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Locascion: il suo ristorante "AB - Il lusso della semplicità" in zona City Life, il quartiere da cui devi passare se hai intenzione di visitare Milano adesso. Opere d’arte e cucina. Vi sveliamo un trucco: se dalla strada vedete la sua foto in vetrina vuol dire che lui c’è, è dentro che lavora e intrattiene i clienti. Se la foto invece non c’è, lui non è presente. Bene, oggi la foto da fuori si vede. Lui c’è. Alessandro Borghese arriva in sala con gli occhi pallati. Ci studia, ci analizza. La prima cosa che noti è che telecamere o no lui è sempre lo stesso: gesticola, riempie lo spazio, parla con quell’accento lì, romano sì ma tutto suo, con la c che diventa sc, con esclamazioni continue e alti improvvisi. Mentre ci stringe la mano fa lui la prima domanda: «Di che parlate?». Parliamo di te e di come sfoghi il tuo stress con le corse. «Sì, in macchina! Dobbiamo inaugurare la nuova tuta che mi ha regalato Adidas, di Vitantonio Liuzzi, una tuta ignifuga da Formula Uno, bellissima, col logone della AB Normal, scarpette, guantini, nome, bandiera italiana. Sarebbe figo, vorrei fare tipo la Sei Ore, con più piloti, a squadre».
ABNormal è la società che coordina tutte le attività in cui è impegnato: ristorazione, licensing, food consulting. AB sono le sue iniziali. Abnormal è un gioco di parole che lo descrive tra abnorme, come la sua stazza imponente, e anormale, come la sua vita e tutto quello che fa. AB infatti quando non cucina, guida. Quando non guida, corre. Con le auto. Con la moto. In un modo o nell’altro, è uno che va veloce. E che si diverte, tanto, sempre. Ora, in Tv, è in onda con Cuochi d’Italia (TV8), registra le nuove puntate di Alessandro Borghese 4 Ristoranti che vedrete su Sky Uno, entrambi i programmi prodotti da DRYMEDIA. Stesso canale per Alessandro Borghese Kitchen Sound, la sua videoenciclopedia di ricette in 5 minuti, dal 15 aprile. E poi c’è il suo ultimo libro Cacio & Pepe – La mia vita in 50 ricette in cui fa l’outing definitivo anche sul suo amore per tutto quello che ha un motore. Prima di cominciare l’intervista ci porta in cucina. Presenta la sua brigata come i frontman fanno con il resto della band: “Alla pasticceria e panificazione c’è Big Daniel appena tornato da Londra! Poi c’è il super responsabile della cucina perché senza Max qui non se cantano messe! Ai carciofi, Andrea; sulla mandolina, che grattugia come se strimpellasse, Rashid, alla brace e ai secondi; qui abbiamo il micio del Medioriente e c’è pure un sudamericano che ora non lo vedo, ndosta?, capopartita agli antipasti e poi c'è Carlo il mio sous chef”. Finita la session ci mettiamo a sedere e ritorniamo alle corse.
Con che auto vai a girare in pista?
«Porsche GT3». Allora perché non una bella Carrera Cup? «Ma va, quella è gente che fa sul serio, son piloti professionisti, ti fanno un culo come un secchio. Campionato difficile, gente che spinge, ragazzetti di 20 anni, piloti veri. Come dire: cucini a livello professionale o ogni tanto la domenica. Io faccio il pilota per divertirmi, quando mi va di girare in pista. Sono da track day,non gara, che lì mi spaccano. Però una volta si potrebbe pureprova’». Il tuo libro si legge in un attimo.«Sì è davvero un morso». Fa ridere in molti passaggi, come quando hai scritto: «Mia mamma non mangia, si nutre».«Sì, perché è una roba ben diversa. Ci sono quelli che hanno l’attitudine del nutrirsi. Che per carità, non c’è niente di male. Ma appunto, si nutrono, non mangiano. Non mangiano per gola, gusto, ricerca del piacere, per edonismo. Roba assai lontana dalla mia visione della cucina e del mondo gastronomico». C’è un dettaglio a pagina 12 che colpisce, quel velo di tristezzache non becchi tanto facilmente ma che Angela Frenda (coautrice e food editor del Corriere della Sera) ha notato. Racconta tantissimo il dietro le quinte. «Sai, vivendo con un personaggio pubblico (la madre è l’attrice Barbara Bouchet) fai fatica a tirar fuori il tuo carattere, il tuo modo di essere, il tuo modo di vedere la vita, quello che vuoi fare perché la società spesso ti etichetta in una determinata maniera. Una dimensione che non si nota facilmente dall’esterno, perché spesso può sembrare un vantaggio essere figlio d’arte, quando invece spesso e volentieri fai il doppio della fatica. Dalla prospettiva opposta, chi questa condizione la vive da dentro, può essere uno svantaggio proprio perché tutto quello che fai lo devi fare meglio degli altri. Cioè, se gli altri lo fanno bene tu lo devi fare benissimo. E questo alla lunga è faticoso. Scusa, ma non dovevamo parla’ di motori?».
