? Avevo tre monitor con finestre aperte su tutti i fornitori che conoscevo, finché non trovo delle Dunlop, ormai fuori produzione, che farebbero al caso mio - ma non avevo la più pallida idea della persona a cui avrei potuto chiedere?».
«Se non che, coincidenza, mi squilla il telefono. E’ Kevin Schwantz, che mi dice “hey Alan, sono dalle tue parti, ci vediamo?” e tempo dieci minuti è qui con me. Guarda le gomme, sorride e fa una telefonata a un suo contatto in Dunlop. Tempo cinque giorni erano qui in officina…».
Parliamo quindi della Birdcage, il secondo progetto su quel nuovo propulsore BMW che spingerà la nuova custom di Monaco, dopo naturalmente la R18 Departed dei giapponesi Custom Works Zon. Com’è nata l’idea?
«Abbiamo una partnership, un legame particolare e consolidato con BMW, già dal 2014. Abbiamo fatto diverse special e restauri per loro nel corso degli anni (fra cui una spettacolare S1000RR con estetica retrò che hanno usato più volte in gare d’accelerazione, NdR) per cui quando è nato il nuovo motore ci hanno contattato per chiederci se avessimo voluto creare una nostra proposta sul genere. Naturalmente non ce lo siamo fatti dire due volte, abbiamo accettato subito e ci siamo messi al lavoro».
«Il motore è arrivato a dicembre, assieme a due dritte di BMW, che però ci ha lasciato mano completamente libera: ci siamo sentiti qualche volta durante la progettazione, ma di fatto l’hanno vista solo a lavoro praticamente finito».
Il lavoro è terminato dopo quanto?
«Beh, posso dirvi che ho finito la moto mercoledì alle 15 (ride, NdR) quindi… potete fare facilmente i conti. La realizzazione è stata una parte importante, ma come sempre succede la fase più lunga è quella di definizione e concezione. Nel caso della Birdcage è stato un po’ più facile di altre volte, perché l’idea di realizzare qualcosa del genere, ispirata appunto alla soluzione tecnica della Maserati Tipo 61, è un mio vecchio pallino».
«L’idea era quella di creare una moto che sembrasse non funzionante, cosa che invece non è - non l’ho ancora guidata perché… ho la brutta tendenza a distruggere le moto con cadute spesso stupide, ma si avvia e funziona. Tutto l’impianto elettrico, avviamento compreso, è sotto il motore, racchiuso nei gusci in titanio che vedete, e dietro c’è il serbatoio, che contiene circa un gallone (poco meno di 4 litri, NdR) che probabilmente basta per fare… non so, qualche centinaio di metri!».
In questo caso anche la realizzazione non dev’essere stata semplicissima…
«Diciamo che saldare il telaio non è stato facilissimo, anche perché volevo espressamente che fosse quasi del tutto asimmetrico - l’unica parte che possiamo considerare simmetrica è il trave centrale. Per il resto sono circa 130 pezzi di titanio tagliati a misura e saldati, ci sono circa 300 saldature. Il peso? Ci aggiriamo attorno alle 25 libbre (poco più di 11kg, NdR) anche se avrei potuto scendere tranquillamente a otto…».