Se chiudi gli occhi e ti immagini ancora un bambino, su quale macchina ti vedi?«Lancia Delta HF Integrale Evoluzione. Papà (Luigi Borghese) ne ha avute due, tutte e due rosse con interni in pelle neri. Oppure, Lancia Thema Ferrari, 8 cilindri, 32 valvole. Era un grande appassionato, ha avuto anche una Lamborghini Espada e una Ferrari GTO, tanto per ricordarne altre due». Andava anche in moto? «Papà era un pilota, ha corso in moto per tanto tempo, di sicuro dal 1965 al 75. Gare di lunga durata come la Milano-Taranto con Ducati, Harley, Yamaha, Suzuki. Poi anche un Campionato Italiano in 125 e 175cc». Roba seria. «Caspita, si è fatto male più di una volta. Una volta mi raccontò di quando Michelin gli propose, insieme ad altri piloti, di testare le prime gomme slick al posto di quelle intagliate. Si rifiutò dicendo: “Sono lisce queste, andremo per terra!”. Quella paura legittima alla fine la superò. Ma durante una gara, in staccata alla fine di un rettilineo che portava in una grande piazza, con le slick appena montate, entrò paro paro dentro una vetrata. Avevano lavato l’asfalto la sera prima».
La prima moto che ti ricordi? «Allora, partiamo dai motorini: Ciao, sella del Grillo, cerchi del Si e carburatore 19 Dell’Orto esterno con un 102cc sotto». Praticamente era una special. «Sì, e con lo sterzo piegato, perché avevo il vizio di andare su una ruota. Era una figata, ma pregavo la notte per avere l’Honda GP, il primo scooter con il freno a disco anteriore. Dopo il Ciao ho guidato anche un Califfone 3 marce e il Fantic Caballero». Nel libro scrivi anche dei viaggi in autostrada con tuo padre.«Ero il suo copilota. Papà aveva il piede pesante, si ingarellava con tutto ciò che si muoveva oltre una certa velocità. E io, che ero e sono malato di macchine, facevo da scout. Riconoscevo dagli specchietti che roba stava arrivando: modello, cilindrata, cavalli, così potevamo capire se era il caso di ingaggiare una corsa. Ma queste cose delle gare per strada non se dicono…».
La velocità ti è rimasta tanto dentro eh.«Mammamia che ricordi la Delta Integrale con la centralina portata a più cavalli, era una scatola che camminava, nel senso che faceva 200 km/h, 210 ma con che ripresa! Da 0 a 100 era un’astronave e sul misto stretto non c’era storia. Erano i tempi della Ford Escort Cosworth, della Toyota Celica, del Porsche 3.3 e del 3.6, della BMW M3 con l’alettone». Seguivi anche le gare? «Quando c’erano auto o moto in Tv non si usciva di casa, guardavamo correre tutto ciò che aveva un motore, dalle 125 fino alle 500. Il mio mito era Kevin Schwantz».
A che età hai imparato a guidare? «A nove anni, su una Y10 Turbo. Papà mi portava solo la domenica. Tirava fuori la Y, io infilavo la prima, staccavo la frizione e appenastuccavo la marcia lui la riportava subito in garage. Prossima corsa, la domenica successiva. C’era da imparare a staccare la frizione e a cambiare le marce come diceva lui, se no spegneva la macchina. Stop». E le moto? «Le moto fanno parte del Dna di famiglia. Guarda questa foto, è nonno con una Royal Enfield. È morto in pista, correndo la gara di Posillipo, era uno di quei piloti col casco di pelle, occhialetti, sigaretta spenta e via andiamo. Ma io le moto le ho lasciate perdere, da quando ho le figlie piccole ho mollato il colpo e sono diventato harleysta. Che però piega di brutto».
Il tuo mito nelle auto? «Uno che ho sempre ammirato è Senna, Alboreto per quel poco che ha corso con la Ferrari, Damon Hill, Mansell. Me ne piacevano parecchi».
Tuo padre ti diceva: «Divertiti in quello che fai perché lo farai tutti i giorni».«C’è chi compra le macchine perché deve associare la sua immagine a un’estetica, chi perché guarda solo alla meccanica.
A me piace guidare, che è diverso. Conosco un sacco di gente che possiede inutilmente certi macchinoni, ma a me viene da ridere».
Che ne pensi delle auto di oggi, con gli aiuti alla guida?
«Oggi la tecnologia fa sì che certe auto le possano guidare tutti. Certi sistemi di assistenza ti permettono di portare macchine da 400 cavalli con un margine minimo di errore. Io sono più sentimentale, tant’è vero che sono un porschista, mi piacciono le macchine dove il fattore pilota fa ancora un po’ la differenza». Ma un’auto a guida autonoma te la compreresti? «No, perché mi levi quello che per me vuol dire guidare. Cioè, vero e proprio divertimento e interazione con il mezzo. A me già mi rode che ci stanno troppe macchine con cambio automatico. Per dire». Auto elettrica? «Auto elettrica sì». Ne hai provata una? «Sì sì, una Tesla. Che è un aeroplano. Però un aeroplano senza cuore. Sapete qual è il fatto? Che è come un interruttore. Lo accendi, lo spegni. Lo accendi, lo spegni. Lo accendi, lo spegni. Un elettrodomestico. Però ne sono consapevole, il futuro sarà elettrico. Vorrei provare il Porsche 918 Spyder che è un ibrido, elettrico e motore a combustione. Dicono che sia davvero una macchina fenomenale… un milione e duecentomila euro di macchina. Se qualcuno ce l’ha in garage, io la provo volentieri.Giuro che gli faccio un treno di gomme di traverso e basta».
Ora però lo possiamo dire. Questa intervista nasce perché abbiamo un obiettivo: farti cucinare nella cucina della VR46 Academy, per tutti i piloti.
«Quella per Vale è una passione condivisa con papà da quando lui era ancora un ragazzino. Lo abbiamo visto crescere, fa parte dei ricordi delle gare che guardavamo in Tv. Cucinare al ranch sarebbe una figata: lui mi insegna a fare due traversi e io una gricia o una cacio e pepe». Guarda che il ranch è difficile davvero. «Ah sì? Tosta? Allora andiamo solo a cucinare, se no facciamo una figuraccia». La gara delle gare di Valentino? «Ce ne ho parecchie, una a Laguna Seca con Stoner. Pazzesco. Le bagarre con Biaggi, Lorenzo, una volta saltai sul divano slogandomi una caviglia. Aaaaaahhhhh, urlavo proprio, urla da pazzo scatenato. Ma non per il dolore, mi stavo esaltando per la gara».
Nonostante la rivalità, Marquez ti fa emozionare? «No, non ci sono al momento piloti che miiiii... Sai, quelle sono cose che arrivano una volta ogni tanto. Marquez è un po’ come quando vinceva i mondiali Doohan, dopo un po’ mi son rotto i coglioni. Bravo, per carità, però chi tifavo io era Schwantz. Ne ha vinto uno di Mondiale, è caduto 700 volte, però era il funambolo della 500. Era quello che faceva le curve di traverso, uno stile che poi hanno ripreso tutti. Io c’avevo il casco col 34, il mio sogno era la RGV Gamma 250, neanche 500, a carburatori, che andava di pari passo con la Yamaha RD 350 detta la bara. Ho guidato tutte e due». E gli outsider, tipo McCoy? «Mi piacciono i piloti che arrivano dal TT, quelli a cui manca una rotella in testa, quelli sporchi. Gente che parte dal paesino con il camper, con il papà che fa il meccanico. Si montano i motori, si montano le gomme e poi passano a fianco dei muretti a secco a 320 all’ora».
F1?«Adesso ci sono alcuni che manco conosco, son tutti piloti con la valigia. A me piaceva quello che ora è un mio grande amico e mi dà delle gran belle lezioni di guida. Vitantonio Liuzzi». Però i personaggi ci sono ancora: Räikkönen, Hamilton,Vettel… «Se dovessi dire un pilota, direi Kimi: è capace di stare in un bar fino alle 11 di mattina e poi andare a fare il secondo tempo a Spa Francorchamps. È pazzo come un cavallo e c’ha il manico. Non molto costante, ma molto valido».
Quanto la competitività fa parte della tua vita? «Sono competitivissimo, in tutto. Con chi tira il sasso e fa più salti sull’acqua, con chi beve, con chi corre. Per me qualsiasi cosa è motivo di competizione». Dai, tiriamo un po’ di frecciate ad altri chef. «Sono amico con tutti». Nel tuo libro dici che in Italia hanno lavorato tutti per Marchesi, che son tutti secondi di Marchesi. «Tutti allievi di marchesi. Per carità, grande maestro, non ho nulla da dire. Ma il fatto è che sono in tanti che si presentano come suoi allievi, perché fa figo dirlo anche se non è vero». Quando diventerai giudice di Masterchef? In un’intervista dici: «Ho fatto tre edizioni di Junior. Mi avevano proposto ancheMasterchef, ma io non c’ho proprio tempo. Già sono in Tv con 4 Ristoranti e Cuochi d’Italia, poi il catering, il banqueting, la ristorazione, le consulenze e il licensing… insomma, c’ho da fa’».
Nel libro ci sono tante chicche, ma quella di quando portavi in giro per Cinecittà Cameron Diaz le batte tutte.«Eh vabbè, erano i tempi della produzione di Gangs of New York. Mia mamma stava con Leonardo Di Caprio nello stanzino trucco, io che sono madrelingua inglese scarrozzavo la Diaz su un golf cart. Che storia!». Quanto la Tv ha cambiato la percezione del mestiere di chef? «Chi è entrato nel mondo della cucina mediatica, se la vogliamo chiamare cosi, ci è arrivato perché per 10, 15 anni ha fatto la gavetta vera. È gente che si sporcava le mani dalla mattina alla sera, lavorando 18 ore al giorno. I ragazzetti di oggi vorrebbero saltare quella parte là, ma non è una roba fattibile. E infatti durano pochissimo. Quelli che vengono da me con l’obiettivo della Tv li torchiamo dalla mattina alla notte a pelar patate, seppie, polli…Tanti non reggono e mollano». A Deejay chiama Italia hai raccontato com’era la tua giornata in crociera. Pesante. «Il lavoro è faticoso, non ti viene regalato niente, quando arrivi a un certo livello vuol dire che dietro c’è qualcosa, che hai sudato veramente tanto. Se no non ci arrivi. O se ci arrivi, duri poco. Certo, ci sono quei big bang che pare esistano solo loro per periodo limitato. E poi ci sono i missili a lungo raggio, quelli che son sempre là. E come dice Vasco, io sono ancora qua». O passione o passione. «Questo è un mestiere che inizi sempre da zero, che ti mantiene molto bambino. La cucina è come giocare, solo che qui giochi ad alto livello, giochi in serie A. Il calciatore fa la stessa cosa. Si diverte come un pazzo scatenato, levagli il divertimento e gli toglila voglia di giocare. Poi di mezzo ci sono gli sponsor, i soldi, la Tv, gli ingaggi, roba di questo genere. Però, fondamentalmente, noi facciamo questo. Oggi per esempio sono entrato in cucina perché voglio fare un dolce nuovo con il simbolo del ristorante. Con il mio pasticcere, che è appena tornato da Londra, ci siamo messi in testa di prendere una mia fotografia e fare uno stencil della mia faccia con la bocca aperta. Così quando la porto al tavolo gli spruzzo sopra uno spray al cioccolato, gli faccio lo stampo della mia faccia e nella mia bocca ci pianto un tortino. Capito? Facciamo questa roba qua». Ricorda un po’ il casco di Vale. «Esatto, quello con lui dietrooo! Vedi, finché ti diverti, vale. Quando non ti diverti più, smetti. Fai altro. Vedi coso lì, quello che mi piaceva. Rosberg. Nico Rosberg ha dato giù finché ha detto: “Devo vincere un Mondiale e poi ne devo vincere uno anche su Hamilton. Fatto quello, ha raggiunto il suo obiettivo. Non gli interessava vincerne sette, di mondiali. Ha appeso il casco al chiodo e se ne è andato. Io rispetto uno così. Ogni tanto mi vedo le prove auto che fa su YouTube». E un programma auto e cucina? «Ho già il titolo. FastFood».
Facciamo la lista della spesa: che moto hai? «L’ultima moto l’ho comprato insieme a papà, la Triumph Bonneville, l’ultimo modello che hanno fatto a carburatori, scarico della Arrow, tubi aeronautici, disco a farfalla, ammortizzatori preparati. Un po’ cafè racer. Sta in garage ferma da tipo 5 anni povera stella, immacolata». E poi c’è l’Harley con cui pieghi. «Il mio Street Glide completamente preparato, c’ho un pyton due in uno, scarico laterale con bocca d’uscita grande così, completamente vuoto, che tipo quando lo accendi partono allarmi di macchine dappertutto. La mia più grande goduria? Scalare marce accanto alle auto, aspettare che passi la gente e poi fare PPUUM, il colpo, quello secco che ritorna. Per questo l’elettrico no’ ‘o so’… mo’ hanno messo pure i chip per simulare il rumore del cambio marcia. È un po’ come fare l’amore con una bambola di plastica. È tutto artificiale». Le tue bimbe in moto? La grande sì, dietro, andiamo a prendere il gelato quando fa più caldo. La piccola arriverà, ora è troppo presto. E la moglie invece? «Lei sempre. Ma non guida, si fa portare».Sei più bravo a fare l’amore o a cucinare? «Fare l’amore». A fare l’amore o a guidare? «Fare l’amore». L’ultima volta che hai fatto l’amore? «Ieri». Come vorresti morire? «Facendo l’amore, sempre con mia moglie». E sulla lapide cosa ci scriviamo? Alessandro Borghese, virgola…
«Virgola, faceva molto bene l’amore».
Foto di Gabriele Micalizzi